Furioso come un Orlando ariostesco nel suo percorrere lo spazio, allucinato come la malinconia di uno spleen baudelairiano, il Canto scritto da Mario Fedeli e inscenato da Daniele Fedeli è un magmatico flusso poetico; un corpo e una voce di donna, dall’alto (Manuela Mosè), sono sguardo e suono flebile che sorveglia e illumina il poeta morente, il quale dabbasso misura freneticamente lo spazio scenico in una psichedelica di luci che ne frammentano l’azione, com’è frammentato e luminescente il verso. Lei, con un soffio di voce, invoca l’ultimo sangue d’un usignolo melodioso e morente, lui, corpo disteso che faticoso si leva, fedele al dettato della Poesia, è quell’usignolo e modula i suoi canti.
Non c’è un percorso drammaturgico lineare, c’è piuttosto un flusso poetico che ci fa percepire lei in alto come la Poesia, lui, in basso come suo diletto e devoto figlio, che in nome della Poesia si strugge e si consuma, in un’esalazione perpetua dell’ultimo respiro che si protrae all’infinito in forma di verso e all’infinito rimanda la propria fine cristallizzandola nell’etere imperituro della parola poetica. Perché morire è un accidente che la Poesia travalica e le bare dei poeti non sono che uno scherzo, ”astucci di violino che suonano il vuoto”.
L’animo si strugge, il corpo si strazia, Orlando abita la scena tendendo ogni nervo del proprio corpo fino allo spasmo, attraversa immagini fluide e flussi di luce, è corpo dolente che è riflesso dell’anima, anima e corpo che s’immolano all’altare della Poesia. Il cupo blu che domina assieme al buio suggerisce discesa nel profondo, nei precordi dell’animo del poeta “che se ne muore”, ripiegato su se stesso, come evidenzia quel pronome riflessivo.
Il suo canto è essenza di una resistenza (al tempo, alla morte), in cui corpo e anima del poeta si fondono in un afflato di titanismo trionfante, che vedrà il poeta infine cavalcare in groppa a un bianco destriero come un Orfeo vincitore sulle note del can-can travolgente del Galop infernal di Offenbach.
Rispetto a quando ne incrociammo visione a Stazioni d’Emergenza, il lavoro di Mario Fedeli sembra cresciuto, rimanendo comunque congruo alla sua sostanza magmatica e informe, digrossato però da certo “benismo” – che quando è omaggio e non è calco acquisisce valore aggiunto di (il)legittima filiazione – rimanendo nei sensi per la tensione poetica che trasmette, ma soprattutto lasciandosi apprezzare come fase propedeutica di una crescita in fieri, la quale partendo dall'espressionismo del verso pare possa convogliare tanta forza espressiva anche verso una direzione compiutamente drammaturgica (ché alla drammaturgia in senso stretto e canonico, in questo Canto, evidentemente e dichiaratamente si rinuncia), in cui trasfondere il vitalismo poetico che già lo pervade.
Canto d'un poeta che se ne muore (a Orlando Bodlero)
versi Mario Fedeli
regia Mario Fedeli
con Daniele Fedeli, Manuela Mosè
disegno luci Mario Fedeli
fonica Roberto Rabitto, Mario Fedeli
musiche Wolfgang Amadeus Mozart, Richard Strauss, Jacques Offenbach
musiche originali Daniele Fedeli
tecnici di palcoscenico Marco Vaudagna, Sergio Fedeli, Elena Rumy
produzione Il Teatro coop. produzioni / La Compagnia degli Innamorati Erranti
lingua italiano
durata 55’
Napoli, Galleria Toledo, 23 gennaio 2016
in scena dal 21 al 24 gennaio 2016