“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Tuesday, 05 January 2016 00:00

Rispolverando i camini della Gatta Zezolla

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"Perrault riduce Cenerentola a una piacevole fantasia senza implicazioni per noi. Ed è così che molti vogliono considerare la storia, il che spiega la diffusa accettazione di tale versione della fiaba".
Così denunciava nel 1976 Bruno Bettelheim, noto psichiatra infantile, nel suo saggio Il mondo incantato: uso, importanza e significati psicoanalitici nelle fiabe.1

Raccoglie il guanto della sfida la compagnia teatrale Mutamenti che, a partire dal 19 Dicembre 2015 fino al 6 Gennaio 2016, porta in scena Ceneré al Teatro Civico 14, in Vicolo della Ratta a Caserta. L’originale rivisitazione si fa apprezzare fin dalle prime scene per la scelta di una scenografia mobile: "Tutto ciò che è in scena deve essere utilizzato dall’attore", secondo la nota regola della “pistola di Čechov”2 – spiegano Rosario Lerro e Luigi Imperato, rispettivamente regista e drammaturgo dello spettacolo – "la scenografia non è un mero contorno, luogo che crea spazio per gli accadimenti della fantasia, ma si riduca a costituire ingombro scenico nella sua staticità. È una delle scelte che ci contraddistingue come compagnia: tutti gli elementi vengono agiti dall'attore, trasformandosi in altro, seguendo passo passo i luoghi della narrazione".
E, difatti, armadi che diventano panche, letti che diventano muri, poi dondoli, poi cantine, scorrono sulle tavole di legno del piccolo teatro, in una fantasmagoria dei luoghi, che vengono sgretolati e ricomposti dalla volontà superiore della storia narrata per mano degli attori. Sono questi a disegnare con le posture, gli atteggiamenti e i movimenti corporei quelle che conosciamo come maschere protagoniste di questa famosa fiaba: la matrigna, le due sorellastre perfide e, infine, l’eroina, Ceneré.
Con voluti omaggi alla partenopea La Gatta Cenerentola (Roberto De Simone, 1976) e all’omonimo racconto di Basile (Lo cunto de li cunti, 1634-36), l’opera inscenata si dimostra più vicina alla versione tramandata dai Fratelli Grimm che a quella di Perrault, cui si ispirò il lungometraggio animato della Disney.
In Perrault l’eroina ricorreva, come deus ex machina,  alla magia della fata madrina. "La Cerentola di Perrault è melensa e insipida nella sua dolce bontà, è completamente priva d'iniziativa (il che probabilmente spiega perché Disney scelse la versione del francese per il suo film)" – scrive sempre nel suo saggio Bettelheim.
Nella pièce questo elemento viene coraggiosamente ribaltato: dopo essere stata ingannata dalle sorellastre, camuffatesi da fate, la protagonista dovrà farsi forza da sé, mostrandosi intraprendente. L’elemento della magia viene così portato alla esasperazione, tanto da esserne ridicolizzato. Ridicolizzata è, ancora, la prospettiva obsoleta e denigrante della donna che la matrigna impone con inverecondia alle figlie.
Dal rituale della “preghiera alle scarpette” – con cui Imperato ha voluto rendere omaggio alla “preghiera al fucile” di Full Metal Jacket – ai balletti screditanti che dovrebbero mettere in mostra “i lati migliori” delle sue figliuole, la matrigna (interpretata da Roberto Solofria) congestiona in movimenti da burattini, ampi , sgraziati e dozzinali, il corpo della donna che il suo secolo pretende di rappresentare.
Al contrario, più dimessi, rapidi e fluidi i movimenti di Cenerentola, che riesce a sottrarsi alle angherie delle tre donne prendendo una decisione: rovistando in vecchi armadi per vestirsi del poco che ha, aprendo una porta e recandosi nel luogo in cui voleva essere.
Ancora, in Bettelheim, "Alla fine del ballo se ne va di sua iniziativa  e si nasconde dal principe che cerca di seguirla”, dando così inizio al rituale del corteggiamento amoroso che culminerà con il riconoscimento da parte del principe della donna che ha acceso i suoi desideri profondi.
Il simbolo della scarpina e così quello del piede piccolo come segno di distinzione e bellezza ritornano qui al loro significato naturale; non sono cioè più “prove” da dover superare per dimostrarsi degne del principe, ma sono invece importanti strumenti attraverso cui lui riesce a riconoscere, sebbene in abiti umili, l’amata. Difatti, in scena, è lui ad estrarre da una scatola illuminata una scarpina, mentre la nostra Ceneré congiunge a questa l’altra. Lo sguardo degli innamorati è alla medesima altezza, come il cuore dell’uno accanto a quello dell’altra.
E a nulla valgono i tentativi delle sorellastre di farle trovare la sua storia, dai sapori disneyani, già scritta in un libro: a tutta questa metaletteratura Cenerentola si ribella, ricordandoci che non occorrono scorciatoie e false apparenze, ma che "è necessario che trasformiamo noi stessi mediante un processo interiore".3



Dall’intervista a Luigi Imperato e Rosario Lerro:
“Per propensione amiamo un teatro abbastanza dinamico, che mantenga un ritmo coinvolgente e una scena viva”.


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Note:
1) Edizione Italiana Universale Economica Feltrinelli, Saggi, Gennaio 2000
2) Principio drammaturgico che recita: “Se in una scena compare una pistola, bisogna che spari”.
3) Op. cit., Bruno Bettelheim

 

 

 

CENERÈ
da Cenerentola
dei Fratelli Grimm, di Charles Perrault
e da La Gatta Cenerentola
di Giovan Battista Basile
drammaturgia e regia Rosario Lerro, Luigi Imperato
con Ilaria Delli Paoli, Roberto Solofria, Claudia Gilardi, Valeria Impagliazzo
scene Antonio Buonocore con Francesco Petriccione
costumi Alina Lombardi
maschere Vesna Sansone
musiche originali Paky Di Maio
luci e foto di scena Marco Ghidelli
produzione Mutamenti / Teatro Civico 14
Caserta, Teatro Civico 14, 26 dicembre 2015
in scena 19 e 20, 26 e 27 dicembre 2015, 2, 3 e 6 gennaio 2016

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