“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

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Monday, 19 October 2015 00:00

L'amore è guerra o tregua?

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All’interno della rassegna per il trentennale della Sala Assoli, è andato in scena Celia di Alessandra Cutolo che torna nei luoghi che l’hanno vista muovere i suoi primi passi nel mondo del teatro con i grandi maestri come Servillo e Martone. Sua è anche la drammaturgia che riprende un testo del Samuel Beckett romanziere del 1938 intitolato Murphy, il protagonista, che, spinto dall’amante Celia Kelly a cercare un lavoro, lo trova come infermiere in un manicomio, approdando ad una dimensione esistenziale che lo porterà alla morte.

A questi due personaggi sulla scena si affianca un terzo sulla sedia a rotelle, il marito di Celia, che trascorre il suo tempo suonando il sax e costruendo aquiloni di carta. I tre personaggi si muovono all’interno di un cubo nero che è tutta la scenografia della sala. Al centro campeggia un letto matrimoniale disfatto su cui si rotola Murphy a torso nudo e sarà il campo di battaglia non solo amoroso con Celia, ma anche delle conversazioni che vedono la donna spingere l’uomo a cercare un lavoro in modo da permetterle di lasciare la strada su cui si prostituisce. A sinistra si trova l’uomo sulla sedia a rotelle, prevalentemente di spalle o di sbieco al pubblico, come un personaggio che si inserisce tra i due determinandone la conclusione e, perciò, per nulla marginale.
I personaggi affidano la loro sorte alla lettura dell’oroscopo come avviene anche nel romanzo beckettiano, come se il loro destino sia nelle mani di un effimero ed inconsistente futuro. Un altro personaggio, invece, non è sulla scena, ma è presente unicamente con la voce dialogando con Celia, sua “collega” di marciapiede. È Aisha, prostituta africana che ha marito e cinque figli da mantenere, che non ha smesso di credere nell’amore nel quale vede la via di fuga verso una vita normale. Nelle conversazioni con Celia, Aisha la spingerà a riflettere sul ruolo che spesso assume chi ama nel voler cambiare l’altro per egoismo, pertanto queste riflessioni porteranno Celia a quel gioco delle parti in cui ci sono un ricattatore e un ricattato. La donna, nel suo vestitino misero con le scarpette fucsia che si toglie e rimette spesso sulla scena, con il suo morbido accento spagnolo, è il filo che lega le tre vite dipanandosi dalla sua postazione, una sedia, una pianta striminzita, un paravento, a quella centrale dove c’è Murphy, e a sinistra, dove la sedia a rotelle domina lo spazio. L’inquietudine di Celia, il desiderio di fuga, il vuoto, il buio che prova, che sente sulla sua pelle, trova sfogo e consolazione nel marito ed è accentuato dagli incontri con Murphy, che, pur sapendosi ricattato, cercherà e troverà il lavoro che, per un incidente, lo porterà alla morte.
“Tutto si ricongiunge al nulla dove non c’è nulla di più reale”, e Celia, spingendo la sedia a rotelle del marito, uscirà di scena parlando con lui con un tono intriso di pena e rassegnazione. I personaggi di Celia e il marito sono presentati in modo abbastanza convenzionale e si muovono come se fossero consapevoli del loro ruolo nelle loro vite, invece Murphy parla napoletano passando da un lessico gergale a termini colti, come corpus stimoli, che lo trasformano in un marziano piombato nella miseria delle esistenze proprie e altrui. Di non facile lettura immediatamente, la pièce si schiarisce poco alla volta, uscendo dal cubo nero della finzione. O della vera realtà.

 

 

 

 

Celia
drammaturgia e regia Alessandra Cutolo
con Silvia Gallerano, Carmine Paternoster, Marcello Fonte
scene Giancarlo Savino
disegno luci Samos Santella
lingua italiano
durata 1h
Napoli, Sala Assoli, 14 ottobre 2015
in scena dal 14 al 18 ottobre 2015

il Pickwick

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