“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Saturday, 07 March 2015 00:00

"Io non sono Casanova"

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A scena chiusa si ode una voce: “Aprite! Aprite! Aprite!”. Poi la tela si apre su uno spazio nudo, foderato di bianchi lenzuoli sui quali si proietteranno le luci, le ombre, le storie. Un uomo anziano, vestito di velluto verde oliva, emaciato, stanco nell’aspetto, sofferente, costituisce l’unica nota di colore. Cinque bianche sedie, munite di ampie ruote, sono disposte in secondo piano, a semicerchio. Altrettante figure femminili vi sono sedute, di spalle. Il capo è ornato da voluminose acconciature, ricche di nastri e complesse trecce, il busto stretto in bianchi corsetti che lasciano nude le spalle, le gonne sono ampi e trasparenti veli bianchi che scivolano morbidi sotto il guardinfante. In mano recano mazzi di fiori, si direbbe di carta. Le pose sono rigide, statiche, quasi meccaniche, non sembrano corpi di donna, ma piuttosto membra di bambole meccaniche.

L’uomo anziano continua a chiedere di essere liberato, “le vostre pupille sono di ghiaccio signore (...) il vostro fegato è marcio (...) non si rinchiude un gentiluomo di Venezia in un simile ambulacro”, sembra cantare canzonatoria la voce, poi si fa flebile preghiera: “Aprite!”, poi imperiosa “Aprite!”.
Finalmente si accorge, e ci accorgiamo anche noi, delle figure sedute di spalle, che sembravano quasi fungere da oggetti di scena: “Che scherzo è questo?”. Una delle donne ci si presenta di fronte. Ciglia e labbra marcate, da bambola di porcellana, e di bambola, ancora sono la posa e i movimenti, con le giunture legate pur nei gesti eleganti. “Vi hanno scritturato per l’ultimo atto del mio finale? (...) Su, prendete i vostri finti bagagli e usciamo”. La voce si fa sensuale, insinuante.
La narrazione ha inizio. “È il 4 di giugno del 1798, signori (...), vi sembra una data qualsiasi?”. Narra di come sia stato imprigionato con l’inganno: “Mi hanno spinto, insultato, mi hanno ridotto a una vecchia trottola”. Il tono è mutevole, serio, imperioso, sensuale, motteggiante. L’uomo cerca in tutti i modi di estrocere una parola alla muta figura che lo guarda. La donna lo interroga con voce e gesti meccanici, ancora una volta da bambola a molla. Sembra il corifeo e le altre il coro. Parlano all’unisono, con voci artefatte, a tratti metalliche, come se non viva voce emettessero, ma piuttosto attraverso una maschera. Anche quando ridono, ancora una volta coralmente, il suono è volutamente artificiale, quasi diabolico. “C’è sempre un piccolo inferno da attendere”, quando si è vissuta la propria vita nella soddisfazione del proprio personale paradiso.
La donna incalza con le sue domande, gli chiede se è Casanova. L’uomo anziano nega, recisamente, dice di essere piuttosto un suo amico, un amico di lunga data, un amico d’infanzia. Per questo lo conosce così bene. “Tutto per lui era vertigine, tutto precipizio (...) Giacomo respirava sangue e vomitava sangue”. Ogni tanto si confonde però, e si tradisce, passando dalla terza alla prima persona.
Un bambino cui il naso sanguinava sempre, fino all’incontro con una vecchia di Murano, fata e fattucchiera insieme, che lo chiude in una cassa e gli pronostica un incontro fatato. Un’altra donna, incontrata in sogno, lo guarirà, farà sì che il suo sangue si incanali e circoli correttamente nel suo corpo. La giovinezza, gli amori, la prigionia ai Piombi, la fuga rocambolesca. Tutto narra Giacomo, o meglio, il suo amico, se facciamo finta anche noi di credere al suo racconto in terza persona. Ma la finzione non regge, i ricordi, le domande incalzano, ma ancora recisamente, caparbiamente, l’uomo protesta: “Non sono Casanova! Non sono Casanova! Non sono Casanova!”. Fino alla confessione, l’ammissione di identità, “Il mio nome è Giacomo Casanova”, e il disvelamente della natura più profonda del suo io. Lui e la donna, due facce di una stessa personalità. “Il fantasma della mia giovinezza”, dice lui, “Il fantasma della mia vecchiaia”, dice lei.
Le bambole. Quale contrasto tra questi simulacri di donna, prezzo pagato con grazia all’immaginario maschile più trito, e il desiderio reale sbandierato da Casanova, amare le donne per quello che sono. Ciascuna donna per quello che è, per quello che desidera. Senza paura della morale. Senza paura del proprio desiderio. Ascoltando le storie di ciascuna, ascoltando il piacere di ciascuna. “Il seduttore non mirava al vostro corpo. Non si è mai seduttori se non si è sedotti dalla violenza del silenzio. (...) Lui vi voleva libere. E lo eravate. Vi voleva intelligenti. E lo eravate. Vi voleva spiritose. E lo eravate. (...) Casanova voleva soltanto che non vi vergognaste di vivere”.
Nota a margine. L’operazione di Ruggero Cappuccio e Nadia Baldi trasuda teatro e metateatralità da tutti i pori di questa serratissima narrazione. Innumerevoli gli accenni al teatro, al ruolo giocato. Ammiccante il tono e i cambi di tono, mentre racconta, passando dal tragico, all’aulico, al faceto, al sensuale, con una sprezzatura e un’ironia di fondo che suggeriscono l’idea che in fondo, solo di letteratura si tratta e letteratura narrata e messa in scena. E soprattutto la consapevolezza di fondo di aver recitato una parte, per tutta la vita, quella che lo ha consacrato nell’immaginario collettivo quasi come il seduttore per antonomasia, sostantivando il suo nome, al pari dell’altro canonico seduttore, questo sì solo personaggio letterario, il mozartiano Don Giovanni, del quale, non a caso, ricorda la visione in teatro e lo scambio/identificazione di ruoli: quando il Commendatore canta “Pentiti!” Casanova risponde fiero “No!”. Eppure “l’idea che avete di lui, non è lui. L’idea che il mondo si è fatto di lui, non è lui”. “Il mondo voleva un seduttore (...) io glielo regalai”. Ma in realtà “io sono uno scrittore. Io sono sempre stato solo uno scrittore” (... come ironizzava genialmente Achille Campanile nelle Vite degli uomini illustri...). “Ho scritto sulla vita, sulla pagina cangiante dell’acqua della vita (...) il personaggio si è mangiato lo scrittore. Casanova ha divorato Casanova”.
Ma siamo giunti alla fine dell’ultima notte di Casanova: “Che una vecchia donna di Murano chiuda il coperchio della cassa (...), sorridete signore, datemi la mano”. Tela. Applausi.

 

 

 

Casanova
di
Ruggero Cappuccio
regia Nadia Baldi
con Roberto Herlitzka, Marina Sorrenti, Franca Abategiovanni, Carmen Barbieri, Giulia Odori, Rossella Pugliese
musiche Marco Betta
costumi Carlo Poggioli
progetto scena Mariangela Caggiani
disegno luci Nadia Baldi
acconciature Desirée Corridoni
aiuto regia Iole Salvato
produzione Teatro Segreto
lingua italiano
durata 1h 10’
Napoli, Teatro Nuovo, 5 marzo 2015
in scena dal 4 all'8 marzo 2015

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