“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Thursday, 05 November 2015 00:00

Le invisibili forme semantiche della moderna tortura occidentale

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“E non c'è periodo storico peggiore del medioevo quando le punizioni diventano tecnologiche”

 

Questa citazione viene dal programma documentario Macchine di morte sul canale DMAX, e per l'esattezza da due puntate dedicate agli strumenti creati dall'Inquisizione durante il Medioevo.
In questi ottanta minuti, attraverso riproduzioni in computer grafic ma sopratutto esperimenti con manichini e vari pezzi di carne da maiale, si cercano di simulare tutti i vari effetti e difetti di queste macchine da tortura.

Si cerca scrupolosamente di capire quali leggi fisiche e quali meccanismi permettano le varie mutilazioni o le intralcino, senza alcun sentimentalismo. E dopo ogni esperimento viene poi mostrato uno strumento contemporaneo (uno spremiagrumi, la trasmissione delle auto, le funi per le acrobazie di Hollywood, un tagliauovo) che usa la stessa tecnologia di quello strumento con una voce narrante che ricorda allo spettatore quanto le invenzioni alla base delle macchine da tortura abbiano “migliorato la nostra società”. Ma c'è qualcosa di ancora più interessante ed è che a condurre il programma sono degli speaker-esperti (un antropologo, un ingegnere e una neurobiologa) che per tutto il tempo durante i vari esperimenti fanno battute, scherzano e si compiacciono parecchio davanti ai vari strumenti che devastano i simulacri umani. Certo questi non mancano di sottolineare puntualmente “la crudeltà”, “la disumanità”, “l'atrocità” di queste torture, ma lo fanno con il sorriso stampato sul volto per quasi tutto il tempo. Tranne quando, lanciando il manichino dall'alto sul palo, non riescono a impalarlo, lì invece sono proprio delusi e non lo nascondono neanche un po'.
È fuori di dubbio che solamente la distanza da un certo periodo storico renda possibile e gradevole un documentario di questo tipo, che si possa trattare allegramente di questi argomenti senza tabù proprio perché nessuno viene più torturato ai giorni nostri nelle nostre società. La stessa parola tortura evoca un passato oscuro, o al limite qualche barbarie contemporanea compiuta da terroristi, pazzi, dittatori sanguinari, schiavisti o selvaggi. In tutti i casi qualcosa di lontano da noi e dalla modernità.
Ora questo è molto interessante, perché invece la tortura avviene ogni giorno in tutto il mondo “civilizzato” e spesso anche molto vicino a noi: viene praticata tanto dai terroristi quanto dalla CIA e dai militari sui terroristi catturati, viene praticata legalmente nella pornografia1 dove ha il suo listino prezzi e sembra copiare la realtà,2 viene praticata tanto nelle carceri della Corea del Nord tanto quanto in quelli di Guantanamo, viene praticata nelle zone di detenzione della Russia ma anche in Europa e nella nostra cara Italia dove ancora una legge apposita contro la tortura non esiste.
Ma chi di noi sentendo “tortura” penserebbe mai al carcere minorile di Bologna3 o ad Asti4?
Per molti Diaz5 è solo in cognome di una gran bella donna sempre sorridente, e quasi nessuno sembra ricordare la sorte riservata ai brigatisti dell'82.6


Eppure pensare che viviamo in una società dove le persone vengono torturate, dove per delle idee divergenti si può venire fatti a pezzi da uomini dello Stato, dove la brutalità con o senza scopo viene tollerata, per noi è semplicemente impensabile: “Insomma si saprebbe e si vedrebbe se fosse così!”.
Si tratta di un fatto alquanto grave, forse ancora più grave delle violenze stesse che esistono e alle quali ci si approccia con diffidenza e indifferenza, e assolutamente non casuale.
La nostra società occidentale contemporanea fa infatti di tutto per costruire un immagine di sé in cui disprezza ogni forma di violenza: dalla censura dei cartoni animati e spot pubblicitari, alla lotta contro la violenza di ogni tipo tanto su donne e bambini quanto sugli animali.
Ed è precisamente per questo che, in un luogo come le carceri dove nessuno vede, la tortura può esistere e che può continuare a farlo nonostante il trapelare delle notizie proprio perché non sono i fatti a costruire la nostra realtà, ma sono le parole ed i linguaggi con cui descriviamo questi fatti.
Che cos'è dopotutto la tortura? I nostri stessi dizionari sono ambigui in una maniera inquietante.7 Chiedendocelo noi non possiamo rispondere in alcun modo se non con un immaginario di pratiche, strumenti e vittime con cui ci è stato raccontato delle torture compiute dall'altro.
La drammaticità legata all'inquisizione, per esempio, è inscindibile da un immaginario di innocenti rinchiusi e fatti soffrire solamente per le loro idee. Ed è la stessa drammaticità che accompagna la persecuzione attuale dei praticanti cinesi del Falun Gong8 o la recente persecuzione delle Pussy Riot in Russia. Quanto avviene nelle carceri accanto alle nostre case, invece, ci turba sì ma poi non troppo proprio perché la storia non regge, perché la trama è diversa e quella violenza avviene comunque su dei presunti colpevoli di “fatti”, nel luogo della colpa e del peccato che è il carcere. Quali siano poi effettivamente questi fatti e se anche dietro di essi ci sia il rifiuto di un sistema di idee e di alcune forme di coercizione, poco sembra interessarci...
Ma chiaramente non finisce qui, perché in quel gran dimenticaio/ripostoglio sociale che è il carcere, quanto avviene non ha nulla a che vedere con l'immaginario legato alla tortura anche dal punto di vista dei metodi e degli strumenti. Dopotutto: sono davvero “torture” i pestaggi, gli isolamenti ingiustificati, il freddo, le perquisizioni invasive e umilianti non inevitabili,9 la cella liscia,10 l'acqua all'arsenico,11 e le celle così sovraffollate tanto da incitare al cannibalismo e al suicidio? Non sembra, certo non ci piace, è una sofferenza senza alcuno scopo, nociva alla riabilitazione (che spesso ci dimentichiamo essere l'unico motivo per cui ufficialmente la privazione della libertà personale viene giustificata e distinta da una qualsiasi legge del taglione) e non prevista dalla pena, ma sono azioni che fanno comunque una magra figura rispetto a tante altre storie di chi sembra fare a gara per sembrare più temibile. Ne parliamo, quelle poche volte in cui ne parliamo, dicendo che è semplicemente “la dura realtà“ o “la difficile realtà” del carcere, quasi fosse una realtà altra, situata altrove, voluta e popolata da altri, sia perché ci sentiamo altri rispetto alle vittime di tutto questo (“dopotutto se lo sono meritato, sono criminali!” dimenticandoci di quanti innocenti vi siano in attesa di giudizio, o presumendo che rei di una colpa sia lecito soffrire qualunque tipo di pena possa capitare) e sia perché fatica a trovare una collocazione nel mondo per come lo costruiamo interpretando ogni giorno i suoi fatti. Nuovamente l'assenza di sedie chiodate e gigantesche ruote ci pare un fatto innegabile (benché in quei luoghi personalmente non abbiamo accesso e di conseguenza lo crediamo “fidandoci”), ma come scrive Baudrillard in una delle sue più brillanti citazioni “la grande impresa dell'Occidente è stata quella dell'estetizzazione del mondo”.12


Così le varie macchine terrificanti medievali hanno lasciato il posto al waterboarding e al bastone elettrico13 (prodotto specialmente da Francia e USA). Ovvero a non-oggetti, igienici, facili da usare secondo le modernissime regole del design e dell'ergonomia, che non lasciano traccie né di sé né sui corpi delle loro vittime. Sono strumenti tecnologici, pratiche smart, usi resi possibili anche dal progredire dei farmaci e della psicologia. Ecco perché quando la moderna Russia deve torturare una delle Pussy Riot incarcerate, soggetto con grande visibilità internazionale, non si ricorre mica al ferro caldo ma alla “medicina” e la si sottopone a “visite ginecologiche” ogni giorno, per tre settimane di fila.14 Tortura sì, ma mai a discapito dell'immagine e delle regole basilari del marketing.
Le torture che avvengono oggi nella nostra realtà sono così costruite in modo tale da essere inscindibili da una narrativa del casuale, dell'accettabile e persino dell'inevitabile. Esse non hanno nulla in comune con la tortura immaginata che invece è una pratica barbara, atroce e sanguinolenta, e la cui barbarità è inscindibile dai suoi strumenti (la frusta, il trapano, il fuoco, il machete) che divengono segni di culture altre e significano per noi in maniera inequivocabile la tortura.
Quella moderna occidentale è così una tortura per assenza di marche semantiche, tanto dal punto di vista degli strumenti e metodi significanti che dal punto di vista di attori che la compiono. Come può mai infatti esistere “tortura” senza una vittima, senza strumenti da tortura, e senza un torturatore? Non può, manca un copione, se non certo nei fatti.
Ecco perché oggi nella maggior parte dei casi essa non prevede nemmeno più qualcuno che la compia ma solamente la costruzione di condizioni rischiose e l'omissione dei vari “incidenti” conseguenti. Non più la guardia che stupra o pesta, ma che lascia stuprare o pestare, lasciando persino alle vittime il compito di fare altre vittime e di incarnare il ruolo del mostro ideato da carnefici con le mani pulite. È la violenza della mancanza di fondi, dei regolamenti carenti e diversamente interpretabili, del disinteresse sociale e dell'assenza di informazione, dell'imprevisto, della sicurezza, della banalità del male, è una violenza di cui in fondo sembra che nessuno abbia mai colpa. È quasi quella stessa violenza finzionale per cui autore e lettore sono taciti complici nel dare vita a storie in cui una felicità può esistere solo per venire spezzata.
Ma è davvero così? Non abbiamo forse esagerato e mescolato un po' tutto? Lasciamo a ognuno il compito di guardare fuori dalla finestra e decidere per sé, invitando semplicemente a porre maggiore attenzione alle storie e alle parole con cui leggiamo e costruiamo la nostra realtà: invitando ovvero incondizionatamente alla critica e all'arte.

 

 


 

Note:
1) http://elitepain.com/home.php
2) http://www.ilgiornale.it/news/cronache/detenuti-seviziati-ruota-tortura-1088472.html
3) http://bologna.repubblica.it/cronaca/2012/08/03/news/pratello-40284392/
4) http://www.osservatorioantigone.it/new/76-archivio/2472-lo-scandalo-delle-torture-nel-carcere-di-asti
5) http://www.internazionale.it/notizie/2015/04/07/genova-g8-inchiesta
6) http://espresso.repubblica.it/attualita/cronaca/2012/04/05/news/cosi-torturavamo-i-brigatisti-1.42054
7) http://www.treccani.it/vocabolario/tortura/
8) http://lepersoneeladignita.corriere.it/2012/07/24/cina-carcere-e-tortura-per-gli-eretici-del-falun-gong/
9) http://www.dirittoitaliano.com/giurisprudenza/provvedimento.php?Perquisizioni-in-carcere---denudamento-prima-del-colloquio-con-il-difensore---41-bis---limiti-per-l-adozione-della-misura-1431
10) http://www.linkiesta.it/it/article/2014/03/01/nella-cella-liscia-dove-si-torturano-i-detenuti/19896/
11) http://www.repubblica.it/solidarieta/diritti-umani/2013/01/25/news/acqua_all_arsenico_nelle_carceri-51271459/
12) Jean Baudrillard, Trasparenza del male
13) http://www.ecn.org/asicuba/articoli/torture.htm
14) http://www.theguardian.com/world/2013/dec/23/freed-pussy-riot-amnesty-prison-putin-humiliation

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