“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Tuesday, 21 April 2015 00:00

Una trinità "schifosa"

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Quando David Foster Wallace pubblica Brevi interviste con uomini schifosi è già lo scrittore leggendario post-Infinite Jest costretto a convivere con la pesante fama di “migliore mente della sua generazione”. Le aspettative su di lui sono altissime e questo forse contribuisce a creargli una serie di insicurezze pre-pubblicazione, acuite dalla consapevolezza che la cupezza delle storie e dei personaggi avrebbero potuto non incontrare il gusto dei lettori che avevano, invece, apprezzato i suoi libri precedenti. Sente che quello sarà un appuntamento strano e decisivo, in cui il lettore verrà posto di fronte alla 'fatidica domanda', del tutto simile – negli effetti – a quella che uno dei suoi personaggi non manca di formulare a tutti i terzi appuntamenti con le tizie di turno.

Il libro consiste in una raccolta di storie, scene e conversazioni, molte delle quali si svolgono tra una donna (intervistatrice) e i diversi uomini da lei intervistati (che non hanno mai un nome e un'identità). Le interviste vengono contraddistinte solo da indicazioni su luogo e tempo, come se si trattasse di colloqui svolti in prigione o presso un ospedale psichiatrico, e le domande rivolte non sono mai espresse (il lettore è costretto a desumerle dalle risposte fornite di volta in volta dai differenti, molteplici, 'uomini schifosi'). Il narratore di uno dei racconti – Ottetto – dice che  "è difficile descrivere esattamente come dovrebbero funzionare i brevi brani del ciclo. Diciamo che in un certo senso dovrebbero costituire una sorta di interrogazione alla persona che li legge – cioè palpitazioni, sonde negli interstizi della sua sensibilità verso qualcosa, ecc...". Quello che avrebbe dovuto essere un libriccino esile, strano e un po' leggero, è diventato un esplicito e tutt'altro che sottile invito al banco dei testimoni (o degli imputati) in cui i lettori sono continuamente esortati a chiedersi cosa pensano e provano veramente riguardo agli argomenti proteiformi che le Domande finiscono per 'palpare'. Il finale di molti brani è una domanda esplicita: "Sai non si sa mai, in fondo, o invece sì, o invece sì, o invece sì"; "O la pura verità su questo genere di cose fa sempre un effetto superficiale, sai com'è, le vere ragioni di ognuno? Che ne pensi? Che effetto fa?"; "Mi segui?"; "Possiamo parlarne prima che tu reagisca? Me lo prometti?"; e molti consistono in veri e propri 'quiz a sorpresa' rivolti a chi legge. La domanda non è mai ammiccante e ha piuttosto il medesimo sguardo mite e il tono neutrale usato dal dominatore (B.I. n. 49, agosto '97, Brevi interviste ad uomini schifosi) che al terzo appuntamento, quando è il momento giusto, lì sull'ottomana sterza bruscamente introducendo uno scenario contrattuale, lasciando tuttavia il tempo e la libertà necessari per decidere (scegliere) senza esternare alcun fremito palpitatorio alla acquiescenza del soggetto. Le possibili reazioni dei lettori a questa maratona di individui – più umani che schifosi a dire il vero – che non ambiscono ad alcuna catarsi e abilissimi nell'intaccare l'altrui sfera emotiva da angolature diverse, coincide con quelle ritualizzate in questa intervista: allo spiazzamento iniziale segue un silenzio meditabondo (del tipo “non credo alle mie orecchie”), poi c'è chi ringrazia e si tira indietro in modo garbato (“grazie, non fa per me”); chi sta al gioco (la maggior parte); e infine chi rifiuta con ostilità; questo può accadere quando "il soggetto in questione di fatto desidera davvero partecipare ma è in conflitto o è sprovvisto dei mezzi emotivi per accettare quel desiderio... Questo a volte è noto come codice di avversione".
Rosario Sparno non solo è stato al gioco ma ha addirittura rilanciato. Attraverso una cernita accurata all’interno dell’opera wallaciana, per cui oltre ai soggetti delle Brevi Intreviste evocate dal nome dello spettacolo, riconosciamo lacerti di Verso Occidente l’Impero dirige il suo corso e de La scopa del sistema, il regista ha selezionato i brani da portare sulla ribalta badando bene che nell'operazione di scelta e inevitabile scarto, non perdessero la potenza che ad esempio in Brevi interviste ad uomini schifosi è conferita da un ordine studiato, rendendoli un insieme organicamente unificato. In Schifosi. L'orchestra vuota la parola di Wallace diventa un fluire senza interruzioni e viene amplificata dalle incursioni sonore di Massimo Cordovani e dalla prova d'attore di Luca Iervolino. Lo spettacolo ha un'organizzazione letteraria lineare, i capitoli trinitaristici (la Madre; il Padre; il Figlio) sono preceduti da un prologo e congedati da un epilogo, come ad incastonarli in una cornice teatrale e narrativa che ne rimarchi l’unitarietà. I tre personaggi sono tutti introdotti, interpretati o narrati da Luca Iervolino che, solo sulla scena, è chiamato all'impresa per nulla facile di dare spessore ed evidenza alle molteplici sfumature di un testo che si serve della suggestione e delle omissioni per comunicare. Pochi elementi di scena (una sedia a rotelle, un’altra sedia su cui sono riposti degli abiti ed un tavolo ribaltato) saranno funzionali all’espettorazione del dogma wallaciano di questa “trinità schifosa”; gli abiti e la sedia a rotelle serviranno a lasciar trasmigrare, in un unico ininterrotto flusso, la capacità attoriale di Luca Iervolino in ciascuno dei personaggi che andrà ad interpretare, calandosi nella scrittura di David Foster Wallace adattata alla scena, facendola vivere in un crescendo rivelatorio di livori ancestrali e sopiti, prima celati e poi rivelati, in una messinscena meschina (quella dei personaggi ‘schifosi’) che progredisce, attraverso risposte a domande non scritte, giungendo a domande dalle risposte non dette, ma percepite, evocate, rappresentate sulla scena dai contorni vividi eppur sfumati, quasi impressionistici, che di ciascun personaggio vengono tratteggiati.
La Madre è un lascito testamentario impresso su di un nastro registrato, le paure confessate giungono da lontano (da Verso Occidente per l'esattezza) srotolando i bendaggi incrostati di una vita avvolta nella menzogna e segnata da piaghe in perenne suppurazione: bomba, disastro nucleare, cancro, superinflazione, tu che mi versi addosso dell'acqua bollente mentre dormo, apocalisse, la voce di tuo padre, la tua voce (solo a volte), che non ci sia un Dio, che ci sia un Dio, ustioni da acqua bollente, i miei genitali, la morte per acqua. E così via. Fino all'epicentro infetto di quella piaga che si chiama verità.
Il Padre è la voce maschile della medesima infezione. L'uomo morente su di una sedia a rotelle sente l'urgenza di liberarsi dal fardello dell'inganno; gli episodi di dispnea, blenorragia e le applicazioni dei cateteri di suzione sono annunciati all'altoparlante da una voce fuori campo che segna il ritmo del passaggio dalla vita alla morte e dalla menzogna alla verità: "I ritmi sono i rapporti tra quello che credi e quello che credevi prima". Chiudere il cerchio per andarsene in pace ha un prezzo altissimo, che qualcun altro dovrà pagare.
Il figlio. Ecco l'uomo dal 'terribile occhio incombente', il frutto di tanto odio intimamente coltivato nella serra più nascosta del giardino di casa. Cresciuto in una plumbea luce crepuscolare, l'uomo 'schifoso' ha assunto le fattezze di un maschio adulto dalle idee molto poco stereotipate in fatto di violenza, che ha trovato moglie e si è riprodotto, impedendo così al cerchio di chiudersi, rinnovandolo in una spirale tassonomica di 'merda psichica' e violenza. Luca Iervolino oscilla come un pendolo tra i ruoli domestici di marito e padre; il richiamo della confessione liberatoria è irresistibile come il canto delle sirene, ce l'ha nel sangue, ma nel salto generazionale non ci sono registratori o preti immaginari a cui affidare parole impronunciabili, il suo unico interlocutore sono le vittime, destinatarie di una condanna ereditaria senza beneficio di inventario. Ormai del tutto denudato ci consegna all'atroce epilogo, Il Bocconcino: "Possiamo parlarne prima che tu reagisca? Me lo prometti?".
L’orchestra vuota in cui risuonano queste tre voci ha in Luca Iervolino il suo direttore, giostraio dei personaggi, che alterna la propria voce naturale a quella di un microfono; in particolare, si faceva cenno alla forma-cornice che incastona la messinscena, con tanto di prologo ed epilogo a conchiuderne lo sviluppo e, come ad esserne l’anchorman cui spetta il compito di presentare, in apertura l’attore imbraccia il microfono, procede in ribalta e si rivolge direttamente al pubblico, come a farsi sommario loquace e vivente di ciò che andrà di lì a poco a rappresentare. L’orchestra è “vuota” perché vi risuonano voci non udite, zufolano geremiadi inconfessate ed inconfessabili nella forma dell’interlocuzione non accolta, ancorché diretta, che trova un ascoltatore attento solo nell’interlocutore legato al letto.
Il lato oscura, la bipolarità insita nel personaggio (nei personaggi), appare su scena grazie ad una dislocazione dell’attore, che dà vita alle figure in un susseguirsi alternato, eppure unitario, che lo porta ad intrufolarsi negli interstizi unitari e variati di una nevrosi che è una e trina, abbracciando ciascun personaggio connotato su scena.
Vuota l’orchestra, per voce sola e polifona, ottimamente congegnata e interpretata, verso l’applauso dirige in suo corso.

 

 

 

 

 

Schifosi – Lorchestra vuota
dall’opera omnia di David Foster Wallace
regia Rosario Sparno
con Luca Iervolino
incursioni sonore Massimo Cordovani
disegno luci Riccardo Cominotto
produzione Bottega Bombardini
foto di scena Daniele Fenoglio
lingua italiano
durata 1h
Napoli, Nuovo Teatro Sanità, 17 aprile 2015
in scena dal 17 al 19 aprile 2015

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