“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Saturday, 10 October 2015 00:00

Gli altri siamo noi

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È un martedì di dicembre del 2011 e come ogni mattina gli ambulanti allestiscono i loro banchetti per iniziare una nuova giornata di lavoro in Piazza Dalmazia a Firenze. Si mette a posto la merce, si servono i primi clienti. La giornata sembra scorrere come tutte le altre. Poi, verso mezzogiorno e mezza, la morte arriva all’improvviso, portata da un angelo del male che piomba nel mercato iniziando a sparare con determinazione e senza alcuna indecisione. Mira ai venditori di colore, agli africani dalla pelle scura. Sotto i suoi colpi cadono Samb Modou e Diop Mor, entrambi senegalesi.

La tensione, il panico, il fuggi fuggi. Le forze dell’ordine arrivano tempestivamente, ma dell’assassino non c’è traccia. Qualcuno già parla di “regolamento di conti” tra immigrati. La paura tra i senegalesi è immediata, come la loro reazione: una loro delegazione spontanea si avvia dalla piazza alla Fortezza. Poi alle 15 si odono altri spari in Piazza San Lorenzo: la bestia è tornata a cercare altro sangue. Mor Sougou e Cheikh Mbengue vengono colpiti ma riescono a salvarsi. Altre grida, altro terrore. Poi l’assassino viene intercettato in un garage sotterraneo lì vicino. Si sente braccato, si ammazza. Cosa abbia spinto quest’uomo a uccidere uomini neri non lo sapremo mai. Le indagini ci dicono che si trattava di un pistoiese cinquantenne militante di estrema destra. Italiano.
È il 31 maggio 2009 e Mohammed Ba aspetta l’autobus, in una via di Milano, alle otto meno un quarto di sera. “Qui c’è qualcosa che non va” sente dire da un giovane con la testa rasata che lo colpisce due volte all’addome con un coltello, prima di sputargli in faccia. Mohammed giace lamentandosi per un’ora a terra, prima che arrivino i soccorsi. Le persone non sono intervenute subito, anzi. Italiano l’aggressore, italiani gli astanti.
Firenze e Milano sono riprese nei loro luoghi simbolo: i ponti sull’Arno e Piazza del Duomo quasi a mo’ di cartoline, per restituire un senso di appartenenza e identificazione in chi guarda, attraverso immagini fortemente codificate. A ciò si aggiunge uno dei simboli più immediati dell’italianità, quel Va’ Pensiero che molti vorrebbero come vero inno della Nazione al posto del più frusto Fratelli d’Italia, capace di destare un sentimento identitario immediato e qui proposto nella versione soffusamente jazzata di Veronica Marchi (con la collaborazione di Nicola Alesini e Madya Diebate), funzionale sottolineatura del senso di stupore per una Patria che si stenta a riconoscere, della malinconia per i nobili ideali che abitavano i padri dell’unità nazionale.
Valori che il raccontastorie (griot) Mohamed Ba riconosce ancora come patrimonio del suo paese d’adozione, tesoro che va riscoperto e rimesso in circolo grazie all’opera di educazione sulla cultura dei migranti che realizza nelle scuole, così come gli spettacoli teatrali in cui tratta della devastazione sociale ed economica dell’Africa cominciata con lo schiavismo. Mohamed è un interlocutore culturale che mette le sue conoscenze e tutto il suo essere a disposizione di chi vuole ascoltare le storie e le ragioni dell’Altro, che sono (sono state, saranno) anche le nostre, di noi Italiani che mesti rimembravamo le perdute sovranità e libertà sulle note verdiane o che sfuggivamo alla miseria al suono dei motori dei transatlantici o dei treni della speranza. Moe e Cheikh non parlano ancora l’italiano, si esprimono nella loro lingua, ma non riescono a capacitarsi del fatto che l’assassino non lo conoscessero, che il nemico fosse un estraneo con cui non avevano mai avuto a che fare. Protagonisti dalle storie e dalle situazioni diverse e accomunati dalla violenza di tipo xenofobo e razzista, i tre ci ricordano che l’ingiustizia subita è segno di un sentimento di diffidenza, timore, chiusura che può trasformarsi in aperta ostilità e violenza, specialmente in un clima alimentato ad arte per trasmettere un senso generale di allarme utile a biechi fini elettorali. Storie queste che ci dicono di Italiani diversi dall’immagine di popolo tollerante e accogliente che ci eravamo dati, di altri rispetto ai padri della Patria, piccoli e meschini nel preservare (ma da cosa, poi?) il benessere raggiunto. Chi ci restituisce questo sguardo profondamente italiano e che per questo smaschera le pretese virtù nazionali è nato e cresciuto ad Addis Abeba, ha attraversato il deserto libico ed è sbarcato a Lampedusa. Prima di studiare cinema a Roma e partecipare a documentari che illuminano i migranti, staccandoli dall’unidimensionalità del mero dato numerico (e del portato inevitabilmente problematico). Dagmawi Yimer continua a raccontare il Bel Paese nei suoi rapporti con l’Altro e rappresenta per l’Italia un prezioso caso di analisi “dall’interno” della realtà migrante. Dopo aver partecipato a un laboratorio di video nel 2007, realizza insieme ad altri 5 stranieri – come lui giunti in Italia – il film Il deserto e il mare. Successivamente è co-regista del film documentario Come un uomo sulla terra (2008) con Andrea Segre e Riccardo Biadene. Ha realizzato i documentari C.A.R.A. ITALIA (2009) e Soltanto il mare (2011) e firmato diversi cortometraggi. Nel 2011 ha coordinato il progetto di film collettivo Benvenuti in Italia (2012) curandone uno degli episodi. Va’ pensiero. Storie ambulanti è stato realizzato grazie al fondamentale contributo dell’Archivio delle Memorie Migranti (AMM), associazione di promozione sociale che dal 2008 ha avviato la raccolta e archiviazione di storie e testimonianze audio-visive di migranti, in particolare rifugiati e richiedenti asilo, realizzando laboratori di video-formazione e producendo documentari e cortometraggi partecipati. Ai numerosi premi ottenuti, il documentario – presente l’autore – aggiunge un ennesimo riconoscimento ricevuto all’ultimo Festival del Lacero d’Oro di Avellino.

 

 

 

 

Lacero d’Oro – Festival Internazionale del Cinema
Va’ pensiero. Storie ambulanti
regia
Dagmawi Yimer
soggetto e sceneggiatura Dagmawi Yimer
con Mohamed Ba, Mor Sougou, Cheikh Mbengue
fotografia Dagmawi Yimer
musica Veronica Marchi, Nicola Alesini, Madya Diebate, Alvaro Lanciai
montaggio Lizabeth Gelber
produzione AMM – Archivio delle Memorie Migranti, Cineteca del Comune di Bologna, Premio Mutti-AMM
paese Italia
lingua originale italiano
colore a colori
anno 2013
durata 56’
Avellino, Carcere Borbonico, 28 settembre 2015

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