“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Tuesday, 16 June 2015 00:00

Una mano di vernice fresca

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Parafrasando liberamente Italo Calvino, il classico è tale perché ha ancora qualcosa da dire, è eterno, nel senso che continua a vivere di vita propria nelle opere che lo riprendono, lo traducono, lo travisano, lo trasformano, lo rispettano, lo caricano di nuova linfa, nuove domande, nuove risposte, nuovi scenari. Ma il classico resta lì, in sottofondo, in sottotraccia, aleggia. Ibsen è un classico indiscusso del teatro e Casa di bambola una pietra miliare nella definizione del teatro moderno e della donna. Nora è eterna, ciascuna di noi è stata Nora, o avrebbe dovuto esserlo una volta nella vita. Eppure gli allestimenti filologicamente corretti, gli allestimenti bomboniera, buoni per rassicurare il pubblico borghese colto e benpensante, hanno sempre qualcosa di posticcio, di stucchevole, di lontano. Nora è esterna, eppure così lontana, troppo eterna, troppo fissa in quella gaia immagine di lodoletta gorgheggiante.

Il buio si apre su un uomo seduto che suona la chitarra. Nuda la scena, neri il fondale e le quinte. L'uomo canta una ballata dolce e malinconica in inglese, capiremo dopo che si tratta di Torvald. Entra in scena Nora, un lungo abito nero dallo scollo rotondo, i capelli corti, la pelle chiara, le labbra vermiglie come la sottile cintura che le cinge la vita. "Amore, ho comprato due renne stupende!", queste le prime parole che la donna pronuncia. Le renne sono di metallo, di design, anche se non hanno l'albero di Natale faranno comunque un figurone. È subito evidente l'operazione condotta sul testo: Nora e Torvald sono lì, con i loro caratteri, ("Nora io i debiti non voglio farli, mai!", il tono è grave e serio), il loro carico di emotività, di sensualità, di tensione erotica abbastanza esplicita, ma il dettato è un altro, trasportato nel presente, cronologicamente, soprattutto dal punto di vista delle istanze, i desideri, le aspettative dei personaggi.
Torvald è sempre il borghese attento all'apparenza ("il problema è la figura che farei con gli altri"), orgoglioso carceriere di una moglie bambina ("tu sei fatta così, come tuo padre, e io devo prenderti così, come sei, amarti); Nora è sempre la creatura un po' ingenua, frivola, improvvida, i salti e le piroette degli allestimenti tradizionali sono sostituite dal canto con voce cristallina, dall'abbonamento in palestra, dal parrucchiere; Karsten, la signora Linde, è sempre l'amica sfortunata, che guarda a Nora con la condiscendenza con cui si guarda una bambina viziata, col tono di superiorità "perché tu hai sofferto molto e ne sei fiera", però non è più la donna che ha dovuto lasciare il fidanzato Krogstad per sposare un uomo benestante, che le avrebbe permesso di mantenere i fratelli. Questa volta i due sono stati insieme in gioventù poi si sono persi, per noncuranza reciproca. Karsten, un po' monocorde, non tradisce emozione nel rivedere il suo antico amore, "era un bel ragazzo, è diventato un bell'uomo".
Resta la sostanza della rinascita, della redenzione morale attraverso l'amore, cambiano i termini, da storia di disimpegno sentimentale contemporaneo. Il diverso contesto temporale, il linguaggio così quotidiano, televisivo quasi, la musica, fanno sì che quell'antica vicenda riviva sulle tavole del palco, vibri di nuova linfa, sia immediatamente immedesimabile. Non siamo più nel XIX secolo, c'è la televisione ("ha un nome composto, si sente spesso in televisione"), Internet, gli smartphone,il discount, Torvald lavora in una banca solida, internazionale, "non una di quelle banche che stanno fallendo", il problema non è più la procura con la firma falsa del padre, ma il prestito di centomila euro, soldi sporchi, provenienti dalle attività illecite di Krogstad. Krogstad che le ricorda che il tasso di suicidi cresce a Natale, quando i sentimenti si amplificano, la gioia e il dolore, specularmente, si sentono con maggiore intensità, Krogstad che rimprovera il pregiudizio della società, Krogstad dalla strada segnata per mancanza di possibilità, "Non avevo alternative, ma, voglio smettere". L'uomo inchioda Nora alla responsabilità, col suo realismo: "Mi sembra che a questa faccenda Lei pensi solo da un punto di vista domestico", il giudizio di Torvald se venisse a scoprire la verità, non le reali conseguenze dell'azione compiuta, del ricatto cui sarebbero sottoposti da un uomo che non ha nulla da perdere e non ha intenzione di affondare da solo, "Io non sprofonderò da solo", ma soprattutto "il mio atterraggio sarà più morbido, non ho nulla da perdere".
E il dottor Ranke, il vecchio amico col suo patetico amore inespresso? Non c'è posto per lui in questo nuovo adattamento, forse perché la sua abnegazione, la sua uscita di scena triste e solitaria suonava poco plausibile per i nostri tempi. Essenziale, anzi inesistente la scenografia, solo le luci, puntate alternativamente sul palco e in platea, estensione della scena, a scandire lo spazio, oppure ad annullarlo, immergendo le figure nel bagliore bianco del proiettore, facendole stagliare come sagome che emergono da un buio fatto di luce. Il resto è affidato al corpo, alla voce e al canto degli attori, alla capacità di rendere un'ampia gamma di registri, dal drammatico, al comico, all'ironico. La capacità di dare corpo allo spazio, come quando Krogstad scrive nell'aria i titoli dei giornali, materializzandoli idealmente davanti ai nostri occhi: "Quel delinquente di Elmer", "Sua moglie lo difende, non si meritava una moglie così".
Del testo di Ibsen qui sono rimasti i grandi nodi della trama e dei caratteri, ma tutto è cambiato, il linguaggio, i problemi reali, il tono dei ragionamenti. Il risultato finale è il senso di nuovo, di fresco, quella mano di vernice che segna l'inizio di un nuovo ciclo di vita.

 

 

 

 

 

Fringe E45
Casa di bambola
di
Emanuele Aldrovandi
liberamente tratto dal testo di Henrik Ibsen
regia Sandro Mabellini
con Valentina Cardinali, Fabrizio Martorelli, Cecilia Elda Campani, Marco Bellocchio
costumi Chiara Amaltea Ciarelli
produzione Fondazione Sipario Toscana Onlus / espaceouvert
lingua italiano
durata 1h 15'
Napoli, Castel Sant'Elmo – Sala Fringe, 12 giugno 2015
in scena 12 e 13 giugno 2015

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