“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Tuesday, 23 June 2015 00:00

Una lirica in prosa

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La scenografia è realizzata da pochi oggetti sulla scena, a sinistra una chaise longue grigia con il cuscino bianco e un tavolo tondo con tre sedie sulla destra del palco e un carrello con dei liquori, il tutto letteralmente incorniciato da ampi listoni arabescati bianchi che si ripetono più piccoli a incorniciare una terrazza che affaccia su un mare in leggero movimento, proiettato sulla parete di fondo.

Come in una simbolica prospettiva che attira lo sguardo al centro della scena, le due cornici candide rendono subito l’atmosfera degli anni Venti e il gioco di luci che spazia dal violetto al bianco, crea un’aria rarefatta che ci porta a Capri, luogo in cui è ambientata la storia scritta dal pluri-premio Pulitzer Thornton Wilder nel 1920 dopo essere stato folgorato dalla bellezza dell’isola.
La prima apparizione, che è davvero sorprendente, è l’ingresso della cantante lirica Raina Kabaivanska nell’insolito doppio ruolo di narratore onnisciente interno alla storia che fa un breve prologo della vicenda e poi, vestiti gli abiti con guanti bianchi di ordinanza, passa a quello en travestì del maggiordomo Alviero di Villa Rhabani. La sua introduzione ai personaggi della vicenda non dimentica di assegnare ai ruoli anche il corrispettivo timbro lirico, così la protagonista, la ricca e giovane americana Helen Darral è un soprano, la sua governante e amica è un mezzo soprano, così gli uomini sono baritono e basso. L’introduzione iniziale fatta dal maggiordomo è un’aggiunta posta dalla traduttrice Dianna Pickens traendola da altri testi di Wilder, ma la Kabaivanska aggiunge quel giusto e misurato pizzico di ironia nel descrivere il suo ruolo e anche nello svelare quel sottile gioco tra realtà e finzione, quello della storia sul palco e quello dei personaggi reali che si è colto nelle pieghe disegnate delle finte tende su quel mare proiettato in lento movimento che sembrava vero. Da questo prologo e dal dialogo tra la governante dal timbro straniero e il medico che ha in cura Helen, si apprende già il nucleo della vicenda. Helen è affetta da un male forse incurabile, abbastanza oscuro e ha da poco iniziato una relazione con Dario, un italiano affascinante, sicuramente un avventuriero secondo l’amica, che mira ad impossessarsi dei beni della giovane. Il discorso dell’amica, preciso, dettagliato, allusivo non scevro da preoccupazioni anche irrazionali come le leggende oscure che circondavano la Villa, non sembra minare la convinzione del medico secondo cui Helen farebbe bene a vivere questo amore, per quanto fatuo, perché l’amore è vita e nelle condizioni della giovane questo non può che essere un fattore positivo, però proverà lo stesso ad indagare sul giovane avventuriero che è una presenza fissa a Villa Rhabani. Qui giunge anche una critica d’arte che deve valutare l’autenticità dei quadri e che in seguito si scoprirà complice, e amante, di Dario.
L’arrivo sulla scena di Helen avviene dopo trenta minuti ove lei è stata comunque la protagonista indiretta, ed è un ingresso gaio, effervescente, il cui tratto dominante è la gioia che questo nuovo amore ha portato nella sua vita. L’attrice Roberta Astuti è bellissima come il personaggio che interpreta con sicurezza, calcando con punte euforiche, con sguardi penetranti, con gesti melodrammatici ogni suo discorso, anzi sembra inserita in una rappresentazione lirica con tanto di mollezze e languori sdraiata sul divano, senza risultare stucchevole o fuori luogo. Al contrario, l’attore Yuri Napoli connota il suo personaggio Dario, il giovane seduttore che dovrebbe essere affascinante, di antipatia e alterigia offuscando la malia dei suoi comportamenti che avrebbero sedotto Helen. Questi cinque personaggi, ognuno sospeso nel suo ruolo in bilico tra verità e menzogna, si muovono tra l’interno della villa e il giardino all’esterno nell’arco temporale di quindici giorni, come ci ricorda Alviero-Kabaivanska fino al momento in cui Helen, pur sapendo la verità sull’inganno rivelatale dallo stesso Dario, manda via il medico e l’amica per vivere questo amore in assoluta libertà. Ma la donna non è la vittima di un raggiro, è lei che domina considerando l’amore, vero o falso poco importa, come un dono che la riporta alla vita, che può dare un senso ad una morte che lei sente imminente, dato che ha deciso di non andare in Svizzera a curarsi.
Al limitare del boccascena, sulla destra, vi è un vaso con un ramo carico di limoni, elemento caprese e unico tocco di colore forte sulla scena. Quei limoni sono la chiave di volta che porta al finale aperto che scrisse l’autore, trasformati dall’abilità di Alviero, in liquore venefico. Accettando l’epilogo della sua vita, Helen propone a Dario un ultimo bicchiere da bere in giardino: a lei il veleno e a lui il liquore puro. Dario l’accompagnerà, ma tornerà sulla scena solo la ragazza. “Cosa potrà significare?” chiede ora la Kabaivanska nel ruolo di narratrice. Ognuno può immaginare un finale, anche diverso da quello che appare, perché se l’esistenza è giocata sul ruolo dell’apparenza, è solo l’amore “che sarà bastato”, perché “c’è un mondo dei viventi e uno dei morti e l’unico ponte tra questi due mondi è l’amore”.
Le luci che illuminano l’onda bianca dei capelli della Kabaivanska sfumano lentamente sulla storia ambientata a Capri, su un mondo dove ciascuno si sente libero di vivere il suo piacere, anche represso, chiudendo la pièce con applausi calorosi. Il regista Riccardo Canessa, alla sua prima esperienza nella prosa dopo una lunga carriera internazionale come regista di opere liriche, mette le sue competenze nella lettura di questo testo sia nella scelta indovinata della Kabaivanska in questo ruolo così insolito, che nella connotazione dei movimenti scenici, nella descrizione timbrica dei personaggi fatti inizialmente, probabilmente anche nella prolissità di alcuni tempi in cui, al posto dell’assenza di musica, è facile immaginare un canto, un’aria. Costumi stupendi.

 

 

 

 

Napoli Teatro Festival Italia
Villa Rhabani
Commedia in un atto e finale aperto
di Thornton Wilder
traduzione e adattamento Dianna Pickens, Riccardo Canessa
regia Riccardo Canessa
con Roberta Astuti, Lucia Rocco, Leona Peleskova, Yuri Napoli, Sergio Basile
e con la partecipazione straordinaria di Raina Kabaivanska
scene, costumi, videoproiezioni Alfredo Troisi
luci Nunzio Perrella
pianoforte Maurizio Iaccarino
produzione Fast Forward
lingua italiano
durata 1h 45’
Napoli, Teatro Nuovo, 19 giugno 2015
in scena 19 e 20 giugno 2015

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