“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Saturday, 13 June 2015 00:00

La Russia cinematografica di Marcos Morau

Written by 

Al Napoli Teatro Festival Italia, tra i tanti nomi della danza ospiti di questa ottava edizione, compare quello di La Veronal, compagnia fondata nel 2005 dal coreografo spagnolo Marcos Morau. Collettivo di artisti provenienti da una formazione multidisciplinare, La Veronal (che prende il nome dal noto farmaco sedativo) porta sul palcoscenico di Piazza d'Armi lo spettacolo dal titolo Russia, ulteriore step di un progetto che vede la messa in scena di circa dieci creazioni volte a favorire il confronto e l'analogia tra danza e geografia, partendo dalle suggestioni sorte in relazione ai luoghi ed alle città (si ricorda ad esempio di Siena del 2013, in cui attraverso la storia dell'arte italiana dal Rinascimento ad oggi, si indaga sul rapporto che vi è fra l'uomo e l'immagine di se stesso).

Morau non è un danzatore, si occupa di fotografia, regia, teatro, ma in seguito a studi di coreografia avvenuti all'Institut del Teatre de Barcelona, al Conservatorio Superior de Danza de Valencia e presso il Movement Research di New York, inizia ad affacciarsi al mondo tersicoreo collaborando in qualità di assistente e regista con prestigiose compagnie quali il Nederlands Dans Theater II, la compagnia IT Dansa di Catherine Allarde, la Compañia Nacìonal de Danza diretta da José Martìnez e lo Scapino Ballet di Rotterdam.
Gli otto performer protagonisti di Russia sono attivi collaboratori nel processo di elaborazione coreografica diretto da Marcos Morau, il quale partendo dai fondamenti del balletto classico-accademico, ricerca nuovi linguaggi del corpo, distorcendo e rompendo gli elementi tecnici eseguiti dai giovani danzatori e stimolando la loro immaginazione per creare materiale corporeo.
Lo spettacolo, ideato dal regista nel 2011, catapulta i ballerini nella Russia sovietica dei primi anni Ottanta, rendendoli protagonisti di una trama dal carattere spiccatamente cinematografico ed ambientata fra i freddi e desolati paesaggi siberiani. Morau si rende coreografo di un misterioso giallo narrativo dalle coordinate indefinite, un racconto tipico dei cosiddetti road movie in cui a far da copione sono i passi di danza.
Al centro della scena, una berlina rosso fuoco, mezzo di trasporto di un gruppo di ragazzi in viaggio verso un'irraggiungibile meta: il lago Bajkal, il più profondo del mondo. Sul fondo un ampio schermo dove compaiono frasi e battute delle diverse circostanze, riportate da un'ideale voce narrante, cosa che ricorda molto il genere del fim muto alla Buster Keaton. E in effetti gli otto elementi di La Veronal danzano col volto, non solo con il corpo, dotato ovviamente di una qualità tecnica ed articolare che rasenta il contorsionismo; il loro sguardo, i loro lineamenti, interpretano gli stati d'animo dei personaggi alternando drammaticità ad umorismo, sono veri e propri attori che sfoggiano una vasta gamma di espressioni facciali, sinonimo questo di un lavoro improntato alla ricerca personale del gesto comunicativo.
La rappresentazione si sposta da un'immaginaria strada ghiacciata di montagna all'oscurità di una foresta e l'auto (che trionfa accattivante) si tramuta in rifugio, riparo dal gelo e dalle minacce della notte (incluso un orso che a mo' di gag irrompe sulla scena ironicamente per spaventare la comitiva in panico). Le circostanze costringono a con-vivere di stenti, soprattuto quando l'automobile si arresta, e condividere stati emozionali che evolvono repentinamente e si manifestano in danze contorte e complesse, astratte e surreali – anticonformiste come lo è Morau – cariche di tensioni, incastri e contrazioni muscolari, sintomi psicosomatici di vaneggiamento, del senso claustrofobico ed oppressivo che man mano si diffonde.
La presenza della berlina è il punto di partenza dello scheletro coreografico, dal quale si irradiano le sequenze, gli spostamenti, gli scambi, i passaggi e le formazioni che avvengono tra i danzatori, ed è certamente l'elemento dominante che descrive il campo d'azione, ma è anche una macchina teatrale a tutti gli effetti: i proiettori del teatro vengono utilizzati il minimo indispensabile, sono i fari dell'auto e la luce dell'abitacolo ad illuminare gli interpreti il più delle volte.
North Howling crea per questo spettacolo una colonna sonora di tipo sperimentale ed astratta, sulla base di suoni assordanti e frammenti musicali estratti da brani di tradizione popolare russa e da opere di Tchaikovsky e Stravinsky. Il suono oltre ad essere ritmo, è fra gli aspetti più descrittivi degli ambienti inseriti nella narrazione, narrazione che del resto è pressoché inesistente, poiché i pochi fatti sviluppati seguono un filo alogico e si alternano a situazioni completamente distaccate dall'ambito narrativo in quanto proiezioni astrali della mente dei personaggi (le parti danzate).
Anche i danzatori usano le loro corde vocali per condurre il tempo d'esecuzione della trama coreografica, oltre che per palesare gli stati d'animo del gruppo (risate, frasi sconnesse, gemiti, urla) ed anzi, la scelta di installare microfoni sospesi a poco più di due metri dal pavimento in stile set hollywoodiano, amplificando ogni emissione di rumore e di voce con gli echi, crea la perfetta idea di lontananza acustica propria di uno spazio immenso come le lande siberiane.
Il paesaggio che si imprime nella memoria dello spettatore è quindi un paesaggio mentale, una chiara proiezione delle paure di ciò che è incognito ed occulto, irraggiungibile ed impossibile da conoscere come le acque profonde del lago Bajkal, un sogno – o forse un incubo – dell'inconscio.
In conclusione Russia è decisamente una pièce interessantissima per l'unione di arti differenti e per l'idea drammaturgica di fondo, però l'unica pecca sta prorio nella danza, la disciplina che dovrebbe essere fulcro e cavallo di battaglia de La Veronal. La ripetitività dello stile sviluppato dal coreografo sembra avere grave peso sull'intera fruizione dello spettacolo, distogliendo purtroppo il pubblico da una più accurata lettura e comprensione ma rimane il fatto che può essere solo un bene avere all'interno del Festival un progetto di tale portata.

 

 

 


Napoli teatro Festival Italia
Russia
regia Marcos Morau
coreografia Marcos Morau (in collaborazione con gli interpreti)
interpreti Tanya Beyeler, Cristina Goñi, Anna Hierro, Ariadna Montfort, Lorena Nogal, Manuel Rodríguez, Marina Rodríguez, Sau-Ching Wong
testo e drammaturgia Carmina S. Belda, Pablo Gisbert – El conde de torrefiel
scene La Veronal
luci Enric Planas
musiche originali North Howling
costumi Mariana Rocha
foto di scena Luis Castilla
produzione La Veronal
coproduzioneMercat de Les Flors, Centre d’Arts Escèniques de Reus
Napoli, Castel Sant’elmo – Piazza d’Armi, 9 giugno 2015
in scena 8 e 9 giugno 2015

Leave a comment

il Pickwick

Sostieni


Facebook