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Saturday, 20 June 2015 00:00

A Salvo Nastasi

Written by 

Alla cortese attenzione
dell’Ill.° dott. avv. S.E.
Salvo Nastasi,

 

Scrivo a Lei in quanto Direttore Generale dello Spettacolo dal Vivo e dunque artefice e responsabile primo dell’attuazione del DM 01.07.2014, detto anche Decreto Valore Cultura, detto anche la riforma del teatro italiano, detto anche strumento legislativo che stabilisce i “nuovi criteri per l’erogazione e modalità per la liquidazione e l’anticipazione di contributi allo spettacolo dal vivo, a valere del Fondo Unico dello Spettacolo”,
Scrivo a Lei in quanto “dirigente di prima fascia del Ministero per i Beni e le Attività Culturali”, in quanto già “membro del Comitato paritetico Stato-Regioni, istituito presso la conferenza Stato-Regioni, per l’elaborazione di una proposta di riforma del Fondo Unico dello Spettacolo”, in quanto già “componente della Segreteria Tecnica della Commissione incaricata dell’aggiornamento del Testo Unico dei Beni Culturali ed Ambientali”, in quanto già “componente della Segreteria Tecnica della Commissione incaricata di predisporre uno o più decreti legislativi per la codificazione delle disposizioni in materia di Beni Culturali ed Ambientali”, in quanto già “componente della Commissione per l’attuazione delle commissioni regionali per i Beni Culturali”, in quanto già “membro della Commissione mista tra lo Stato e l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, prevista dall’articolo 17, della legge 8 marzo 1989”,

Scrivo a Lei in quanto “componente al gruppo di lavoro che ha proceduto all’elaborazione dei seguenti provvedenti”: “Regolamento recante criteri e modalità di erogazione di contributi in favore delle attività musicali”, “Regolamento recante criteri e modalità di erogazione di contributi in favore delle attività di danza”, “Regolamento recante criteri e modalità di erogazione dei contributi alle attività teatrali”,
Scrivo a Lei in quanto ha collaborato ottimamente con il Capo dell’Ufficio Legislativo alla predisposizione del “Piano per l’arte contemporanea”, ha partecipato con successo alla redazione del Disegno di Legge recante “Modificazioni alla disciplina degli appalti di lavori pubblici concernenti i Beni Culturali”, ha offerto il suo eccelso contributo per la redazione delle “Norme relative al deposito legale dei documenti di interesse culturale destinato all’uso pubblico”, ha coordinato meravigliosamente le attività di elaborazione del decreto legislativo recante la ”Riforma della disciplina in materia di attività cinematografiche”, ha donato il suo generoso impegno all’elaborazione del nuovo “Statuto dell’Ente Teatrale Italiano” ed ha preso parte, con trionfo che immagino certo ed entusiasmante, anche ai lavori del “Comitato tecnico-scientifico speciale per il patrimonio della Prima Guerra Mondiale”,
Scrivo a lei – Ill.° dott. avv. S.E. Salvo Nastasi – in quanto, a diverso titolo, si è occupato (sempre con risultati eccellenti, ma mi riserverò di approfondire nei prossimi giorni) della Fondazione lirico-sinfonica Petruzzelli e Teatri di Bari, del Teatro di San Carlo di Napoli e della Fondazione Museo Egizio di Torino; della Fondazione La Biennale di Venezia, dell’Istituto Nazionale per il Dramma Antico; del Maggio Musicale Fiorentino, della Fondazione Arena di Verona, del Complesso Museale e Archeologico di Pompei, della S.I.A.E. e della violenza negli stadi.
Scrivo a Lei perché di Lei Marco Damilano ed Emiliano Fittipaldi hanno scritto (su L'Espresso) che “è entrato ai Beni Culturali nell’ufficio legislativo di Giuliano Urbani e non ne è più uscito” mentre ancora Emiliano Fittipaldi la definisce come colui che “da quasi un decennio è il vero ministro ombra della Cultura, gran maestro del FUS, dispensatore di incarichi”,
Scrivo a Lei perché credo che sia più giusto scrivere a Lei che ad uno qualsiasi dei consulenti delle due commissioni che hanno compartecipato – con modalità differenti e differenti gradi di responsabilità – alla corretta formulazione e applicazione del già citato decreto: la Consulta per lo Spettacolo, che ha predisposto gli “indirizzi e i criteri generali relativi alla destinazione delle risorse statali” (Antonio Calbi, Luca Dini, Pierluca Donin, Ivana Conte, Emanuela Bizi, Edoardo Siravo, Piergiorgio Giacché) e la Commissione Consultiva per lo Spettacolo dal Vivo che – per quanto concerne il teatro, ragione di questa lettera – è composta da Luciano Argano, Oliviero Ponte di Pino, Ilaria Fabbri, Roberta Ferraresi, Massimo Cecconi e che opera “in ordine alla valutazione degli aspetti qualitativi dei progetti e delle iniziative afferenti alle richieste di contributo”,
Scrivo a Lei perché è il Suo nome che viene suggerito, sibilato, accennato, alluso, appena soffiato, mimato o addirittura cripticamente anagrammato (ma mai detto ad alta voce) quando provo a dialogare sulla riforma coi teatranti, prima o dopo un qualsiasi spettacolo in scena in uno qualsiasi dei teatri della città di Napoli e perché è il Suo nome che, tuttavia, spesso manca negli articoli che alla riforma sono stati dedicati,
Scrivo a Lei perché possa chiarire al sottoscritto – lettore di autori teatrali, amatore di registi teatrali, spettatore di attori teatrali – alcuni interrogativi e dubbi ai quali nessuno, tranne Lei, può dare davvero risposta illuminata, direi oracolare, certa certissima, praticamente chiarificatrice del tutto e di più di questa oscura e contraddittoria ma sicuramente preziosa riforma che in questi giorni trova finalmente il tanto suo desiderato compimento concreto, per cui certo della Sua attenzione Le chiedo:


Non si rende conto che, imponendo ai Teatri Nazionali 240 giornate recitative di produzione e 15.000 giornate lavorative, il decreto sta di fatto generando la figura di un direttore-dominus, in grado di decidere in maniera arbitraria, discrezionale e soggettiva, la gran parte della produzione finanziata cittadina e/o regionale? Non riesce a comprendere che questi direttori-dominus – indipendentemente dai nomi e dai (sempre comodi) cambi di poltrone che potranno avvenire in futuro – stanno diventando l’unica vera fonte di lavoro sicuramente retribuito in teatro e – per questo – potrebbero diventare presto l’oggetto di una questua da parte degli artisti, altrimenti costretti a sopravvivere soltanto affidandosi alla (consueta) precarietà del teatro che ha da sostenersi da solo? E non capisce che l’obbligo che almeno il 50% del personale artistico debba coincidere con quello dell’annualità precedente (come per i TRIC) potrebbe determinare l’occupazione dei Nazionali da parte di compagnie fisse, costituite senza bandi pubblici o audizioni effettive, formatesi esclusivamente per relazioni artistico-amichevoli già in essere, determinando un’elitarietà d’accesso di tipo consortistico ai Nazionali stessi, riducendo le possibilità di ricambio (espressivo, interpretativo, generazionale)?


Davvero non riesce neanche a immaginare che imporre ai Teatri Nazionali che non più del 20% delle giornate recitative possa essere rappresentato fuori dalla regione di appartenenza (40% per i TRIC) produrrà una stanziale sovrabbondanza di offerta teatrale, riducendone drasticamente l’eterogeneità potenziale ed effettiva, indebolendo le basilari norme (non scritte) di concorrenza tra teatri stabilizzati e medio-piccole sale che non usufruiscono del FUS e di ciò che, in termini produttivo-comunicativi, esso consente? E come è possibile che non abbia neanche per un attimo riflettuto sul fatto che l’allungamento smisurato dei tempi di tenitura di una produzione possa incidere sulle politiche complessive di sbigliettamento? Quanto – un piccolissimo spazio di ricerca, di quelli che sicuramente Lei conosce e frequenta – dovrà far pagare l’ingresso a uno spettacolo che ospita (magari per soli due giorni, con compagnia al 70/30) quando al Nazionale cittadino, alla seconda o terza settimana di offerta di una data messinscena, si potrà accedere in coppia con dieci euro o anche meno (perché queste sono le ipotesi che concretamente s’avanzano per rientrare nei parametri quantitativi della riforma)?


Non è preoccupato che imporre ai Nazionali la coproduzione solo con altri Nazionali e TRIC generi un oligopolio che potrebbe rafforzare, invece che indebolire (come sono sicuro Lei ardentemente desidera), la nociva politica degli scambi che da anni avviene tra gli ex-Stabili, per cui il cartellone che viene proposto al pubblico dipende non dalla qualità presunta o effettiva delle opere ma dall’adempimento reciproco dell’ospitalità di una propria produzione (insomma: io obbligo il mio pubblico a vedere il tuo spettacolo se tu obblighi – inserendolo naturalmente in abbonamento – il tuo pubblico a vedere il mio)?


Possibile – Lei che avuto lineari rapporti, rigorosamente professionali, con la destra/destra, con il centro/destra, con il centro/centro, con il centro/sinistra – non abbia pensato minimamente al fatto che determinare l’impegno economico degli enti territoriali o altri enti pubblici fino a concedere una somma pari al 100% del contributo statale possa spingere qualche sindaco, qualche presidente di Regione, qualche assessore a digitare al proprio telefono il numero del direttore del teatro perché quel regista o quella regista, questo autore o quest’autrice, codesto attore, la tal attrice, quel o quella corista, il dato macchinista, il mio bravissimo segretario, la portaborse validissima del mio portaborse validissimo, il collaboratore della mia collaboratrice trovi modo di collaborare in nome della collaborazione (economica) tra il teatro e le istituzioni che il decreto impone in maniera ulteriormente marcata? So che lei – avendo frequentato con identica e indefessa indipendenza esponenti dell’intero arco parlamentare che certamente si sono distinti per la specchiata onestà della pratica partitica – non ha ragione alcuna per ipotizzare tale deteriore comportamento ma io le scrivo da Napoli e qui (stramberia evidentemente tutta campana) il direttore di uno Stabile muta con il risultato di un’elezione, un assessore può diventare improvvisamente un'esperta di teatro pur non avendo mai studiato nulla che riguardi il teatro e, il nome del nuovo direttore artistico del Napoli Teatro Festival Italia, s’attende venga deciso dal nuovo presidente di Regione. Comprenderà il senso della mia domanda e, dunque, mi permetterà di proseguire.


Ill.° dott. avv. S.E. Salvo Nastasi, Lei è nato nel 1973 e dunque sarà certamente interessato alla nuova teatralità italiana, alle giovani compagnie e al loro destino produttivo, organizzativo e distributivo. Dunque, essendo un amante del teatro under, non ha capito che questa riforma rischia di ridurre drasticamente il nomadismo, privilegiando la stanzialità? Non ha capito che rischia di serrare ancora di più l’ingresso dei maggiori teatri italiani alle compagnie di ricerca e che acuisce complessivamente le difficoltà di giro: delle compagnie in organico ai Nazionali, diventate pura attrazione cittadina, e di quelle escluse dalla grande stanzialità metropolitana, cui non restano che i piccoli spazi limitrofi, affossati, economicamente incerti? Non ha capito – Lei, così esperto in materia – che questa riforma obbliga una compagnia indipendente a rinunciare alla propria stessa indipendenza o, in alternativa, alla produzione col medio-grande teatro italiano (ammesso che riceva mai una proposta)? Chi produrrà – per riprendere gli esempi fatti già da Massimiliano Civica in un'intervista – Roberto Latini e Fibre Parallele, Raffaello Sanzio, Claudio Morganti, Babilonia Teatri o Scimone e Sframeli? Chi, aggiungo io qualche ulteriore esempio, produrrà Saverio La Ruina, Anagoor, la Piccola Compagnia della Magnolia, Carrozzeria Orfeo, Macelleria Ettore, Malorni/Amendola, Tino Caspanello, Carullo/Minasi, Vuccirìa Teatro, Instabili Vaganti, Musella/Mazzarelli, Maniaci d’Amore, Punta Corsara? Quali delle grandi realtà che il decreto determina (e a cui impone un ritorno sicuro in termini di pubblico) investirà denaro su queste e sulle altre compagnie ancora più giovani o piccole, che non nomino ma che lei certamente conosce per averle viste in scena quanto e più di me, sera dopo sera e replica dopo replica?


Proprio perché è nato nel 1973 ed ha certamente a cuore il progetto artistico degli spazi maggiormente in difficoltà mi spiega com’è possibile che non vi sia alcuna sostanziale apertura alle nuove realtà teatrali locali, che agiscono quotidianamente sul territorio offrendo una programmazione alternativa, facendolo a proprie spese, concedendo una duplice e reciproca formazione di fatto tanto alle compagnie più giovani che al pubblico che assiste ai loro spettacoli? Come è possibile che la nuova stabilità italiana somigli così tanto alla vecchia? Come è possibile che il decreto abbia soltanto operato il passaggio dai sessantacinque soggetti di ieri ai cinquantacinque di oggi? Che riforma è un intervento incapace di comprendere, sostenere, alimentare la nuova progettualità che − pur essendo ostinatamente attiva (spesso in luoghi limitrofi, piccoli centri, periferie, quartieri disagiati) − non riceve alcun riconoscimento dalle istituzioni comunali, regionali o nazionali?

 
Ill.° dott. avv. S.E. mi spiega come questo decreto – di cui Lei è il primo responsabile – valorizza “la capacità dei soggetti di reperire autonomamente ed incrementare risorse diverse” quando non è accompagnato da nessun intervento che davvero (sul piano economico/finanziario) incide sul sistema esistente né prefigura un suo assetto differente? Mi spiega come questo decreto – di cui Lei è il primo responsabile – crea i “presupposti per un riequilibrio territoriale dell’offerta e della domanda” allorché – per dirla con Franco D’Ippolito – “lo squilibrio territoriale dell’area produzione e programmazione” che la riforma determina si limita soltanto a certificare le pregresse “politiche e i comportamenti territoriali” del passato? Mi spiega come questo decreto – di cui Lei è il primo responsabile – può “concorrere allo sviluppo del sistema, favorendo la qualità dell’offerta” se i luoghi di ricerca teatrale sono per lo più esclusi dai vantaggi del decreto stesso mentre s’impone ai teatri beneficiari la necessità di un alto numero di spettatori, così influenzando le scelte produttive (per cui i direttori, per garantirsi presenza, limiteranno il rischio artistico ed aumenteranno la commerciabilità della loro proposta)?
Mi spiega inoltre – Lei, proprio Lei, che è il primo responsabile di questo decreto – come è possibile “promuovere l’accesso” e “favorire il ricambio generazionale, valorizzando il potenziale creativo dei nuovi talenti” se a questi nuovi talenti sono riservati ostacoli più che strumenti di sostegno?


Infine: mi spiega a che serve una Commissione Prosa impiegata per valutare la qualità artistico-culturale dei soggetti e dei progetti presentati se poi il suo parere non è vincolante? Mi spiego con un duplice esempio: se la bocciatura di Genova ha ragioni qualitative – perché eccessivamente vetusto è il programma triennale presentato, a fronte di parametri quantitativi invece in linea con quelli richiesti dal decreto per essere un Nazionale (come è stato raccontato da più organi di stampa) – come si spiega poi la qualifica di Centro di Produzione data, proprio qui a Napoli, sia al Teatro Bellini che al Teatro Diana? Il primo ospita Antonio Latella, Valerio Binasco, Emma Dante, Pippo Delbono, Mario Martone e Davide Iodice (per fare qualche esempio), ha una sala nominata Piccolo Bellini in cui propone solo drammaturgia e danza contemporanea, fa parte di In-Box ed è iscritto al Premio Scenario, ospita la casa editrice indipendente Marotta e Cafiero (dalle quindici alle venti presentazioni di libri al mese), ha una scuola di teatro gratuita (affidata a Danio Manfredini), è cofondatrice di Politeatro (rete che unisce cinque piccoli teatri metropolitani), ha ospitato una settimana di discussione sulla teatralità contemporanea ("Turnover") mentre il secondo – il detto Teatro Diana – offre una programmazione (legittimamente) commerciale che ha per protagonisti cantattori, comici locali e nazionali, teatro di tradizione (tra gli altri: Serena Autieri e Massimo Ranieri, Carlo Buccirosso e Maria Amelia Monti, Vincenzo Salemme e Alessandro Preziosi, Alessandro Assisi e Bianca Guaccero, Vittoria Puccini e ancora Ficarra e Picone, Leo Gullotta, Giuseppe Fiorello, Fabrizio Bentivoglio e Claudia Gerini), ha una scuola di teatro a pagamento, prevede una sola presentazione di volume alla settimana, non offre alcuno spazio per il teatro under, alcuna relazione con i maggiori festival nazionali, non dà alcuna possibilità alla ricerca e alla sperimentazione. In questo caso i soli criteri quantitativi sono bastati? Ed inoltre, per rimanere sul caso napoletano: il Teatro Diana (al pari degli altri quattro teatri ripescati) ha fatto regolare ricorso al TAR? In che modo è altrimenti avvenuto il suo recupero come Centro di Produzione e quale differenza sussiste tra le istanze di revisione del giudizio del Teatro Diana e quelle avanzate dal Teatro Bellini (che ha fatto ricorso per essere riconosciuto come TRIC) o dello Stabile di Genova (intenzionato ad essere un Nazionale)?
Vede Illustrissimo, penso che se i criteri d’applicazione del decreto devono essere meramente quantitativi (come dimostrerebbe il caso Diana) non ha alcun senso una Commissione Prosa che valuti la qualità del progetto: ne converrà certamente; se invece i criteri sono (anche) qualitativi non si spiegano una parte delle scelte che sono state effettuate e che – per dirla ancora con Franco D’Ippolito – addirittura generano “una linea d’ombra che scolorisce i criteri e le motivazioni delle decisioni finora assunte”.


Ill.° dott. avv. S.E. Salvo Nastasi, io la penso come Massimiliano Civica che su Doppiozero ha affermato che questo decreto – di cui Lei è il primo responsabile in quanto Direttore Generale dello Spettacolo dal Vivo – è la sconfitta dell’idea della teatralità diffusa, del decentramento artistico, dello scambio e del viaggio come atto di reciproca formazione e crescita. È la sconfitta del teatro inteso come servizio e pratica pubblica, come atto-racconto-visione capillarmente diffuso. Tutto a favore della grande produzione, della compagnia fissa e autoreferenziale, del mainstream e temo – Ill.° dott. avv. S.E. Salvo Nastasi – che, come ha scritto Franco D’Ippolito su Teatro e Critica, questo decreto “lascerà il sistema in mezzo al guado, fra conservazione e cambiamento”, che “si è persa un’occasione e tutto quello che sta accadendo dimostra l’urgenza di ripensare davvero l’architettura, i criteri e gli strumenti del teatro italiano”, che “non basta applicare a norme e parametri obsoleti e malfunzionanti qualche under 35, o un po’ di complicata multidisciplinarità, né serve sopprimere o cambiare qualche vecchia etichetta” e che bisogna prendere atto che le ultime decisioni sui Centri di Produzione stanno “portando al naufragio anche il tentativo di verificare il reale bisogno di cambiamento da parte del sistema teatrale”.
E tuttavia – poiché tra le meraviglie del teatro c’è quello di non darsi mai per morto ma di rinascere il giorno dopo, alla replica successiva, riapparendo sul palco nel punto esatto in cui era sparito – credo che (citando ancora D’Ippolito) “sarebbe davvero ora di cominciare a discuterne” con serietà, con onestà e professionalità, avendo questa volta come unico vero interesse il presente e il futuro del teatro italiano.

 

 

Cordiali saluti,
Alessandro Toppi

 

 

PS. Le allego i contributi di Massimiliano Civica e Franco D'Ippolito cui ho fatto riferimento nella mia ben più modesta lettera. 
Lingua contro il dialetto. Legge contro il dialetto (Intervista a Massimiliano Civica, Doppiozero)
Il teatro finanziato. Episodio 1 (Franco D'Ippolito, Teatro e Critica)
Il teatro finanziato. Episodio 2 (Franco D'Ippolito, Teatro e Critica)
Il teatro finanziato. Intermezzo (Franco D'Ippolito, Teatro e Critica)
Il teatro finanziato. Intermezzo bis (Franco D'Ippolito, Teatro e critica)          

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