“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Friday, 11 December 2015 00:00

Requiescat in aeternum

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Ogni genere letterario ha le sue regole, ogni forma di comunicazione i suoi codici e passare dall’uno all’altro, generalmente, determina una perdita, legata alle necessarie scelte da operare, per restituire un nuovo senso, appropriato alla forma scelta, alle parole prese a prestito. Difficilmente il gioco riesce, ma EterNapoli è uno di quei casi felici in cui la parola, sollevandosi dalle pagine destinate alla lettura per transitare sulle tavole del palcoscenico, acquista nuova vita e, se possibile, si colorisce di sfumature che ne migliorano il senso, lo precisano.

Uno schermo gigante, grigio, campeggia al centro della scena, a fare da sfondo ad una sedia/trono con le rotelle, coperta di pesanti fregi dorati di cattivo gusto. Non ha bisogno di altro Enrico Ianniello per dare vita al regno dei Negromonte, protagonisti del romanzo Di questa vita menzognera di Giuseppe Montesano. Non ha bisogno che del suo corpo, del suo volto, della sua voce, delle sue voci per dare vita a tutti i personaggi, per farli parlare, agire, interagire davanti ai nostri occhi, quasi increduli e stupefatti dalla plausibilità dell’operazione drammaturgica.
Il romanzo ruota, volendo riassumere all’osso i numerosi spunti di amara riflessione, attorno all’estetismo decadente, inconcludente e traditore del dandy Carlo Cardano e del suo segretario Roberto (che opportunamente Ianniello fa laureare in Conservazione dei Beni Culturali); la tronfia volgarità dei Negromonte, oscuri imprenditori arricchitisi con l’industria delle bibite e nobilitati dal matrimonio del vecchio pater familias con la Baronessa; il progetto di trasformare Napoli in EterNapoli, ovvero la sua ricreazione storica, in cui il tessuto urbanistico sarebbe stato riportato (o ricostruito) all’antico e la popolazione tutta avrebbe recitato se stessa nelle diverse epoche storiche. Enrico Ianniello dispiega le sue doti attorali soprattutto nel rendere il claustrofobico microcosmo della famiglia, lasciando piuttosto sullo sfondo, o come ingranaggio dell’azione scenica e dei dialoghi, il progetto EterNapoli, forse troppo attuale, troppo in linea con i progetti di valorizzazione turistica dei Beni Culturali, troppo simile alla logica del brand, alla tendenza attuale a non vendere più solo prodotti e itinerari turistici, ma piuttosto stili di vita ed esperienze.
Il testo messo in scena riprende l’incipit del romanzo e lo migliora, lo segue da presso nella struttura dialogica e lo colorisce di vita, utilizzando la sapiente mescolanza di lingua italiana e dialetto napoletano che si arricchisce di calore e colore attraverso la voce viva recitante. Dove necessario, con garbo e misura, aggiunge una battuta, una parola, qua e là, per chiarire qualche nesso, precisare il non detto, risollevare l’attenzione, stimolare la sincera risata, laddove la parola scritta ha troppo del letterario, più che della vita che sembrerebbe voler mimare. La madre, Roberto, Cardano, il vecchio Negromonte, Amalia, Miranda, Bianca, Ferdinando, Calebbano, Andrea, il figlio ribelle... a ciascuno Enrico Ianniello dà una voce diversa, ognuno viene caratterizzato da un gesto, un’attitudine del corpo, un attributo; ognuno riceve un tratto di personalità seppure macchiettistica, ma anche nel romanzo ciascuno di loro non ha vero corpo, ma rappresenta solo un simbolo, un fenomeno sociale, un tipo umano. La mamma ha testa incassata tra le spalle, il collo proteso in avanti, un accenno di gibbosità dietro le spalle. Miranda ha la voce roca, con una nota mogia, un po’ rallentata, scandisce le parole come se ognuna di esse le costasse molta fatica, come se le costasse fatica pensare, costruire una frase di senso compiuto. Calebbano ha la voce tagliente, tono professionale, lo si immagina alto e asciutto, mentre suo fratello Ferdinando trasuda già dalla voce grasso e sudore. Cardano ostenta un tono blasé, molto effeminato, mentre Roberto, così amorfo nel romanzo, ha qui una voce sicura, colma ancora di spiriti vitali. Andrea si torce le mani, sembra diafano, già vittima sacrificale, anche quando il tono sommesso si carica di accenti drammatici, di denuncia, di rivolta. Il vecchio Negromonte, seduto sulla sua sedia a rotelle, ha la voce roca e la forza insita di un animale. Mancano 'o Sciacallo (il fratello architetto), Nadja, l’archeologa, l’autista Ciro, ma poco avrebbero aggiunto all’azione e forse troppo avrebbero appesantito un monologo che si dispiega, invece, serrato, senza far calare nemmeno per un attimo l’attenzione e la riflessione. Le videoproiezioni di Mauro Penna completano e fanno da sfondo all’azione, evocando, di volta in volta, le spirali di fumo delle sigarette oppiate di Cardano e i profumi che fa bruciare nella sua stanza; i sottili raggi della luce del giorno che penetrano tra le assi di legno inchiodate sulle finestre; il vapore della sauna a villa Negromonte; il lusso volgare dei parati damascati; il giallo dello zabaione di Miranda, la moglie di Ferdinando.
“C’è ancora qualcuno che ami il sudario della Bellezza? Un giovane che non abbia più nulla da chiedere a questo mondo decrepito? Ho quarantatré anni, dieci più di Cristo quando fu crocifisso, e come lui non prometto ricchezze materiali. Io non offro la stupidità della conoscenza, ma l’ardore dell’oblio”. Questo il testo dell’annuncio di Cardano, “L’annuncio chiedeva qualcuno disposto a lasciarsi alle spalle il mondo della volgarità, la melma conformista del presente”. Ma a cosa conduce l’estetismo estenuato? Il trincerarsi orgoglioso nella purezza delle idee? Sudario e oblio, due termini chiave: la cultura è morta, tutto, anche queste righe, non sono altro che esercizio letterario. Se ci si guarda attorno, se si percorrono le strade della città, si guardano i manifesti che reclamizzano le prossime ondate di eventi, cosa resta al singolo? Quale ruolo per l’intellettuale, se non quello di patetico precettore del nuovo o vecchio volgo arricchito o fucina di idee o belle citazioni da utilizzare per la messa in valore dei nostri giacimenti culturali? Davvero la visionaria e profetica trama di Giuseppe Montesano sembra evocare un sudario, che copra pietosamente le spoglie di una città depositaria di millenni di esperienza umana ridotta alla recita di se stessa.

 

 


N.B.: Su EterNapoli si veda anche:
Paola Spedaliere, Solo le cozze sopravvivono all'etica – Il Pickwick, 11 novembre 2015

 

EterNapoli
di
Enrico Ianniello, Giuseppe Montesano
dal romanzo Di questa vita menzognera
di
Giuseppe Montesano
diretto e interpretato da Enrico Ianniello
videoproiezioni Mauro Penna
datore luci Nicola Voso
direzione tecnica Lello Becchimanzi
suono Daghi Rondanini
costumi Fabiana Amato
aiuto regia Costanza Boccardi
foto di scena Alessia Della Ragione
produzione Teatri Uniti
lingua italiano, napoletano
durata 1h 10'
Napoli, Piccolo Bellini, 9 dicembre 2015
in scena dall’8 al 13 dicembre 2015

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