“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Tuesday, 05 May 2015 00:00

Magia, Nuvole e bambini

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Le Nuvole e chi firma quest’articolo erano un appuntamento sospeso; Le Nuvole ed io ci rincorrevamo ripromettendo di incontrarci e continuavamo a guardarci da lontano, conoscendoci attraverso altri sguardi, o al più sfiorandoci e scambiandoci occhiate di sfuggita. Finalmente, poi, come fosse un dovere imprescrittibile da ottemperare, siamo riusciti a far sì che i nostri sguardi si incrociassero, che lo sguardo attraverso il quale ci riflettessimo fosse il mio puntato verso un palco da una platea condivisa con i bambini; i bambini, ovvero gli sguardi a cui Le Nuvole dedicano il proprio lavoro. Ma non solo.

Perché derubricare il lavoro de Le Nuvole come “teatro per bambini” nasconde la subdola insidia di sottovalutarne la portata, di sminuirne il valore: Le Nuvole fanno teatro “sul serio”, e te ne accorgi già quando leggi soltanto cosa ne raccontano gli altri sguardi a cui ne affidavi la conoscenza; vedere in scena il loro lavoro è solo una conferma, conferma della bontà di un lavoro “trasversale”, che parla un linguaggio intellegibile ad un pubblico fanciullo e che al contempo offre visioni a cui un pubblico adulto non può aver da eccepire e deve anzi spogliarsi di convinzioni pregiudiziali. Di più. Le Nuvole svolgono un ruolo di cui probabilmente non si ha, ad ampio raggio, pienamente coscienza: rappresentano il primo stadio in cui si realizza – o si prova a realizzare – la formazione dello spettatore adulto di domani, operano in quella fase in cui si comincia ad educare lo sguardo fanciullo, lasciandogli una traccia, una sorta di imprinting che presumibilmente resterà nel bagaglio in formazione di chi domani frequenterà le platee teatrali.
Così, per prepararmi alla visione de La grande magia, mio primo incontro diretto con Le Nuvole, provo ad armarmi del più fanciullo degli sguardi di cui riesco ad essere capace e a renderlo congruo a quell’altro sguardo, quello più smaliziato, quello che, sera dopo sera, va ad esercitarsi in platea nello sforzo di cogliere – ahimè non sempre riuscendoci – dettagli e sfumature che s’annidano dietro i gesti e le parole che, sera dopo sera, sulla scena prendono forma e si offrono in visione.
Se con Le Nuvole il mio appuntamento era stato fino ad ora inopinatamente procrastinato, il fatto di incontrarci avendo in scena un lavoro di Eduardo De Filippo rappresenta un’altra circostanza particolare; con Eduardo – con la rappresentazione dei suoi lavori – mi ero fino ad ora incontrato solo di rado, di sfuggita, il che sembra un paradosso per chi – un po’ per scelta, un po’ per accidente – si ritrova ad esercitare l’attività di recensore (ché “critico” mi pare ancora parola tanto grossa da temerne l’abuso utilizzandola), vieppiù quando quest’attività la si esercita prevalentemente nella città di chi per destino ineludibile (mi riferisco sempre ad Eduardo), all’arte della scena dedicò l’intera vita.
La grande magia, dunque… negli occhi dello spettatore bambino che non fui, mischiato agli sguardi attenti degli spettatori che saranno.
Il gioco del teatro è su più livelli, come mostra in partenza la costruzione del palco, scena nella scena, che s’appropria del boccascena e continua oltre scena: sotto al palco tre tavolini compongono la platea metateatrale delle gesta di Otto Marvuglia, mago, ciarlatano, in fondo psicologo; i tre tavolini sono occupati da alcuni dei piccoli spettatori, chiamati ad avere funzione di scena, ad essere componente attiva di quest’opera teatrale che è meccanismo di scatole concentriche, gioco da palco illusorio che sovrappone i piani, che confonde realtà ed illusione, spazio reale e spazio immaginario; ed è dalla platea che parte l’azione teatrale, provenendo il primo personaggio (Antonella Romano) da quel “mare” che nel testo eduardiano doveva essere rappresentato dal pubblico.
Rosario Sparno, nel suo riadattamento procede per riduzione, semplificando l’ordito, eliminando una parte dei personaggi e condensandone alcuni nell’unica figura della stessa Antonella Romano (che è ad esempio al contempo la Signora Lo Cascio, Marta Di Spelta ed anche Zaira, moglie di Otto), o anche facendo confluire nel personaggio di Calogero – interpretato dallo stesso Sparno – una parte degli altri personaggi, affidandogli ad esempio anche le battute del brigadiere, personaggio altrimenti espunto da questa messinscena; ci pare questo un modo per giocare sul piano ulteriore dell’illusione, corroborato dal leit motiv musicale di Signora illusione, canzone d’antan che gioca la duplica funzione di rimarcare il tema fondamentale dell’opera e di rimandarla ad un’epoca passata. Tornando alla riduzione, la rielaborazione di Sparno riesce a conservare sostanzialmente intatti i passaggi fondamentali dell’opera eduardiana, che già possiede in sé prerogative di favola teatrale; ridotti a tre gli attori in scena, ricorre a tagli della partitura ed a qualche semplificazione che snellisce la narrazione, uno su tutti citato a mo’ di esempio l’accordo che intercorre tra Otto Marvuglia e Marta Di Spelta (e che nell’originale eduardiano è invece stipulato tra lo stesso Marvuglia e Mariano D’Albino, altro personaggio che qui non troviamo in scena e che è l’amante della Di Spelta), accordo che viene mostrato nella penombra che evoca un ‘a parte’ dietro le quinte dello spettacolo di prestigio e che rende manifesto al pubblico il sotterfugio che sottende al marchingegno perpetrato ai danni di Calogero; rimangono i tre atti, che corrispondono alle tre ambientazioni (l’albergo, la casa del mago, la casa di Calogero), e che, ricreati, conservano una scena scarna, affidando a lampadari differenti il segnale del cambio di ambientazione.
L’antinomia realtà/finzione (ma anche consapevolezza/illusione) vive in scena nel chiaroscuro del gioco delle luci e ruota tutto intorno al ruolo della scatola, vero elemento catalizzatore dell’attenzione, verso il quale il pubblico più giovane (ma non solo quello) è portato ad indirizzare i propri interrogativi: cosa conterrà davvero? Illusione che ne contiene un’altra: cosa è vero e cosa non lo è? Il gioco eduardiano, così intriso di metateatralità, riproposto da Sparno conserva la sua carica di psicologismo surreale, di introspezione pirandelliana (tanto che valse ad Eduardo l’accusa di pirandellismo quando, al Teatro Eliseo di Roma nel gennaio del 1950 al calar del sipario del terzo atto il pubblico in piedi cominciò a gridare “Pirandello, Pirandello”); inoltre, nell’Otto Marvuglia di un Luca Iervolino barbuto con pizzo ad onor del mento pare di veder riproporre la versione eduardiana – nel senso di ‘interpretata dallo stesso Eduardo’ – di un epigono di Freud, mago sì, ciarlatano pure, psicologo anche forse.
Il gioco magico del teatro fa giustizia e storicizza, sicché La grande magia, anche in questa sua versione emendata e ridotta, conserva una carica surreale tutta sua, e si rivela capace di parlare ad un pubblico trasversale, sebbene presupponga un livello di comprensione elevato che potrebbe apparire di primo acchito sin troppo impegnativo per un pubblico di bambini; ma la sorpresa (o forse, rimanendo nella suggestione della commedia potremmo interrogarci: l’illusione? o forse la realtà?) che si fa manifesta sbirciando la platea è di un pubblico – e mi riferisco proprio ai più piccoli – la cui soglia d’attenzione non sembra mai calare e che sembra portarsi dietro quella giusta confusione dubbiosa che La grande magia tende a suscitare su cosa sia vero e cosa non lo sia, su cosa sia giusto fare e dove sia giusto guardare, lasciando sullo sfondo in trasparenza la possibilità di un arbitrio, di una scelta: si può crederci o no.
Ho incontrato Le Nuvole, ho ritrovato Eduardo, ho scoperto lo spettatore bambino che non fui… Tutto questo assistendo ad uno spettacolo di cui ora mi trovo a scrivere, confermando una consapevolezza pregressa, che prima avevo potuto affidare solo alla conoscenza per interposta visione: non esistono un “teatro per bambini” ed un “teatro per i grandi”, ma esiste un teatro che può essere buono o meno buono, espressione della capacità di chi vi lavora; quello de Le Nuvole appartiene alla prima delle due categorie. E questa no, non è un’illusione.

 

 

 

 

 

La grande magia
di
Eduardo De Filippo
adattamento e regia Rosario Sparno
con Luca Iervolino, Antonella Romano, Rosario Sparno
aiuto regia Paola Zecca
costumi Alessandra Gaudioso
disegno luci Riccardo Cominotto
coach/consulente giochi di prestigio Massimiliano Foà
scenotecnica Gaetano di Maso, Massimo Ruccio
foto di scena Luigi Maffettone
produzione Le Nuvole/Associazione Casa del contemporaneo
lingua napoletano e italiano
durata 1h 10’
Napoli, Teatro Galilei 104 – Teatro Le Nuvole, 30 aprile 2015
in scena 30 aprile 2015 (data unica)

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