“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Sunday, 25 January 2015 00:00

Performance = vita

Written by 

Il Teatro Bellini ha inaugurato una stagione ricca di danza per questo 2015 ospitando spettacoli di artisti nazionali ed internazionali per la gioia degli spettatori curiosi ed attenti alle novità ed alla sperimentazione. Antony Rizzi, ideatore di An attempt to fail at ground breaking theatre with Pina Arcade Smith, spettacolo performativo di stile americano underground, ha origini italiane ma vive in Germania e lavora in tutto il mondo, vantando un curriculum tersicoreo super-professionale (ha lavorato per quasi vent’anni come assistente e danzatore di William Forsythe, danza attualmente nelle produzioni di Jan Fabre ed è stato performer di Bob Wilson), ed è approdato in questi giorni proprio a Napoli con un lavoro sui generis.

Come rispondere alla domanda riguardo cosa sia un atto performativo se non generandolo al momento sul palco grazie alla presenza di un pubblico?
Foto, pareti tappezzate di post it, scale e scalette di varie altezze animano il palcoscenico come ingranaggi della mente di un artista, un artista che cerca Dio nei luoghi dell’alto per poi riabbassarsi a dare uno sguardo a quello che accade nella realtà. Ecco allora i temi: omosessualità, corruzione religiosa, menzogna e… tragedia.
Lo spettacolo di Rizzi, interpretato insieme alla performer-danzatrice Valentina Valenti, interamente parlato, razionalizzato a livello maniacale, vuole essere un’analisi delle concezioni di due madri della performance, Pina Bausch e Penny Arcade ed una lettura critica ed ironica del teatro contemporaneo, orientato esclusivamente al successo e poco motivato ed efficace nei contenuti.
Antony parla, e parla, getta i suoi pensieri vestito in stile talent show, tacchi a spillo e vestitino a strati, ha una torcia in testa per leggere il copione ed interpreta (ma non solo) il ruolo di Jack Smith, l’inventore della Performance Art. Inglese, italiano, la scelta della lingua non è un problema per comunicare, basta che ci sia il pubblico con cui interagire. Solo così, infatti, può realizzarsi la performance. L’intento di Rizzi è quello di dare dimostrazione di cosa si può creare nella realizzazione dell’atto performativo e lo fa esprimendo le sue idee con tutti gli strumenti che gli interessano: corpo, parole (parlate e cantate), musica, scenografia ricca di cose che sembrano non aver senso ma che sono le materializzazioni dei suoi pensieri. Racconta di sé, della sua omosessualità, di suore e preti e di quanto, in Italia, risultino essere immagini non proprio genuine, analizza in maniera distaccata quello che vede ad occhio nudo nel mondo. Si interroga, interroga il pubblico, al suo fianco c’è la danzatrice che lo segue da spalla, danza leggiadra e morbida, interpreta anch’essa vari personaggi, spesso traduce le parole in lingua inglese.
Il rapporto elogiativo e critico che Rizzi crea è con Pina e Penny, due personalità ed icone della danza contemporanea, del teatro-danza e della performance molto differenti che egli interpreta fisicamente, donando una metà del suo corpo a ciascuna.
Da un lato, una donna fine, in veste lunga bianca (stile Cafè Müller bauschiano), con capelli lunghi e scarpetta da punta, Pina; dall’altro, una donna più appariscente, sbrilluccicante con un caschetto biondo ed un tacco a spillo, Penny.
Mentre il protagonista danza con una scarpa da punta ed un tacco a spillo, interpreta un dialogo tra le due, sulle loro esperienze. Le due donne a metà si raccontano, si scambiano, provano ad integrare i loro linguaggi. Lui le interpreta e le supera, come passando in rassegna, per la conoscenza del pubblico, i loro linguaggi e poi, dal corpo, se ne libera.
L’ironia è dilagante ma mai stancante, il dialogo con il pubblico – e soprattutto la risposta del pubblico – è costantemente stimolata dai due performer. L’ironia che sembra a volte senza senso, un fiume in piena, è performance, è energia umana che racconta, è uno stop alla tragedia ed al “tragedismo”, è un dire sì alla pura espressione ragionata del corpo che si esprime attraverso i codici contemporanei ed attraverso le sue memorie, quelle storiche e quelle personali.
Sullo sfondo del palco: proiezioni di video apparentemente scollegate da quello che si svolge sulla scena e, invece, immagini di vita, piante che crescono, persone che si baciano, che camminano, vita che scorre nel frattempo.
Non c’è possibilità di stancarsi: intervalli sono previsti per scuotere un po’ mente e corpo, i cambi di scena e di costumi sono vari e movimentati, le musiche che si alternano sono molto interessanti. Ma cosa è importante ribadire? Amate, crescete, ascoltate, accettate, danzate, raccontate… Frasi sul video invitano alla riflessione, permettono un momento di introspezione psicologica nello spettatore, laddove fino a poco prima è stato tutto chiaro, esterno, visibile ad occhio nudo, “fuori”.
Antony Rizzi vuole provare a dare possibilità alla performance di essere un momento di pura espressione, riflessione, dibattito, “essere il contemporaneo” ed esserlo in chiave ironica è davvero una grande ricchezza da apportare alla vita, è un’altra prospettiva da cui guardare il mondo, è una specie di possibilità catartica.
Inoltre, la critica sottile all’ego ed alla diversità intesa sul piano umano e sociale è molto chiara nelle scelte del performer ed il tessuto “visionario“ che sottende l’impianto dello spettacolo rivela complessità e semplicità allo stesso tempo.
Il pubblico ha apprezzato molto, applaudendo sul finale, mentre Rizzi era già intento ad andarsene con la valigia piena, dicendo che la fine di una performance non esiste, come non esiste un inizio ma è la vita stessa arte performativa, continua trasformazione, ragionamento e creazione, generando energia in ogni istante.

 

 

 

 

 

An attempt to fail at ground breaking theatre with Pina Arcade Smith
di
Antony Rizzi e The bad habitus
testi Penny Arcade, Antony Rizzi, Virginia Wolff
regia e coreografia Antony Rizzi
performer e improvvisatori Antony Rizzi, Valentina Valenti
produzione Hessiche Ministerium fur Kultur, Wiesbaden e Künstlerhaus, Mousonturm Frankfurt
lingua inglese, italiano
durata 1h 20’
Napoli, Piccolo Bellini, 22 gennaio 2015
in scena 22 gennaio 2015 (data unica)

Leave a comment

il Pickwick

Sostieni


Facebook