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Monday, 01 June 2015 00:00

Dietro la tammorra di Pasquale

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Alberi e uccelli inconsueti all'Orto Botanico di Napoli. il sole è caldo e potente, ma l'ombra delle fronde fresca e profonda. I bambini giocano in attesa dello spettacolo. Si rincorrono, fanno a nascondino. Il traffico della città è lontano, solo qualche aereo in decollo o atterraggio ci ricorda che siamo nel ventunesimo secolo e non in quel territorio senza tempo che è il regno della favola e del teatro. Del resto i Romani chiamavano "fabula" l'azione scenica.

Ci raduniamo in uno spiazzo e poi, seguendo il ritmo della tammorra di Pasquale Benicasa, quasi come un pifferaio magico,  attraversiamo i viali del giardino botanico, respiriamo con voluttà un'aria che sembra più pulita, ci fermiamo incuriositi al laghetto delle rane e delle ninfee (o delle ninfee e delle rane se preferite...) e giungiamo infine ad un olivo secolare, ribattezzato come olivo della saggezza. Qui, sotto le fronde argentate, rivivono le favole del greco Esopo, rilette e raccontate da Fedro prima, da La Fontaine poi, rivivono qui, sotto le fronde argentee di un olivo secolare, ribattezzato come olivo della saggezza, nelle parole, nei gesti, nelle espressioni, nelle maschere, nella musica messe in campo da 'I Teatrini'. Niente microfoni. Nessuna scenografia aggiunta all'ambiente naturale. Il teatro si manifesta qui nella forma più antica, il racconto. Le parole in rima rendono la cornice dell'azione, tutto il resto è affidato piuttosto al corpo e al suono: i movimenti degli occhi, delle palpebre, lo scatto del collo della cicogna, il gesticolare felino della volpe, la maestosa prepotenza del leone, l'ululato strozzato e sofferente del lupo che sta soffocando per un ossicino.
Le maschere sono appese ai rami dell'olivo, il leone, l'agnello, la volpe... La maschera, che i Romani chiamavano "persona", ha il potere ancestrale di togliere identità all'attore, sottrarlo alla sua dimensione umana e transeunte e trasformarlo nello sciamano che assumerà su di sé dello spirito che incarna, del personaggio che rappresenta. Annarita Ferraro e Melania Balsamo daranno corpo e voce agli animali delle favole, le più antiche, cariche dell'amara morale pessimistica del vecchio schiavo greco della tradizione. La volpe e l'uva, la volpe e la cicogna, la volpe e il corvo, il lupo e l'agnello, il lupo e la cicogna, la peste degli animali, la cicala e la formica, la lepre e la tartaruga... E poi ci sono i suoni. La macchina del tuono, la tammorra, il djembé, lo zufolo... il suono è il terzo attore in scena, è l'orditura sonora su cui si innestano i movimenti e il meccanismo scenico è così perfetto che non sai se è il suono a generare il movimento o viceversa. Quando la volpe cerca di cogliere l'uva i movimenti sembrano quelli di un clown del circo, accompagnati dal rullo di tamburo. E che dire della cicala e la formica? Prima che arrivino le parole tutta la storia è già lì, nel contrasto tra il garrulo canto, le risatine e le piroette dell'una e il lavoro continuo, a testa bassa, dell'altra.
Cambia la favola, cambia il ritmo, incalzante, accompagnato dall'applauso spontaneo del pubblico, bambini festanti e divertiti, partecipi ed eccitati. Anche gli adulti. Ognuno recepisce la parte della storia che lo interessa. Esopo diverte loro e parla a noi, ma senza montare in cattedra, senza paludarsi, con studiata semplicità. Non è facile mantenere l'attenzione di un bambino. Non è facile mantenere un silenzio spontaneo. Per un'ora. Ma questa è la magia del teatro.

 

 

 

 

Fiabe di primavera
Le favole della saggezza
da Esopo, Fedro, La Fontaine
regia Giovanna Facciolo
con Annarita Ferraro, Melania Balsamo
musiche eseguite dal vivo Pasquale Benincasa
maschere e oggetti di scena Marco Di Napoli
produzione I Teatrini, Regione Campania, Comune di Napoli, Università degli Studi 'Federico II'
lingua italiano
durata 1h
Napoli, Real Orto Botanico, 30 maggio 2015
in scena 2, 3, 9, 16, 23, 30 maggio 2015

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