“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Wednesday, 10 February 2016 00:00

Un "Götterdämmerung" firmato Graham Vick

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Se Götterdämmerung o Il crepuscolo degli dèi rappresenta la fine di un’era – quella di una stirpe divina – Graham Vick nella sua regia del capolavoro wagneriano, presentato al Teatro Massimo di Palermo il 28 gennaio per l’inaugurazione della stagione lirica palermitana, non si limita a concludere la tetralogia de L’anello del Nibelungo restando fedele all’atmosfera di sgretolamento originaria, ma fa un’operazione più attuale che, per limpidità, il pubblico di qualsiasi generazione oggi non stenterebbe a capire. Vick infatti distrugge intenzionalmente il mito ridicolizzando tutte le figure del Crepuscolo, dalle maggiori a quelle di margine, in virtù di un’etica profondamente radicata nel nostro tempo, afflitta dalla fascinazione per l’inutilità. Di scena in scena attua inarrestabile il ridimensionamento umano della divinità.

Così Siegfried (Christian Voigt, tenore), l’eroe glorioso che ha sconfitto il drago, conquistato l’anello del Nibelungo e l’amore di Brünnhilde (Iréne Theorin, soprano), ci appare in tutta la sua ingenuità di essere umano dall’aspetto trasandato e dai desideri terreni. La stessa irraggiungibile Brünnhilde – Valchiria relegata sul monte Valhalla circondato dal cerchio di fuoco che solo un eroe puro può valicare – non è immune alla falce dell’umanizzazione: il suo look punk non nasconde un certo impaccio e l’atteggiamento frivolo del suo corpo l’associa a una comune donna perduta nel delirio d’amore. Tuttavia a ricordarcene sempre la superiorità, che la vedrà perdere dignitosamente la lotta contro il proprio destino, è il leitmotiv wagneriano che torna tutte le volte che a lei venga associato il ricordo dell’amore di Siegfried, anche nel momento più buio del tradimento di lui.
Come loro le tre Norne, premonitrici nel prologo della disfatta della stirpe di Wotang, impettite segretarie di un governo capitalista, e le figlie del Reno, inequivocabili seduttrici marine strizzate in vesti paillettate che lasciano scarso spazio all’immaginazione. Anche la famiglia reale dei Gibicunghi, razza vendicativa che porterà gli dèi al tramonto definitivo, ha il suo capostirpe, Alberich (Sergei Leiferkus, basso), costretto sulla sedia a rotelle. Questo si lascia trasportare sulla scena dal figlio Hagen (Mats Almgren, basso), suo erede che però stenta a recepirne il vecchio spirito di grandezza. Vick ce lo mostra in tutta la sua debolezza fisica, contrapposta a una bramosia di potere che inflessibile fa ricadere sul figlio inetto.
L’eredità dell’antica nobiltà della famiglia non è, in questo adattamento, niente di più che lo specchio della mondanità più becera che trasforma ogni evento in occasione di sfoggio, ogni dio in celebrità. Gutrune (Elizabeth Blancke-Biggs, soprano) e Gunther (Eric Greene, baritono), figli di Aberich, non regnano, ma soggiornano alla corte nella sregolatezza, affascinati solo dal carnale soddisfacimento dei propri bisogni. Entrambi quasi nudi sul palcoscenico non destano reverenza ma attraggono l’attenzione sui loro corpi prorompenti che si offrono.
Culmine del fenomeno “divismo” sarà il secondo atto: le doppie nozze – risultato di una pozione d’amore e di un inganno mascherato concepito dalla mente di Hagen – di Sigfried e Gutrune e di Gunther e Brünnhilde, saranno acclamate da un popolo di ultras, documentate avidamente da paparazzi e fan urlanti. Sotto questi riflettori si consumerà l’anima di Brünnhilde alla scoperta dell’inganno, il suo volto muterà da attonito a rancoroso sferzando lo sguardo più severo agli affamati osservatori. Capace di reggere il parossismo di questo adattamento moderno, Iréne Theorin è una eccezionale protagonista e in lei vediamo covare il risentimento e la vendetta. La Valchiria ha conservato nello spirito, se non nell’aspetto, la magia ultraterrena della sua natura mitologica.
In linea con questa socialità alterata della regia, ogni spettatore di Götterdämmerung, dal più tradizionalista al più compiacente, è coinvolto nella macchinazione di Graham Vick. Rompendo il sacro confine del palcoscenico nel teatro lirico, figuranti e interpreti si muovono nella platea, occupandone anche le poltrone. I fari, spesso a vista, illuminano direttamente le nostre facce e gli occhi infastiditi si distolgono, spostandosi a osservare gli altri volti in sala quasi sotto costrizione. Non c’è scampo al coinvolgimento diretto. Noi spettatori, melomani, cittadini, siamo associati agli invitati impellicciati delle nozze che ci siedono a fianco, al popolo selvaggio dei Gibicunghi che sacrifica alle divinità bestie innocenti e soggioga donne-prede di caccia. Vick è brutale soprattutto nelle scene d’insieme avendo per coro un clan di stupratori e per figuranti una schiera di kamikaze nell’epilogo eccessivo che lascia perplessi. Se il crepuscolo è compiuto, se “Dio è morto”, se tutti gli eroi sono caduti, in cosa credere, infatti, e per quale dio è possibile uccidersi ancora?
Questo Götterdämmerung rappresenta un’eccellenza stilistica nell’ambito dell’allestimento per le luci di Giuseppe Di Iorio e le scene di Richard Hudson. Entra nell’opera lirica, come già nel teatro contemporaneo, la denuncia della finzione: le luci diegetiche, manovrate a vista dagli operatori, e la scenografia versatile affiancata spesso dai cartelli di sicurezza del teatro, costruita sul momento dagli interpreti e, infine, distrutta e cestinata dai figuranti che ad una ad una accumulano come in una discarica parti della scenografia, rende chiara la scelta di smascherare la fabula.

 

 

 

Götterdämmerung
libretto e musica
Richard Wagner
Terza giornata, in un prologo e tre atti, della sagra scenica Der Ring des Nibelungen
direttore Stefan Anton Reck
regia Graham Vick
con Christian Voigt (tenore), Eric Greene (baritono), Sergei Leiferkus (basso), Mats Almgren (basso), Irene Theorin (soprano), Elizabeth Blancke-Biggs (soprano),Viktoria Vizin (mezzosoprano), Annette Jahns (contralto), Christine Knorren (mezzosoprano), Stephanie Corley (soprano), Renée Tatum (mezzosoprano), Antonio Barbagallo, Gianfranco Giordano, Carlo Morgante, Francesco Polizzi
mimi Jean Maurice Feist, Giuseppe Randazzo, Giuseppe Claudio Insalaco, Rocco Buttiglieri
scene e costumi Richard Hudson
azioni mimiche
Ron Howell
luci Giuseppe Di Iorio
maestro del coro Piero Monti
Orchestra e Coro del Teatro Massimo
assistente musicale
Friedrich Suckel
assistenti alla regia Lorenzo Nencini, Yamala-Das Irmici
scenografo e costumista collaboratore Mauro Tinti
assistente alle scene Giacomo Campagna
assistente ai costumi Elena Cicorella
foto di scena Rosellina Garbo
lingua tedesco
durata 5h 40'
Palermo, Teatro Massimo, 31 gennaio 2016
in scena dal 28 gennaio al 4 febbraio 2016

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