“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Saturday, 07 February 2015 00:00

Per non dimenticare

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Anche quest’anno ad Avellino, tra gli eventi in programma che precedono la juta dei femminielli a Montevergine – convegni, spettacoli teatrali e musicali, reading, party, presentazioni di libri, eventi che rendono da alcuni anni a questa parte l’antica tradizione popolare il centro di un importante momento di discussione e confronto con l’intera provincia sui diritti e sulla cultura LGBT – vi è stata la presentazione dei film (lunghi, corti e mediometraggi) premiati nelle diverse sezioni di Omovies – Festival di cinema omosessuale e questioning, giunto alla settima edizione e svoltosi a Napoli dal 9 al 13 dicembre scorsi presso l’Institut Français di via Crispi.

Per la quarta volta nel capoluogo irpino, il the best of del festival si è caratterizzato per varietà di temi e di stili, passando da un argomento poco trattato, come i primi turbamenti amorosi che si provano da bambini, alla denuncia delle etichette discriminanti che ancora oggi stigmatizzano l’amore omosessuale e che hanno trovato la loro applicazione più drammatica nell’ultimo secolo con l’avvento del nazismo. Tema poco dibattuto quello dell’olocausto degli omosessuali durante la Seconda Guerra Mondiale. Si calcola che da un minimo di cinquemila a un massimo di quindicimila siano stati gli omosessuali internati nei campi di concentramento, costretti a portare sugli abiti il famigerati triangolo rosa. Pochi sono riusciti a scampare alla morte, ma quasi nessuno ha poi denunciato il vero motivo dell’internamento, e questo nuovo atroce tassello della follia nazista è stato negato agli occhi della storia coperto da un pesante silenzio, per evitare l’onta del disonore una volta tornati nella vita civile. È stato accertato, anzi, che al momento della liberazione dei campi, gli omosessuali che dovevano ancora finire di scontare la pena furono di nuovo incarcerati. Una conseguenza del famigerato paragrafo 175 del codice penale tedesco introdotto nel 1871 per scongiurare "La fornicazione contro natura, cioè tra persone di sesso maschile ovvero tra esseri umani ed animali" e che prevedeva il carcere fino a cinque anni e l’interdizione dai diritti civili. Norma che non poté essere abrogata dalle forze di sinistra negli anni della Repubblica di Weimar, e che il nazismo ampliò nel 1935, dando luogo a migliaia di arresti e deportazioni che sovente terminarono con l’uccisione dei prigionieri, o con il suicidio di molti di loro. Paradossalmente il paragrafo 175 è stato abrogato solo nel 1994, continuando a criminalizzare i rapporti consensuali (nel 1969 l’età minima per non commettere reato era di ventuno anni, portati a diciotto con la modifica del 1973 nella Germania Federale, mentre il reato scompare dal codice penale della Germania Est nel 1987).
Uno dei pochi sopravvissuti è stato il francese Pierre Seel, che appena diciassettenne venne arrestato dai nazisti invasori (il suo nome era sugli schedari della polizia alsaziana) ed internato nel campo di concentramento di Schirmek (vicino a Strasburgo) dove rimase alcuni mesi prima di venir arruolato nella Wehrmacht ed inviato al fronte. Nel dopoguerra, tornato a casa, Seel scelse di non confessare il motivo della sua prigionia, anzi decise di imporsi un’esistenza “normale” sposandosi e divenendo padre di tre figli. Solo negli anni Ottanta, reagendo alle affermazioni omofobe del vescovo di Strasburgo, ha reso pubblica la sua storia e quella degli altri internati omosessuali. Altre testimonianze sono seguite, e la verità storica sui crimini nazisti si è arricchita di un altro terribile capitolo.
Questo l’argomento del lungometraggio di fiction vincitore di Omovies 2014, Il rosa nudo di Giovanni Coda, che si è basato sull’autobiografia di Seel, Moi, Pierre Seel, déporté homosexuel, scritta insieme allo storico e attivista Jean LeBitoux. La categoria della fiction meglio inquadra la natura dell’opera rispetto a quella del documentario, ma non la comprende del tutto, dato che la scelta del regista è stata quella di mescolare i due linguaggi, affidando la lettura di alcuni passi importanti dell’autobiografia di Seel a narratori fuori campo (i quali danno voce anche ad altri personaggi) e costruendo immagini e scene che non sono la semplice illustrazione delle parole, ma che rimandano alla narrazione e ai sentimenti che la storia suscita negli spettatori. Gli attori-mimi sono ripresi in gesti che esprimono bene l’angoscia dell’anima e lo strazio dei corpi, indifesi ed esposti alla brutalità del campo, reso con semplicità sfruttando l’interno di capannoni dismessi. Il bianco e nero esalta la freddezza che emana dai muri scrostati, dai cancelli arrugginiti dietro i quali si agitano i corpi vestiti di stracci e i volti che urlano in silenzio l’orrore o la rassegnazione. Ai ricordi di Seel si interpongono quelli di Rudolf Bradza, sopravvissuto a Buchenwald, e di Rudolf Höss, comandante di Auschwitz, secondo cui “Non volendo, o non potendo, liberarsi del loro vizio, [gli omosessuali] sapevano benissimo che non sarebbero più tornati in libertà, e questo pesante fardello psichico affrettava, in queste nature in genere anormalmente sensibili, la decadenza fisica. Quando poi vi si aggiungeva la perdita dell''amico', per una malattia o addirittura per la morte di questi, era facile prevedere l'esito finale; parecchi, infatti, si uccisero”. Ed ancora, si racconta dell’esperimento del medico nazista danese Carl Vernaet a Buchenwald, che suddivise i prigionieri in tre categorie: gli “incalliti”, che amavano lavorare a maglia o ricamare, gli “irrequieti”, indecisi tra la virilità e l’indifferenza all’omosessualità, e i “problematici”, recuperabili sotto l’aspetto psicologico. Nei primi impiantò dosi massicce di testosterone nell’addome, da rilasciarsi in un anno: dopo poche settimane l’ottanta per cento era morto, e il restante venti per cento non diede segni di “guarigione”. Una narrazione agghiacciante, quasi insostenibile, contrappuntata dal silenzio afasico degli sguardi che rovesciano su di noi gli interrogativi di tanto accanimento sul corpo, sui corpi, costretti ad indicibili torture ed esperimenti, una distruzione operata con l’asettica burocrazia emozionale dai ricercatori o con il piacere di infliggere il massimo dolore dagli aguzzini feroci. Agghiacciante come la fine del ragazzo di Seel, scelto a caso dal gruppo di prigionieri radunati nel piazzale del campo, e fatto sbranare da cani affamati dopo avergli messo in testa un secchio. Fantasma che non abbandonerà mai più il sopravvissuto narratore, che fino alla fine dei suoi giorni sentirà il bisogno di credere che l’ultimo pensiero del suo amato Jo fosse rivolto a lui. In mezzo a tanto dolore vive ripresa a colori la voglia di tornare ad una condizione di serenità, anche se neanche il travestimento in Edith Piaf che canta La vie en rose la può realizzare, neanche il rewind di una lilì marlene non più giovane che torna al centro del palco la può evocare. Il rosa nudo ha finora collezionato riconoscimenti in tutto il mondo (premio della giuria al Social Justice Film Festival di Seattle, premio Film per la Pace all’Indie Film Festival di Göteborg, miglior film straniero all’Underground Film Festival di Melbourne ed altri ancora) ed è oggetto di rassegne e presentazioni.
La serata è continuata con la visione del mediometraggio vincitore nella categoria fiction, Le malliot de bain, di Mathilde Bayle. Il decenne Rémi è in campeggio al mare con la famiglia e fa amicizia con la piccola Léa, il cui giovane padre affascina il ragazzino. Prima che la vacanza finisca, Rémi, che non riesce a farsi notare più di tanto dal giovane uomo, decide di “punirlo” con un audace piccolo furto. L’opera della Bayle ha il merito di testimoniare dei precoci turbamenti che agitano il cuore dei bambini, indipendentemente dall’oggetto del loro “amore”, e a cui spesso si reagisce mettendosi in mostra o fuggendo. Il corto di finzione premiato è Intrinsic Moral Evil – così l’omosessualità è stata definita dal papa teologo – produzione olandese a firma di Harm Weistra. Pregevole per le riprese delle fluide coreografie (ché di una danza con tre ballerini si tratta), allude all’abbandono di un’amicizia per il sopraggiungere di un terzo “incomodo” che presenta caratteri di genere poco definiti: sarà per questo che affascina colui che prima aveva abbandonato l’altro? Per i corti d’animazione, la storia in stop motion con pezzetti di cartone e carta d’imballaggio di Scroscio d’amore – dell’italiana Maria Balzarelli che cura quasi tutto, dalla produzione alla fotografia al montaggio – si aggiudica il premio meritatamente, con protagonisti due cuori al femminile e una nuvola di emozioni che li segue dappertutto prima di bagnare il loro incontro. Fuori programma è stato presentato il corto del regista irpino Francesco Scotto, Impercettibili differenze, gioco tra schermaglie di gelosia quotidiana di una doppia coppia con riconciliazione e sorpresina finale. Segno dei tempi (e meno male!) se una storia semplice semplice oggi veicola l’affermazione dell’uguaglianza di tutti i rapporti d’amore, omo o etero che siano, mentre nella commediaccia degli anni Settanta sarebbe bastata per una barzelletta da film a episodi. Notevoli le musiche di Vincenzo Tammaro.

 

 

 

Candelora 2015 – Uomini, martiri, supereroi

Il rosa nudo
regia, sceneggiatura e fotografia Giovanni Coda
con Giovanni Dettori, Massimiliano Medda, Sergio Anrò, Gianni Loi, Francesco Ottonello, Lorena Piccapietra, Assunta Pittaluga
produzione ReindeerCatSolutions, Labor Cinema, V-Art Festival
paese Italia
lingua italiano
colore bianco e nero e a colori
anno 2013
durata 70 min.

Le maillot de bain
regia e sceneggiatura Mathilde Bayle
con Roger Manning, Stanley Weber, Inès Giardino, Carole Franck
fotografia Nicolas Mesdom
produzione Les Films du Cygne
paese Francia
lingua francese (sottotitoli in inglese)
colore a colori
anno 2013
durata 20 min.

Intrinsic Moral Evil
regia e produzione Harm Weistra
con Joan Ferré Gomez, Jorge Guillen Ortiz, Frago Peña Gonzalez
voce Hank Botwinik
coreografia Fernando Domínguez Rincón
fotografia Jorrit Garretsen
paese Olanda
lingua inglese
colore a colori
anno 2013
durata 11 min.

Scroscio d’amore
regia, sceneggiatura, fotografia, montaggio, produzione
Maria Balzarelli
paese Italia
colore a colori
anno 2014
durata 5 min. e 32 sec.

Impercettibili differenze
regia e sceneggiatura Francesco Scotto
con Felice D’Anna, Gabriella Fiorillo, Fedele Canonico, Mariella Del Basso
fotografia Beniamino Battista
produzione Linguaggi Trasversali
paese Italia
lingua italiano
colore a colori
anno 2015
durata 9 min.

Avellino, Casina del Principe, 1° febbraio 2015

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