“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Sunday, 01 March 2015 00:00

Dal bianco al nero, dalla carta ad Amano

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Distratto, magnifico ed impetuoso mi sento, dopo aver “toccato” con mano (una mano speciale fatta di dita asensoriali, esposte all’immaginifica e folle sfera delle idee), alcune delle opere del maestro Yoshitaka Amano (classe 1952 – Shizuoka).
Artista eclettico, ha ridefinito come pochi (a mio avviso), i sempre più labili confini tra tecnicismo artistico ed espressione pittorica. Attraverso le liquide evanescenze di acquerelli e chine, tempere ed altre desinenze più solide (come ad esempio incisione su legno), ha dato vita a quello che sarebbe l’invidia di un qualsiasi cultore di emozioni.

Pescatore visionario di melodie ininterrotte, se non dal confine crudele del supporto di volta in volta gabbia e nutrice paziente di piccoli gioielli, veri e propri esempi della sua particolare sensibilità. Un pennello fuori dal comune, che ha militato in quel campo commercialmente fecondo nella sua terra e non solo, lavorando fin da ragazzo come illustratore di manga ed anime giapponesi.
Un artista che ha saputo imporre delicatamente – come delicate sono le atmosfere e le fisicità espressive dei suoi personaggi – uno stilema di nebbie disincantate e trasparenti di fulgida astrazione.
Sensazioni spesso rapite dall’arsura di sfondi adesso mosaico misto e quasi caotico di stoffe, colori, serpenti, collane, creature orripilanti degne del peggiore e febbrile incubo, ora quasi una nube appena abbozzata di colore semi-uniforme, una nuvola qui, un cielo stellato là, o addirittura un anomalo ed indistinto nulla, un apatico e complesso vuoto della coscienza in cui il protagonista si staglia divenendo cosmo e creato, espressione e meraviglia, eroe ed avversario insieme.
Apprezzato esportatore di onirici intendimenti, viene magneticamente reclutato dalla nota casa videoludica Square Enix (al secolo Squaresoft) come character designer per i protagonisti della celebre saga di fama internazionale Final Fantasy, creandone i loghi e curandone di volta in volta (anzi, catturandone) lo spirito giovanile e disincantato, quasi malinconico di questi  giovani e “nostalgici” guerrieri.
Perché di nostalgia si parla con il maestro Amano.
Di nostalgia e di oscurità, come nelle tavole di Sandman, commissionategli per immortalare (per uno strano scherzo del destino, magari) l’incarnazione stessa dei sogni nella graphic novel di Neil Gaiman, a sua volta noto scrittore americano di letteratura fantastica e sceneggiatore di fumetti di fama internazionale.
Nostalgia e oscurità, come nell’ elaborazione dei dannati animati in Vampire D Hunter, popolato dalla solitudine compassionevole e scrosciante come lo sguardo triste e disilluso del protagonista. “D”, il dampyr mezzo sangue, a metà strada (come la sua natura del resto) tra umano liberatore e messia fatale per il sangue del suo sangue, in parte maledetto, parassita e demoniaco palcoscenico di guerre tra umani e vampiri.
Poi, tra una commissione ed una collaborazione, riemerge l’artista. Un sottile lenzuolo di sentimenti in progresso alberga in quelle figure che sorprende all’improvviso su un foglio di carta dal mondo dell’immaginario. Li vedo tutti sopiti eppur vivi, mentre dall’alto di un’impalcatura solida e possente – architettura della loro possanza fisica ed eroico/mitica al contempo – mentre spada in pugno, osservano un punto indefinito all’infuori di loro, oltre il loro scopo, la loro immagine. Qui la maestria diviene sopraffina, essendo una peculiarità di Yoshitaka quella di riprodurre gli occhi aperti rappresentandoli come se fossero socchiusi a metà, dando quell’impronta sottile ed orientaleggiante (tipica del suo fenotipo), e donando un certo mistico splendore all’evasione metafisica che è propria del rimanere incantati da un sogno schiuso in uno sguardo impotente, perso altrove.
Oltre le cornici del microcosmo in cui sono racchiusi, come se l’incantamento genitrice li avesse dotati di un bisogno estraneo alla loro stessa realtà, invadendo la nostra.
Pose statuarie e mobili allo stesso tempo, catturate in un istante di fiera illuminazione archetipica tra il sé e l’altro, che diventa nella sua invisibilità (nella sua non esistenza), un chiodo fisso per l’osservatore che finisce per estraniarsi, domandandosi a cosa quella figura triste stia pensando come ultima agognata speranza, nell’attimo magari di partire alla carica contro un demone dai foschi natali.
E sognando di rimando, si ristabilisce un contatto con la visione imperante di Amano, sempre presente, almeno come altalenante fontana di colori e sfumature. In quelle stesse percezioni, notiamo l’aspetto (in)completo dei personaggi. Capelli ondeggianti (come immersi in acque ribelli, appena stilizzati), dame dalle curve fluenti come le loro vesti, spesso adorne di troppi gingilli e incoronate da elaborate architetture naturali, circondate dai simboli del lusso e dalla varietà di forme geometriche ed insieme da ricami minuziosi quasi opera di una moda senza genitori, senza origini apparentemente, pur omaggiate da cameo da fiaba del Sol levante.
Le iridi scoscese nel sussulto del simbolismo estremo, mentre una donna a tu per tu solleva un viso cadaverico e putrefatto, nella notte più immonda.
Un’altra musa stringe un cuore in una mano coprendosi timidamente il centro vitale della propria sessualità, avvolta da tentacolari e viscidi vasi sanguigni che simili ad uno stelo impazzito cerca di ghermirla.
Oppure ninfe floreali – incarnazioni distaccate ed impassibili della ricchezza spirituale, fredde ed in contrasto con i caldi colori che emanano dai loro petali chioma.
Di tutt’altro genere, invece, ma non meno sofferte, le figure maschili. Sensibili e spesso efebiche nei lineamenti, tradiscono tanta leggerezza nell’incisività dello sguardo fiero e privo di esitazione, persino mentre osservano l’ignoto al chiaro di luna. Tese larghe e atmosfere alla mille e una notte. Spade lunghe come i loro profili di assassini, nubi vendicative e risolute, sempre alla ricerca di qualcosa, cavalcando destrieri, irrompendo nella nostra fantasia come le loro sferzate tagliano in filamenti di china la bruma dei loro nemici. Coppie romantiche nella flagranza di un ultimo negato e disperato abbraccio, mentre con pallore livido accennano l’un l’altra sentimenti come polveri distanti.
Romantico ed intangibile come un figlio del suo ignoto stupore, Amano entra dentro di noi divenendo Morfeo, Fobetore, Fantaso. Svela il volto segreto e secreto degli “Oneiroi”, districandoli dal bianco-nero abisso, rivestendoli di emozioni.

“Io non credo nelle favole.
Non devo crederci, ma solo viverle.
Per poi svegliarmi, un giorno, circondato ed avvolto dal buio.
Bagnato da pensieri che brillano come stelle nel firmamento
e scoprire che i sogni che ho vissuto li ho presi in prestito dalla realtà,
per poi lasciarli andare via come le rughe nel tempo”.

(Notturno – Simone Gravina )

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