“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Monday, 11 April 2016 00:00

L’odissea tragicomica di due donne di malaffare

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Il palco del Teatro Nuovo è stato trasformato nella tolda di una nave che solcava i mari degli anni ’30, il gran pavese disegna in alto un triangolo di bandierine, poi ecco una postazione sulla destra, dove una donna vestita da capitano annuncia i vari capitoli della saga tragicomica delle due protagoniste. Completano il quadro due grossi bauli, due leggii al centro palco. Le luci verdi e rosse accompagnano l’ingresso in scena di Poppina, un Enzo Moscato vestito di nero, con un cappello di paglia e una stola sulle spalle, senza scarpe e con i soliti calzini che sono un tratto distintivo del suo aspetto scenico.

La voce introduce il primo capitolo del viaggio clandestino di tre donne, due che vedremo sulla scena e l’altra, Lattarella, sempre evocata. Poco dopo entra in scena Sciuscetta, un Massimo Andrei superlativo, abbigliato come la sua amica Poppina. Siamo nel 1937, in piena epoca fascista e le due donne che hanno esercitato il mestiere più vecchio del mondo nel casino Bonacina, sulle scale del vico Tiratoio sopra i Quartieri Spagnoli a Napoli, decidono di dare una svolta alla loro vita e di imbarcarsi clandestinamente su un piroscafo che ha per destinazione l’Eritrea, terra dell’immaginifico Impero fascista. Per la precisione, con un tono leggero e canzonatorio non privo di iperboli comiche e grottesche, sono dirette a Massawa dove alloggia l’esercito italiano dell’Impero che ha tanto bisogno di essere consolato.
Sciuscetta anticipa che il loro viaggio effettivamente ci fu, ma non le portò a destinazione, perché la sorte volle diversamente. La lebbra si era diffusa sulla nave, dove una varia umanità sventurata e clandestina come loro sognava una vita diversa in un altro mondo, perciò fu fatta fermare a Malta in quarantena. Qui le due prostitute incontrano la loro collega Lattarella che racconterà, in terza persona da Moscato e Andrei, la sua personalissima odissea. Nemmeno lei giunse mai in Africa, anche per lei la tappa fu quell’isola inglese nel Mediterraneo, malata di sifilide, dove spie delle forze alleate addestravano le prostitute contagiandole con il mal francese per poi infiltrarle tra l’esercito teutonico. Una vera e propria guerra batteriologica ante litteram.
Da questo momento la pièce si arricchisce di una narrazione onirica e frenetica, cinque marinai sono sul palco a raccontare frammenti di storie e di personaggi come l’ironico Asor Viola, anglofona spia che ha trovato un rimedio per fuggire da lì. La narrazione avviene tra canzoni d’epoca e motivetti ironici, battute lapidarie delle due protagoniste e piccole coreografie che formano quadri che si disfano in fretta. I capitoli della narrazione si susseguono fino ad arrivare all’ottavo, passando per gli anni ’50 con la Legge Merlin che chiuse le case già chiuse e per gli anni ’60 che mandano Poppina e Sciuscetta per la strada e i night club fumosi e oscuri. Un velo malinconico scende sulla storia surreale delle protagoniste, malate di nostalgia per un’epoca lontana ed incredibilmente umana pur inquadrata storicamente in un’età di barbarie. “Come si fa distratta e ingrata l’attuale democrazia!”, esclama tristemente Poppina con la voce sempre più fievole. La voce, già, quella di Moscato sempre sussurrata ma comprensibile, cantilenante e poetica come solo lui sa e può fare, che regala alla pièce quella delicatezza e leggerezza che una vita di emarginati non aveva mai avuto. Sempre eccellente il pastiche linguistico moscatiano composto da napoletano, italiano, teutonico, europeo che svetta oltre i limiti geografici.
Spettacolo forse non perfettamente compatto, non lineare nella sua frammentazione, ma reso leggero, oserei dire soave, dalla recitazione perfettamente combinata di Andrei e di Moscato, a cui si deve il merito artistico di far vivere in modo originale una parte della nostra vita e della nostra cultura scomparsa per sempre dalla modernità. Per questo, quando si chiude il sipario, sembra che un velo di evanescente tulle si stenda su queste storie strampalate e sul destino di un’intera città.

 

 

 

 

Grand’Estate
(Un delirio fantastorico, 1937/1960... ed oltre)
testo e regia Enzo Moscato
con Massimo Andrei, Enzo Moscato, Giuseppe Affinito, Caterina Di Matteo, Gino Grossi, Francesco Moscato, Giancarlo Moscato, Peppe Moscato
scene e costumi Tata Barbalato
musiche originali Claudio Romano
disegno luci Cristina Donadio
ricerche musicali e fonica Teresa Di Monaco
organizzazione Claudio Affinito
lingua italiano, napoletano
durata 1h 20'
produzione Compagnia Teatrale Enzo Moscato, Casa del Contemporaneo
Napoli, Teatro Nuovo, 6 aprile 2016
in scena dal 6 al 10 aprile 2016

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