“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Sunday, 08 March 2015 00:00

I "Seventies" secondo Anderson

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Se potessi scegliere un’epoca del passato nella quale vivere, gli anni ’70 sarebbero sicuramente in pole position: il fervore artistico e musicale, la moda e l’ideologia rivoluzionaria di quegli anni, comunicano ancora oggi un forte senso di libertà e ribellione che non è paragonabile a nessuna epoca successiva.

I famosi Seventies però, non sono solo libertismo e figli dei fiori che volteggiano al ritmo di Aquarius: in realtà, dietro i fumi delle droghe e dell’alcool, sotto le coroncine degli hippies, si celano componenti emotive e filosofiche ben più complesse di ciò che sembra in apparenza, ed è questo l’aspetto che ha voluto portare in scena il regista americano Paul Thomas Anderson nel suo ultimo film ambientato proprio in quel periodo, Vizio di forma.
Per chi si aspetta una trama classica e lineare, beh, cambi film. Siamo a Los Angeles, 1970: Larry, detto "Doc", Sportello è un investigatore privato un bel po’ “fattone” – ma chi non lo era in quegli anni – che si vede chiedere aiuto da una sua ex ragazza, la conturbante Shasta Fey. La donna vuole che Doc scopra tutto quello che può sul magnate miliardario Mickey Wolfmann, del quale è l’amante, e che con ogni probabilità, è stato internato dalla moglie e dall'amante di quest'ultima. Doc accetta di aiutarla, intraprendendo delle indagini che da subito si trasformano in un viaggio surreale su una strada ricca di stravaganti personaggi e che lo portano a vivere situazioni alquanto grottesche che lo condurranno a scoprire dei retroscena ben più loschi: traffico illecito di droga, riciclaggio di soldi, in una matrioska narrativa sempre più contorta e confusionaria.
La struttura della trama, la scelta di personaggi strambi dai nomi bizzarri è speculare al mondo interiore degli stessi: il protagonista Doc, interpretato da Joaquin Phoenix, che fa la differenza, è il simbolo di un'epoca in bilico tra tradizioni e cambiamento. Il suo continuo stato mentale da tossicomane, che rispetto agli altri personaggi è quello di un francescano, è il mood stesso del film: un percorso psichedelico allucinato e allucinante basato su un nonsense dal quale lo spettatore è sedotto, a volte stressato, talvolta divertito, dietro il quale viene sussurrata un qual sorta di morale e lezione filosofica sfuggente sul significato del passato ingombrante che finisce per dare spazio ad un presente imminente.
Si tratta di una pellicola incentrata molto sui sensi, la percezione e l’intuito: i film di Anderson da sempre, sono pellicole intricate e complesse che lasciano ampio margine di interpretazione allo spettatore in sala e Vizio di forma lo è a partire già dal titolo che in originale è Inherent Vice, traducibile più precisamente in "Vizio intrinseco", come si dice nel film. Il vizio in questione che, ad un primo colpo d’occhio potrebbe essere quello delle droghe o del fumo – se siete fumatori incalliti o da poco avete smesso, consiglio di vedere il film sul proprio divano di casa – diventa qualcosa di più profondo: il vizio intrinseco è duplice: quello di tipo ideologico politico, vale a dire l’incapacità per un sistema sociale di tenere a freno le sue componenti interne; quello poi emotivo dei personaggi, soprattutto Doc, che diventa una sorta di guru, un eroe errante che vaga alla ricerca di prove e di verità, che rimpiange un passato e un amore dal quale è riuscito a liberarsi, forse.
Da un punto di vista stilistico e tecnico, la pellicola colpisce per la bellezza delle immagini, i primi piani su Phoenix, e per il montaggio sonoro che sfrutta a pieno il fervore musicali di quegli anni: il rendere tecnicamente una storia articolata come questa, tratta da una romanzo altrettanto intricato, non era un gioco da ragazzi, ma Anderson ha voluto essere fedele in primis a se stesso e al suo stile, al libro di Pynchon, e all’atmosfera di quegli anni, riuscendo a creare un’opera stravagante sì, a tratti lenta e confusa, ma assolutamente originale.
Interessante è anche la scelta di affidare ad un personaggio visibile sullo schermo e che compare spesso nel film, Sortilège, amica di Doc, anche il ruolo di voce narrante fuori campo: una coscienza interiore del protagonista che racconta i suoi stati d’animo e le sue smanie.
Il film pecca spesso di chiarezza per via di questa volontà del regista di andare verso il nonsense e il surrealismo della narrazione, forse anche a causa di una durata un po’ troppo lunga e lo spettatore ne fuoriesce anch’egli un po’ 'drogato'.
Vizio di forma, per la sua particolarità, è senz’altro un film sul quale avere un’opinione ben precisa ma, al di là delle considerazioni di bello o brutto che sono molto soggettive, descrive nel bene e nel male un aspetto degli anni ’70 imprescindibile: la deriva di un mondo arrivato ormai agli sgoccioli e che si sta aprendo ad una nuova modernità, mentale e civile.

 

 

 

 

Vizio di forma (Inherent Vice)
tratto dall’omonimo romanzo di Thomas Pynchon
regia e sceneggiatura Paul Thomas Anderson
con Joaquin Phoenix, Josh Brolin, Owen Wilson, Katherine Waterston, Reese Witherspoon, Benicio del Toro, Martin Short, Jena Malone, Joanna Newsom, Maya Rudolph, Eric Roberts
produzione Ghoulardi Film Company, Warner Bros
paese Stati Uniti
lingua originale inglese
colore a colori
anno 2014
durata 148 min.

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