“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Tuesday, 23 February 2016 00:00

"Crescete e mortificatevi"

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Dal dizionario della lingua italiana Devoto-Oli, la parola “campione” (premessa: ne tralasciamo, scientemente le accezioni sostantivali per soffermarci solo su quelle aggettivali, poiché – e si evincerà in corso d’opera se il lettore avrà la pazienza di sopportare quest’iniziale pedanteria – nell’uso che con furba ambivalenza ne fanno Gli Omini nell’intitolare il loro spettacolo, i membri di questa scalcinata famiglia eponima più che come “sostanze”, ad onta della maiuscola che ne parrebbe suggerire il possibile cognome, li vorremmo classificare come “affezioni”).

La parola “campione”, si diceva, da dizionario è così (tra i tanti modi) definita: “relativo ad una quantità parziale estratta da un complesso omogeneo”; oppure – in senso figurato: “persona da prendersi a modello di comportamento, o perché eccelle in un’attività o perché rappresenta l’esemplare tipico di una categoria”; o ancora – in senso più strettamente statistico: “parte di una totalità di casi o di unità che compongono il fenomeno collettivo scelta in modo da risultare il più possibile rappresentativa dei caratteri della totalità”.
Escludendo a priori l’eventualità della "eccellenza in una attività" nel caso in questione, ricapitolando, in sintesi, il termine "campione" ci torna buono per definire un contesto omogeneo, l’esemplare tipico di una categoria, una tipizzazione significativa di un fenomeno collettivo; nella fattispecie, La famiglia Campione de Gli Omini incarna un sommario di disgregazione, la metonimia di una disperazione; è, La famiglia Campione de Gli Omini, il graffiante spaccato di un’umanità contemporanea – tipica come sono tipici i soggetti delle indagini demoscopiche, convenzionale come è convenzionale il contenuto del paniere ISTAT – osservata con cinico disincanto nella sua deriva deteriore, parte di un tutto transgenerazionale che attraversa una famiglia allargata, cui su scena danno vita tre attori in un tourbillon di entra ed esci da un personaggio all’altro, ciascuno caratterizzato da un gesto, da una cadenza verbale, da una postura del corpo, da un modo d’abbigliarsi, coi cambi che avvengono a vista, ai lati e alle spalle del corpo centrale della scena, una stanza da bagno nella quale è asserragliata Bianca, della generazione dei figli, ovvero coloro che la partitura drammaturgica allinea e identifica mediante il medesimo indumento, un “gileino” (nel senso di piccolo gilè) a rombi che sembra fasciarli come una camicia di contenzione che li intabarri nella consolidata condizione di una stagnazione senza speranza; la prospettiva di un lavoro a Dubai per uno di loro evoca desiderio e necessità di fuga salvifica, da un contesto abbrutito, in cui la comunicazione è ‘cattiva’, senza sconti né perifrasi, ad esempio tra Giancarlo, l’attuale compagno – un Luca Zacchini meraviglioso nel connotare, tra le altre, la figura più laida e truce, camicia tenuta fuori dai pantaloni con sostanziale sciatteria, modi protervi, postura strafottente ed eloquio sprezzante, cinico, offensivo – e Marcello, l’ex marito – un altrettanto splendido Francesco Rotelli, che tratteggia, tra gli altri il più fragile e vulnerabile dei personaggi, prodigale e vessato oltre ogni sua colpa – mentre completa il trittico di eccellenza attorale una Francesca Sarteanesi (compagna di Giancarlo ed ex moglie di Marcello) che si attesta sul medesimo livello degli altri due attori interpretando anche le diverse donne della famiglia Campione; compagine recitativa di prim’ordine, amalgamata in una struttura drammaturgica che ne valorizza affiatamento e sincronismi, Gli Omini costruiscono uno spettacolo ficcante e sapientemente ironico, di un’ironia amara che s’apparenta con la satira sociale.
Tra vecchi ingobbiti, giovani frustrati, adulti inconcludenti, si dipana uno spaccato in cui non importa tanto quel che succede o succederà (o quel che non succede né succederà), quanto piuttosto l’immagine complessiva, l’istantanea dinamica di essenze svilite che attraversano tre generazioni di diversamente sconfitti. Sono figure dallo spessore ridotto, non personaggi a tutto tondo, ma essenze sbozzate e significative – per questo parlavamo all’inizio di “affezioni” più che di personaggi “sostantivati” – dei quali non interessa tanto la profondità dell’esistenza, quanto il senso simbolico dell’essenza che rappresentano.
L’affresco composto su scena da Gli Omini è sferza graffiante di parole, con cui si coniuga un linguaggio teatrale articolato, che elabora drammaturgia di notevole raffinatezza, la quale accompagna alla caratterizzazione di tipi e personaggi una serie di sintagmi che funzionano come lampi immediati, come il Giancarlo che ciancica e bofonchia, sentenzioso, qualcosa che non si capisce e che segna lo scarto comunicativo tra sé e gli altri; ed è solo uno – il più evidente – dei gap comunicativi che sussistono tra i vari personaggi che via via popolano la scena, fino all’estrema negazione comunicativa data dalla figura di Bianca, asserragliata nella stanza da bagno; o ancora come il vassoio di frutta che tra l’inizio e la fine sarà appannaggio solo di Giancarlo e della stessa Bianca, ovvero i due estremi “concettuali” della famiglia (la prevaricazione e il rifiuto), che alla fine saranno gli unici che a quel vassoio attingeranno. I cambi a vista che portano ogni personaggio a diventarne un altro, rendendo scoperto il gioco teatrale, sembrano suggerire una messa a nudo ulteriore delle essenze umane, differenti eppure indistinte, che popolano l’interno di casa Campione.
Il sarcasmo puntuto s’accompagna e s’alterna con la desolata coscienza della propria condizione marginale, reietti ma non troppo, perdenti ma non del tutto, vittime consapevoli della mediocrità di un vivere cinico, in cui pare venuta meno anche l’affettività, perché è il materialismo delle esigenze primarie a dominare e a sottendere ai rapporti (“Non è l’amore che è finito, sono i soldi che sono finiti”, dirà ad un tratto, lapidario e malinconico Marcello).
C’è una ferocia di fondo che domina, senza sconti, senza concessione alcuna, ne La famiglia Campione de Gli Omini, spettacolo “cattivo” come certa satira di costume consapevole di non potersi smentire da sé consolando e assolvendo, ma invece andando a scavare nel fondo di quel paniere ISTAT, rimestando e raschiando la sostanza umana che ne compone il milieu, che ne caratterizza l’essenza, col rigore dell’indagine antropologica e lo spessore artistico della rielaborazione drammaturgica.

 

 

 

 

 

Mutaverso
La famiglia Campione
di e con Francesco Rotelli, Francesca Sarteanesi, Giulia Zacchini, Luca Zacchini
produzione Gli Omini
residenza artistica Associazione Teatrale Pistoiese
con il sostegno di Regione Toscana
lingua italiano
durata 1h
Salerno, Piccolo Teatro del Giullare, 19 febbraio 2016
in scena 19 febbraio 2016 (data unica)

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