“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Sunday, 28 February 2016 00:00

Un quadro, uno specchio e la realtà

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Sul palcoscenico si presenta a sipario aperto un letto matrimoniale essenziale, con due cuscini poggiati con noncuranza, dietro di esso di erge tutta la scenografia che è composta da una serie di grandi parallelepipedi messi uno accanto all’altro su cui vi sono una serie di linee oblique, verticali ed orizzontali che si intersecano.

Su questo pseudoschermo è proiettato il capolavoro del pittore spagnolo Velázquez, Las Meninas su cui è raffigurata l’infanta Margherita, figlia del sovrano Filippo IV, in primo piano circondata da personaggi di corte e lo stesso Velázquez intento a dipingere, che guarda verso lo spettatore del quadro.
In uno specchio sullo sfondo si riflettono i due sovrani, forse i veri protagonisti del quadro che il pittore sta dipingendo. Il fatto di essere proiettato su questa scenografia mobile, divisa geometricamente, permette anche la scomposizione del quadro che rimanda al gioco dello specchio tra l’immagine e il suo riflesso. Il dipinto si riallaccia al testo teatrale del ‘600 La vida es sueño, dello spagnolo Pedro Calderón de la Barca, a cui si ispirò liberamente Pasolini per scrivere questo testo che rievoca − già nel titolo − il nome del drammaturgo iberico.
Sulla scena vediamo tre momenti che hanno lo stesso inizio, ma fine differente, ambientati nella spagna franchista.
La protagonista di questi tre quadri-storie è Rosaura, mentre nel testo di Calderón è Sigismondo al centro dell’azione. Anche qui vi è Sigismondo, ma ha ruoli diversi nello svolgimento della storia. Rosaura, come detto prima, inizia la prima vicenda svegliandosi e non ricordandosi chi sia, nemmeno riconosce la sorella che si trova accanto. Trent’anni della sua vita cancellati dal sonno. La sorella avrà il compito di ricordarle chi sia grazie anche all’intervento dei genitori, visti anche loro nel piccolo riquadro di uno specchio dove viene filmata la loro presenza come se fossero sulla scena. Il padre è il sovrano spagnolo, la madre nasconde qualcosa sulla nascita di Rosaura che poi si svelerà alla fine quando lei, innamorata di Sigismondo, scopre essere in realtà il suo vero padre, rivoluzionario comunista sconfitto dalla guerra civile che ritorna in Spagna per rivedere la donna amata e compagna, la madre di Rosaura, e che violenta quando scopre che lei si è trasformata nella più bieca conservatrice fascista.
Il sogno sarà il rifugio di Rosaura che si sveglierà in una stanza di un bordello di Barcellona, con una sorella che parla napoletano, e si innamorerà di un giovanotto che scoprirà essere suo figlio. La terza volta che Rosaura si risveglierà sarà in un appartamento borghese, completamente succube di una rigida società per cui i “doveri sono argini contro la realtà”. L’afasia di Rosaura la porterà verso la fine a scomporsi anche nei gesti e nei silenzi, completamente scollegata da una realtà nella quale non si riconosce più, nonostante il marito Basilio (nel testo di Calderón era il padre di Sigismondo) la rassicuri sulla ineluttabilità delle loro esistenze mentre fuori sembra che i giovani comunisti vogliano fare una rivoluzione.
“Qui non si vivono tragedie con le loro magnifiche agnizioni!” esclama Basilio nel monologo finale, qui “si fa fatica a difendere la propria degradata realtà” e il sogno, che sembrava realtà in grado di cambiare la propria vita e quindi anche la storia, è solo un sogno.
Quando una bandiera rossa viene messa sul letto dove dorme Rosaura e un giovane comunista che è morto, la lettura simbolica è chiara. Il sogno della rivoluzione comunista è stato ucciso dalla borghesia che Pasolini tanto odiava. Nella sua lucida ed amara preveggenza, lo scrittore-poeta-drammaturgo sapeva, già negli anni ’60, che quel sogno sarebbe stato soltanto un'utopia.
Giocato sui continui rimandi al testo La vida es sueño e a Las Meninas, usando l’alternanza linguistica tra il castigliano, il napoletano, l’italiano, passi di flamenco, usando filmati, proiezioni di disegni, scomponendo la scena di continuo, Francesco Saponaro dà una lettura impegnativa e profonda del testo di Pasolini, dimostrando ancora una volta la struggente attualità di questo autore, grazie anche agli attori Maria Laila Fernandez − una Rosaura drammatica e sempre nella parte difficilissima − e Andrea Renzi, molto più che bravo nei suoi ruoli pieni di sfaccettature.

 

 

 

 Calderón
di Pier Paolo Pasolini
regia Francesco Saponaro
con Maria Laila Fernandez, Clio Cipolletta, Andrea Renzi, Francesco Maria Cordella, Luigi Bignone
partecipazione filmata Anna Bonaiuto
scene Lino Fiorito
costumi Ortensia De Francesco
luci Cesare Accetta
suono Daghi Rondanini
direzione tecnica Lello Becchimanzi
videoproiezioni Mauro Penna
assistenti alla regia Giovanni Merano, Luca Taiuti
assistente ai costumi Francesca Apostolico
sarta Anna Russo
foto di scena Laura Micciarelli
produzione Teatri Uniti
in collaborazione con Università della Calabria
lingua italiano, napoletano, castigliano
durata 1h 45’
Napoli, Teatro Nuovo, 24 febbraio 2016
in scena dal 24 al 28 febbraio 2016

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