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Friday, 05 February 2016 00:00

Il teatro ci deve qualcosa

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Una finestra aperta come una possibilità schiusa sul mondo; in una Rimini che s’evoca un po’ felliniana nelle illustrazioni visuali e un po’ decadente, tipo La prima notte di quiete, nell’atmosfera cupa che si irradia in un interno, da una finestra aperta ci si addentra nel confronto tra due mondi distanti e senza altra possibilità di riscoprirsi contigui: un ladro, micragnoso e maldestro, s’intrufola – immaginandola vuota – nell’abitazione di una croupier d’origine tedesca, donna vissuta e solitaria, per depredarne l’argenteria; ma contrariamente a quanto postulato dal ladro, la donna è in casa, lo sorprende mentre armeggia e, anziché urlare instaura con lui un dialogo serrato, in cui vengono messe in risalto le rispettive mancanze, debolezze interiori – lo strisciante malessere di lei, che brama la morte come estrema consolazione – o difficoltà materiali – l’indigenza di lui, che lo costringe ad intraprendere con malcerta fortuna la carriera di grassatore.

Questo per sommi capi il plot drammaturgico di Il mondo non mi deve nulla, frutto della penna di Massimo Carlotto e messo in scena da Francesco Zecca, protagonisti Pamela Villoresi e Claudio Casadio. Lo sviluppo scenico punta su stilemi sostanzialmente tradizionali, cui s’aggiunge l’uso di proiezioni animate sul fondo ad inframmezzare lo spettacolo; espediente che oramai a teatro sta diventando così usuale da apparire stucchevole, quando non addirittura futile orpello atto a colmare deficit di inventiva registica, nella fattispecie risulta suggestivo ed evocativo all’inizio nel disegnare lo sfondo della vicenda – Rimini – per poi progressivamente svilire d’effettiva funzionalità e peccare d’eccessiva invasività. Riscontriamo invece la “tradizionalità” della messinscena in peculiarità quali la frontalità della scena stessa, incastonata nella statica scenografia di un interno elegante (che, per carità, è anche apprezzabile per come è strutturata, con un divano dondolante ad arco in centro e complementi di mobilio ai lati che, evocando onde e navi, suggeriscono il fluttuare incerto del divenire umano su cui la vicenda s’incentra); spazio dentro al quale si muovono due attori la cui caratterizzazione ci pare vacilli su una soglia incerta tra il realistico ed il caricaturale, con la Lise di Pamela Villoresi ad indulgere in un affettato accento teutonico e l’Adelmo di Claudio Casadio a sciorinare un’inflessione romagnola ruspante che, se non altro, serve a indirizzare i toni in direzione della commedia, sia pure intinta nel noir; tuttavia, ad onta della scelta di un registro recitativo molto canonico, entrambi gli attori sono pienamente in parte e sembra di poter dire che è proprio sulla loro capacità, fisica e verbale, di stare in scena che regge sostanzialmente lo spettacolo.
Tra ciò che sfugge ad un’effettiva relazione di senso v’è poi l’uso improvviso di un velatino, che permane in scena dopo una delle videoproiezioni, mostrando attraverso la sua trasparenza lo svolgersi di parte dell’azione scenica, così come appare registicamente poco convincente la scelta di spezzare l’impianto dialogico in favore di parti monologanti recitate in proscenio, con gli attori rivolti al pubblico.
Drammaturgia in bilico tra i toni della commedia brillante e le atmosfere fosche del noir, Il mondo non mi deve nulla vorrebbe racchiudere il proprio senso nella variabilità imperscrutabile dei destini umani, nella sovversione impreventivabile delle esistenze che può sortire dal più bislacco degli incontri, mettendo in contatto due vite afferenti a due mondi separati: da un lato una donna vissuta, una vita dissipata tra dissolutezza e menzogna, chiusa nella fredda albagia di un distacco dal mondo che anela a diventare totale, chiedendo la morte come sollievo; dall’altra un uomo di bassa estrazione sociale, che la crisi economica ha indirizzato alla carriera di ladro e la cui bonomia di fondo pare stridere con la “professione” intrapresa per necessità e con poca perizia. I loro cammini, incrociatisi per caso, subiranno l’influsso reciproco che indirizzerà il corso successivo degli eventi, variabili e fluttuanti come navi felliniane, o come denti di leone soffiati dal vento (proiezione, quest’ultima, che ricorre). Non c’è un credito da esigere verso la vita, si dichiara già nel titolo – fatto proprio dal personaggio di Lise – c’è piuttosto la percezione di debiti da saldare con se stessi, attraverso lo specchio rifratto dell’altro, di un interlocutore a cui riferirsi e da contraccambiare con la stessa moneta: sovvertire la propria e l’altrui vita, questo il percorso che accomuna Lise e Adelmo, mondi distanti che si toccano per essere reciprocamente scalfiti, per varcare rispettivamente quel limite incerto tra la vita e la morte (Lise) o tra la morte e una nuova vita (Adelmo).
L’idea di fondo non è particolarmente strabiliante né innovativa ed anche i dialoghi incalzanti non appaiono davvero incisivi e ficcanti, veicolati da un’ironia di maniera capace di ispirare tutt’al più il sorriso ad un pubblico indulgente; una regia sin troppo statica, senza guizzi, contribuisce in modo determinante a rendere Il mondo non mi deve nulla uno spettacolo di ordinaria convenzionalità, una finestra aperta su una possibilità non del tutto realizzata, un’occasione non sfruttata appieno affinché l’esperienza della visione teatrale rimanga come un’opportunità di arricchimento.
Perché in assoluto siamo noi a “dovere” qualcosa al teatro, mentre in questo caso rimaniamo con un credito non riscosso.

 

 

 

 

Il mondo non mi deve nulla
di
Massimo Carlotto
regia
Francesco Zecca
con Pamela Villoresi, Claudio Casadio
regista assistente Ilaria Genatiempo
scene Gianluca Amodio
musiche Paolo Daniele
costumi Lucia Mariani
disegno luci Alberto Biondi
disegni Laura Riccioli
foto di scena
Federico Riva
produzione
Teatroe Società, Accademia Perduta / Romagna Teatri
lingua italiano
durata 1h 20’
Napoli, Teatro Bellini, 2 febbraio 2016
in scena dal 2 al 7 febbraio 2016

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