“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Saturday, 02 March 2013 01:00

Feticismo e verità: note sul nostro tempo. "I piedi in testa" di Mazzeo

Written by 

Il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, meglio conosciuto con la sigla DSM, è una sorta di best-seller nell’ambito della descrizione tassonomica dei disturbi mentali. Medici, psicologi, psichiatri lo considerano spesso una Bibbia, il Testo di riferimento all’interno del quale trovare la serenità della classificazione unita alla dolcezza del dominio razionale. Chiaramente (manco a dirlo) è di origine anglosassone e, a sfogliarlo, probabilmente si avrebbe l’impressione di una gelida fiera secentesca o forse di una tutta nuova e positivistica “corte dei miracoli”.

Prima però di addentrarci in ciò che abbiamo scelto di raccontare bisogna che lo scrittore di questo pezzo inviti alla cautela, del resto la prudenza non è mai troppa, per cui: “attenzione!”, sfogliare libri del genere può essere altamente pericoloso, la descrizione nosografica è spesso veramente minuziosa e, visto che i sintomi sono spesso “profezie che si autoavverano”, potremmo ritrovarci immediatamente come dei perfetti esemplari da ASSE IV, dove si analizzano i fattori psicosociali che determinano il disordine psichico o addirittura nell’ASSE V, dove vengono proposte vere e proprie valutazioni globali del funzionamento della mente. Potremmo in poche parole scoprire di essere dei perfetti esemplari (da studiare, ovviamente) in cui sono presenti i sintomi di un “disturbo dell’ipersessualità”, cosa che per noi era semplicemente un eccesso di esuberanza sessuale (nonché un vanto quanto a durata e a quantità di rapporti sessuali eseguiti in una porzione di tempo determinata), e che invece va trattato dal punto di vista psichiatrico.

Ma noi amiamo la vita e quindi questi libri non li sfogliamo. Invitiamo, come in una bella e buona pubblicità (anti)progresso, il lettore non esperto e non addentro a queste questioni a tenersene alla larga. Se poi siamo “malati”, pazienza!, speriamo soltanto che non se ne accorgano troppo presto.

Il protagonista di questo bel cortometraggio – che unisce la spettacolarizzazione kitsch à la MTV (esondante in personaggi sado e cuscini con foto di Michael Jackson) all’attitudine documentaristica di descrizione di una realtà specifica – è Peppe Fetish, uno di quei personaggi “unici” della movida napoletana, che tanti fiumi di inchiostro medico potrebbero far scorrere e che tanti cervelloni riuniti in convegni internazionali non saprebbero analizzare né definire. Diciamo che noi potremmo prendere Peppe Fetish come una sorta di grimaldello per far saltare ogni certezza positivistica in un’oggettività della malattia (cos’è poi e riguardo a che c’è malattia?) ma questo ci porterebbe verso i cammini sterrati di una polemica di idee che non è il caso di fare qua sopra e che, in fondo in fondo, ci interessa poco. Sono cose dette e ri-dette e questo cortometraggio già si pone oltre questa prospettiva per così dire “polemica”.

Ma se Peppe Fetish è un grimaldello, è però anche un re. Un re? Come un “re”? Sì, proprio un re, nel senso di: colui che regna. Nelle “corti dei miracoli”, geniali ritrovi di geniali anarchici ante-litteram, che facevano della miseria e della “malattia” il loro modo di stare al mondo e di menare un’esistenza fuori dalla necessità borghese della riproduzione economica, c’era la figura del “re”, eletto dal popolo di “miracolati”, cioè colui che in un certo senso presiedeva a quella moltitudine di “esclusi” e con le sue capacità, palesemente fuori dal comune, riusciva durante la notte a eliminare le infermità (e lì a fare baldoria, con ciechi dalla vista d’aquila, storpi che facevano complessi esercizi ginnici, e giù tutti a ubriacarsi e a festeggiare), le quali infermità poi, come per un’allegra ed eterna dannazione, ricomparivano al mattino, quando la moltitudine si disperdeva per la città a impietosire i passanti e a racimolare di che campare. Ma anche questa definizione di Peppe Fetish come “re” di una corte dei miracoli ci porta troppo lontano, in tempi che sono già sempre mitologia superata, che affondano in un passato lontano, del quale forse le nostre coordinate cognitive non ci permettono di esplorarne il senso. E poi il “mito” (e Peppe è un “mito”) ha la sua reale potenza nel momento in cui si pone come spiegazione di una realtà dalle coordinate specifiche. E allora restituiamo a Peppe Fetish ciò che è di Peppe Fetish, cioè la capacità di essere allo stesso tempo un rappresentante dell’età più arcaica o (forse più correttamente) archetipica dell’umano, una sorta di uomo-essenza, vedendolo si percepisce infatti un eterno presente che si riattualizza sempre uguale sempre diverso nel suo sguardo, e dall’altro un perfetto prodotto della nostra epoca, che scorazza tra movida e facebook (i suoi profili sono veramente numerosi e “significativi”), che cerca la notorietà ben oltre il quarto d’ora, che fa della sua “debolezza” (debolezza, malattia, necessità – per gli altri – di cure) la sua forza di comunicatore. Ciò che affascina di Peppe Fetish – e questo documentario lo mette ben in rilievo – è la sua “verità”. Peppe è vero e questo cortometraggio ne racconta la verità, né più né meno. Attenzione, però: la verità non come elemento atemporale ma come descrizione del modo contemporaneo di essere alla stessa maniera nel mondo e fuori dal mondo. Protagonista della realtà così come si è protagonisti di una gran bella fiction esistenziale.

Il documentario non è soltanto descrittivo ma paradigmatico. La sua dinamica è in perfetto equilibrio tra la “storia di un uomo particolare”, la mediazione televisiva (come si diceva: à la MTV), l’autorappresentazione spudorata del personaggio. Evidentemente non vuole condurre a facili (quanto sempre reazionari) romanticismi di sorta, non vuole infatti farci empatizzare con Peppe Fetish più di quanto non lo prenda in giro, anzi, più di quanto Peppe Fetish non prenda in giro se stesso e spettacolarizzi la sua “passione” per i piedi. Ecco! forse non l’avevamo detto ancora, la “passione” del nostro Peppe è per i piedi (“femminili, perché sono al 100% eterosessuale” ci tiene a sottolineare), per calze trasparenti e color carne (prevalentemente), per qualsiasi tipo di odori e puzze che possono emanare da essi piedi o da esse calze, odori e puzze che devono essere “veri”, devono lasciar andar via la vera densità carnale e spirituale del piede e del femminile o come dice un amico di Peppe, ed è la parte più “teoretica” del corto: “il piede è una parte veramente importante per una donna, un piede ben curato, profumato denota appunto il profumo di quella donna, è la carta d’identità spirituale di quella donna stessa, quindi io adoro le donne, e non posso fare a meno di abbassarmi ai loro piedi, solo che, a questa mia passione, devo anche prendere degli accorgimenti igienici, perché spesso alle feste fetish dove vado tra Roma e Milano, sono tantissimi gli uomini che si abbassano ai piedi delle donne”.

Lo spiritualismo del piede femminile è lo spiritualismo della statua della Madonna dinanzi alla quale il buon Peppe si fa sì la croce, ma non può resistere dall’abbassare lo sguardo verso i piedi. Che il buon Peppe si sia prestato a una goliardia registica è fin troppo chiaro ma, se vogliamo divertirci un po’ anche noi che scriviamo, si potrebbe dire che la Madonna è una delle immagini archetipiche del femminile, per cui è chiaro che il nostro Peppe, strano mostro mitologico metà archetipo metà postmodernista mediatico, non possa che provarne attenzione e attrazione (l’archetipo), e non possa non prendere in giro questa stessa attenzione e attrazione (postmodernismo mediatico). E lo spiritualismo e le forme elevate di questa “passione” vengono ben raccontate nella scena che potremmo “volgarmente” definire di “sesso” ma che invece, in un continuo capovolgimento parodistico (per cui ciò che è oggetto di sessualità fetish è oggetto d’amore spirituale e ciò che è oggetto d’amore spirituale è oggetto di sessualità fetish, in cui insomma Peppe è Romeo e il piede di turno la sua Giulietta già sempre irraggiungibile perché “soltanto” piede), possiamo definire scena romantica, in cui la bocca e la lingua di Peppe incontrano un piede e fanno all’amore con lui, con la sempre ironica e kitsch scelta registica di utilizzazione di un bianco e nero, fortemente virato, con sprazzi di luce a mettere in rilievo i rivoli di saliva passionale che inondano l’arto femminile.

L’amore come non si racconta (quasi) mai.

Dunque: se è vero quanto si è detto poco più sopra, che all’interno del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali potremmo ritrovarci noi tutti ben “definiti”, noi che ostinatamente amiamo considerarci normali e che inseguiamo una nostra particolarissima felicità, è vero anche che in Peppe Fetish c’è la rappresentazione incarnata (il Verbo che si fa Carne) della nostra realtà. Caro lettore, mio simile e amico, sta a te decidere: senti più di rientrare in una categoria nosografica e dunque lì a correre da un medico psichiatra che ti dà tante belle gocce che ti fanno fare la buonanotte o pillolette che ti rincoglioniscono e ti rendono buono buono, o preferisci pensare che anche in te viva un po’ di Peppe Fetish, e dunque giù per le strade a scorazzare, su facebook a pubblicizzare e a mettere genialmente alla berlina le tue personalissime “passioni” e a giocare con esse come in un postmoderno gioco delle parti?

 

Per chi fosse curioso, questo è il link in cui potrete trovare questo piccolo capolavoro sotterraneo: http://vimeo.com/59399992

 

I piedi in testa (walk over me)

regia Pierluigi Mazzeo

con Giuseppe Borgia

paese Italia

lingua italiano

colore b/n

anno 2012

durata 29 min.           

 

               

Leave a comment

il Pickwick

Sostieni


Facebook