“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Wednesday, 07 October 2015 00:00

Taranto, stArt up e dintorni – 2

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La seconda giornata tarantina si apre al Teatro Orfeo con uno spettacolo di danza, ambito nel quale possiamo pronunciarci soltanto in maniera epidermica e parziale, esprimendo sensazioni più che valutazioni compiute. Eppure, da Confini disumani, spettacolo di Equilibrio Dinamico su coreografia di Roberta Ferrari, rimaniamo favorevolmente impressionati, riscontrandovi, nella semplicità compositiva che nulla richiede all’impianto scenografico, tutto puntando sull’apparato di senso affidato ai corpi in movimento, un’efficacia espressiva capace di raggiungere lo spettatore anche meno aduso allo spettacolo tersicoreo.

Sei corpi popolano la scena, allusiva di un attraversamento, di un passaggio, evocativa di una condizione – quella dei migranti – che giacciono e soccombono, come sballottolati da un mare che è barriera e tragitto, confine fluido e aleatorio tra speranza e morte. La danza mostra l’umanità dei corpi e la disumanità che li strazia; predomina in scena la penombra, allusiva di una cupezza che contraddistingue storie nere inghiottite dal mare e che in assito terminano inghiottite dal buio.
Dall’Orfeo al Teatro TatÀ: in scena Cinema Paradiso, libera ispirazione dal film di Tornatore che vuole essere di fatto una celebrazione/omaggio al cinema, alla scatola dei sogni che trasforma la vita in visione; discorso per immagini, che ricorre a citazioni cinematografiche a gogò, che fanno la loro comparsa in scena sotto forma di personaggi celebri, motori di paure e di sogni – dalle gemelline di Shining al “Doc” Emmett Brown interpretato da Christopher Lloyd nella trilogia di Ritorno al futuro. Il tutto filtrato dallo sguardo trasognato e candido di un bambino che si richiama al Totò Cascio di Nuovo Cinema Paradiso. Un diaframma sul fondale separa tempo presente e tempo passato e una figura materna che appare camminando all’indietro come proiezione d’un flashback sembra evocare un desiderio sospeso, un abbraccio spezzato. Nel complesso, però, la drammaturgia appare alquanto raffazzonata, non riuscendo ad affrancarsi da un citazionismo di superficie, che non fornisce la sensazione di poter tradurre in felice connubio la contaminazione cinema/teatro. La carenza è strutturale e risiede in una scrittura che pare voglia abdicare all’immagine filmica, demandandole ogni compito narrativo, non coniugandolo ad una partitura adeguata; lo spunto è valido, l’idea accattivante e il piccolo Giuseppe Di Puppo, al suo debutto su tavole di palco, conquista per il candore stupito del suo personaggio. Purtroppo però i temi fondamentali che uno spettacolo del genere poteva e voleva evocare – rapporto tra realtà e finzione, sentimento del tempo contemporaneo e diacronico – rimangono frettolosamente sbozzati, ricorrendo peraltro a qualche convenzionalismo di troppo (si pensi alla suddetta immagine della madre che, in un ipotetico rewind entra in scena camminando all’indietro).
Immaginifico incompiuto.
Di nuovo all’Orfeo, di nuovo Amleto Fx, che incrociammo a La Spezia alle finali di In-Box e che già allora ci parve un piccolo gioiello di contaminazione shakespeariana a cui qui rimandiamo. “Amleto ha cambiato l’immagine del suo profilo”: la dicitura tipica del social network più frequentato appare lo specchio di un lavoro – quello di VicoQuartoMazzini – che “cambia” l’immagine di Amleto calandolo nel nostro tempo, adeguandone i turbamenti alla società odierna e così facendo confermando l’inveramento kottiano dell’Amleto poroso come una spugna che si intride del tempo in cui viene rappresentato. La chiave d’approccio è pop e grottesca: Amleto parte da Amleto per rinunciare ad Amleto, o meglio per fare di Amleto “un” Amleto, possibile declinazione all’oggi di dissoluzioni umane senza tempo. La grande vitalità del lavoro di VicoQuartoMazzini risiede, a nostro avviso, oltre nella bravura di Gabriele Paolocà, che in scena modula più registri linguistici, nella capacità di scrittura che, partendo dal classico lo declina in forma scenica e linguaggio originali ed originalmente intelligenti. Non è una parodia, non è una riscrittura, ma uno spunto che, partendo da un nucleo tematico florido come può essere l’Amleto, ne deriva creazione altra di eccellente e raffinata fattura, che si attesta sì su un registro fondamentalmente da commedia, ma dietro al quale si annida – e si vede – uno spessore drammaturgico e contenutistico che rappresenta la vera cifra espressiva di quest’opera.
Dall’Orfeo nuovamente al TatÀ, il cui palco accoglie già in scena, mentre il pubblico si accomoda, diciassette donne, direttamente dal quartiere napoletano di Forcella, la cui messinscena è frutto di un laboratorio condotto da Marina Rippa ed Alessandra Asuni, le quali con Pe’ devozione confermano ancora una volta la bontà del loro lavoro, coacervo di antropologia e ritualità tradotti in linguaggio scenico.
Le donne allineate in proscenio tengono ciascuna fra le mani un indumento: chi un grembiule, chi una vestaglia, chi un paio di guanti di gomma, chi uno scialle; una volta indossato ciascuna il proprio indumento sulle gramaglie di un lutto (il proprio), comincia a delinearsi la loro natura: sono anime defunte, tra le quali vi sono anche quelle celebri di Mario Merola e Pupella Maggio (non a caso due icone della napoletanità popolare e folklorica), anime defunte che dialogano coi loro vivi rimasti, esprimendo disappunti e recriminazioni, critiche ed esternazioni di vario genere, prima di disporsi e variamente ricomporsi come fiammelle luminescenti nel buio di un non tempo che non appartiene agli umani. Sono anime, sono simboli, sono di carne eppure eteree e rappresentano la trasfigurazione di un milieu antropologico – quello napoletano popolare  appunto – che vive di ritualità diffuse, di consuetudini inveterate, che afferiscono sì alla liturgia del sacro, ma che comprendono anche tutta una serie di riti laici, di abitudini di vita che vanno a comporre un quadro sociale e sociologico di riferimento, fatto di quotidianità, di invocazioni ai propri santi e di rimproveri ai propri cari, di richiesta di una grazia o di un segno, ma anche di fisime e paturnie che affiorano nella gestione della vita domestica.
Quotidianità fatta di piccole manie, di liturgie in cui il sacro e il profano si frammischiano, si sovrappongono e l’un l’altro s’intridono, prende forma scenica nell’apparente ossimoro della carnalità eterea di diciassette donne/lemuri, tableau vivant di un tessuto sociale descritto senza voler emettere – né trasmettere – un giudizio di valore, ma semplicemente scattandone un’istantanea dinamica, dilatata. La costruzione drammaturgica dentro cui s’incastona questa quadreria simbolica è coerente e conchiusa: si apre con anime cucite nel nero dell’oblio mortale e si chiude in un bianco purgatoriale che ne sancisce il compiersi simbolico di un percorso.
Ancora una volta il lavoro di scavo antropologico di Marina Rippa ed Alessandra Asuni si traduce in un congegno scenico i cui la suggestione visiva riesce come espressione densa del significato profondo che le è sotteso.
E per finire, senza spostarci di luogo, uno degli spettacoli che, in questa lunga full immersion tarantina ci ha più colpiti per come è stato concepito: Di a da in con su per tra fra Shakespeare, che già dal titolo che snocciola tutte le preposizioni dinanzi al nome del Bardo, dichiara la molteplicità delle prospettive dalle quali è possibile declinarne l’opera, concentrato totale delle affezioni umane. Il presupposto drammaturgico da cui parte Serena Sinigaglia è, se vogliamo, semplice semplice: la propria personale esperienza di allieva della Paolo Grassi che presenta come proprio saggio di fine corso un allestimento di Romeo e Giulietta. Quella che appare in scena è un po’ la storia, narrata e divertita, di un percorso di formazione, delle prime tappe di una crescita artistica che necessariamente parte dal confronto coi classici e, tra i classici, si cimenta col più classico di tutti.
In scena la stessa Sinigaglia, con Arianna Scommegna e Mattia Fabris che si dimostrano attori di altissimo livello e che danno corpo e visione al racconto che la Sinigaglia guida da dietro ad un leggio. Di a da in con su per tra fra Shakespeare è la storia di una passione e questa passione arriva tutta dal palco alla platea; il lavoro di “taglia e cuci” registico operato dalla Sinigaglia, prendendo la stoffa del proprio vissuto e assemblandola in partitura scenica confezionata come un abito su misura è opera sartoriale raffinata, è una di quelle esperienze teatrali (e metateatrali) che lasciano traspirare la passione, con l’unico filtro dato dalla convenzione scenica per cui c’è chi recita e chi assiste alla recita. Viaggiando con Shakespeare, Serena Sinigaglia racconta del viaggio di formazione dentro se stessa e dentro la propria arte; a tal proposto ricorda e cita Rilke: “Un’opera d’arte è buona se è nata da una necessità”. E questa necessità, sminuzzata in una concatenazione di eventi, è quell’urgenza che anima il temperamento artistico, che si traduce in ricerca di cose da dire e di modi in cui esprimerle. Shakespeare la prima e più impegnativa palestra, questo spettacolo la sua conseguenza.
Di a da in con su per tra fra Shakespeare è, prima ancora di essere messinscena teatrale, un approccio programmatico, è il condensato di un’idea di teatro strutturata, che vede come centrale la messa in relazione del sé con il proprio mondo prima e con il mondo complessivo poi. È anche, Di a da in con su per tra fra Shakespeare, un viaggio a ritroso, un ripercorrere le origini, un ritorno al padre, inteso nella duplicità di senso di padre biologico (e qui affiora, non senza tenerezza, il vissuto personale della Sinigaglia) e di padre spirituale (il classico teatrale e segnatamente Shakespeare). Ed è, infine, Di a da in con su per tra fra Shakespeare un atto d’amore verso il teatro da parte di chi, affrontando la scena in prima persona, quell’atto d’amore ha scelto di condividere.


 

 

 

 

 

Puglia Showcase
Confini disumani
progetto e coreografia
Roberta Ferrari
con Serena Angelini, Antonella Albanese, Nicola De Pascale, Beatrice Netti, Jasmine Melrose, Tonia Laterza
produzione Compagnia Equilibrio Dinamico/Il Carro dei Comici
durata 30’
Taranto, Teatro Orfeo, 25 settembre 2015



Puglia Showcase
Cinema Paradiso (step II)
regia luci e scena
Michelangelo Campanale
con
Giuseppe Di Puppo, Annarita De Michele, Erica Di Carlo, Paolo Gubello, Daniele Lasorsa, Leonard Lesage, Salvatore Marci, Maria Pascale, Palmiriana Sibilia, Luigi Tagliente
assistente alla regia Antonella Ruggiero
supervisione coreografica Aline Nari
cura del testo Katia Scarimbolo
tecnico luci Tea Primiterra
costumi Maria Pascale
video omaggio agli addii Mario Bianchi
video Ines Cattabriga e Michelangelo
produzione Tra il dire e il fare/La luna nel letto
in collaborazione con Scuola di Danza Artinscena
lingua italiano
durata 1h
Taranto, Teatro TatÀ, 25 settembre 2015


Puglia Showcase
Amleto Fx
di e con
Gabriele Paolocà
collaborazione alla regia Michele Altamura, Gemma Carbone
scene Gemma Carbone
disegno luci Martin Emanuel Palma
produzione VicoQuartoMazzini
foto di scena Manuela Giusto
lingua italiano
durata 50’
Taranto, Teatro Orfeo, 25 settembre 2015


stArt up Teatro
Pe’ devozione – liturgie sacre e profane nella vita di tutti i giorni
dal laboratorio teatrale con le donne a Forcella
a cura di Marina Rippa, Alessandra Asuni
con Amelia Patierno, Anna Liguori, Anna Marigliano, Anna Patierno, Antonella Esposito, Flora Faliti, Flora Quarto, Gianna Mosca, Giorgia Dell’Aversano, Manuela Della Corte, Melina De Luca, Patrizia Ricco, Rosa Lima, Rosa Tarantino, Rosalba Fiorentino, Susy Cerasuolo, Toti Carcatella
produzione f. pl. femminile plurale
in collaborazione con Assessorato alla Cultura del Comune di Napoli
con il sostegno e il contributo di ConfCommercio Provincia di Napoli, FILMaP, Le Nuvole, gli amici e le amiche di Marisa Savoia
foto di scena Marco Ghidelli, Oscar Cetrangolo
lingua napoletano
durata 1h
Taranto, Teatro TatÀ, 25 settembre 2015


stArt up Teatro
Di a da in con su per tra fra Shakespeare
di e con Serena Sinigaglia
e con Arianna Scommegna, Mattia Fabris
costumi Federica Ponissi
produzione ATIR Teatro Ringhiera
lingua italiano
durata 1h 30’
Taranto, Teatro TatÀ, 25 settembre 2015

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