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Monday, 26 January 2015 00:00

Quotidiana 'infamità'

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Il fondale del Teatro Comunale di Gubbio è grandissimo, i pannelli presenti non bastano a nasconderlo, e sicuramente non ne avevano intenzione; la scena si mostra in tutta la sua verità, non c'è inutile orpello ad arricchirla, solo ciò che serve a mostrare il come è.
Un uomo guadagna la scena, al guinzaglio un grosso cane marrone, è un uomo normale con abiti normali, quotidiani; il cane, normalmente il suo cane, quotidiano. Alla sua postazione l'uomo, l'attore, il regista, c.l. Grugher (le minuscole sono sue), si fa sovrappositore di musiche, suoni ed immagini, quotidiani; il suo cane, Ettore, gli si accuccia accanto, quotidiano.

Sui pannelli di fondo l'A3, la Salerno-Reggio Calabria, i suoi lavori in corso, quotidiani, le sue ferite, i suoi furti, i suoi appalti, i suoi clan, le sue 'ndrine, la sua quotidiana infamia. Dalla quinta di destra un altro uomo calca le tavole, un altro uomo normale, ad alta voce declama la sua quotidianità. Due uomini ed un cane, quotidiani. Uno, sportivo con cappello a visiera, l'altro, con abito a giacca e capelli ordinati, opposti tra loro ma in qualche modo vicini, con mezzi diversi lavorano allo stesso obiettivo, con schemi e stili diversi disegnano la trama di uno stesso sogno di vita: "Essere come qualche goccia di blu di metilene in un acquario".
L'uomo con il cappello è un commissario di polizia, Stefano, l'altro si chiama Alfonso Russi, geologo. Alfonso Russi è un cosiddetto “articolo 359” del Codice di Procedura Penale, ovvero, un consulente tecnico della Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro. Alfonso Russi è l'autore di Infami – 20 storie di ordinaria antimafia, Falco Editore. L'uomo, che sulla scena se ne fa interprete, è Michelangelo Bellani. In un tempo segmentato da giorni e chilometri autostradali, Alfonso/Michelangelo ci racconta della sua quotidiana “infamità” (è così che in dialetto si chiama l'infamia), la sua esperienza di lotta alla mafia, tra denunce di appalti truccati e agguati scampati. Il tempo scenico, come quello della vita, è stagliato dagli eventi e dalle sensazioni/riflessioni che ne conseguono, e allora i giorni si susseguono tra sconfitta, orgoglio, fierezza, comprensione, partecipazione, condivisione, con il ripetersi/reiterarsi dello sconforto.
"Tu della 'ndrangheta non sai niente, tu della 'ndrangheta conosci solo il retrogusto; ma lo sai tu l'odore del cervello spappolato?" ripete Stefano ad Alfonso, a ricordargli la sua estraneità al quotidiano vivere in trincea, l'appartenere all'ufficio e non alla strada. Dopo cinque anni di lavoro insieme, Alfonso sarà in grado di descrivere l'odore del cervello spappolato come "quello del minestrone un po' rancido"; dopo cinque anni di trincea, Alfonso, avrà avuto modo di esperire la collusione tra politici e 'ndranghetisti, la paura e l'omertà, la fierezza di essere tacciato di “infamità”, la sua quotidiana infamità; ma anche la rabbia e la ribellione della gente comune, e ancora più di prima, continuerà a desiderare di "essere come qualche goccia di blu di metilene in un acquario".
Incontriamo l'autore alla fine dello spettacolo, a lui la nostra dispettosa curiosità pone dei quesiti, per tutto il tempo il sorriso solcherà le sue guance; gli chiediamo se ciò a cui abbiamo assistito ha aggiunto o tolto qualcosa al suo racconto, ci risponde che abbiamo assistito a qualcosa di diverso, e comunicativamente, più incisivo; in grado di restituire, meglio delle sue stesse parole, la sua esperienza e le emozioni/riflessioni connesse. Gli chiediamo della paura provata, non la nasconde; gli chiediamo se non sia stata una scelta un po' egoistica l'aver accettato un incarico del genere, con il conseguente rischio a cui avrebbe costretto sua moglie e i suoi figli, se non sia stato frutto di superomismo l'essere partito alla volta della Calabria, dalla tranquilla Foligno, sua terra d'adozione (Alfonso Russi invece è nato a San Severo, provincia di Foggia), ci dice, i suoi occhi ce lo confessano ed è per questo che scegliamo di crederci, che non ci si può sottrarre a certe “chiamate”, non sarebbe da uomo, che la sua etica ha risposto per lui e che tutti sarebbero stati sottoposti a misure di protezione. Alfonso Russi è una brava persona!
c.l. Grugher e Michelangelo Bellani sono tra i fondatori dell'associazione di cultura La società dello spettacolo, li conosciamo artisticamente, da qualche anno, ormai, da quando nel 2011, al Teatro Mengoni di Magione, provincia di Perugia, assistemmo attoniti a Il delitto perfetto, loro opera seconda; lì, in scena, le tesi del filosofo francese Jean Baudrillard si intrecciavano ad altre storie di altri famosi delitti, c'era il Macbeth di William Shakespeare, c'era il Finale di partita di Samuel Beckett, La morte della Pizia di Friedrich Dürrenmatt, 2001 Odissea nello spazio di Kubrik: in un orgasmo di senso, appercepimmo il teatro, comprendemmo che quando il teatro adopera le parole della filosofia, raggiunge la perfezione comunicativa e che, forse, addirittura, la filosofia ha, nel teatro, il suo veicolo privilegiato. Amammo quella messinscena e chi l'aveva prodotta. Da allora, abbiamo provato a seguirli in altri loro lavori: non hanno mai deluso.
La regia, la drammaturgia, l'interpretazione, tutto è sempre estremamente curato, tutto ci sembra geniale. Da La società dello spettacolo ispirato all'opera omonima di Guy Debord, da cui il nome dell'associazione, al lavoro Soccantare con i disabili della Comunità di Capodarco dell'Umbria; da Carne, ispirato a Il visibile e l’invisibile di Maurice Merleau-Ponty, agli Atelier Spaziozero, questi ragazzi, che col tempo stanno perdendo il loro status di ragazzi, hanno mostrato sempre un professionismo ed un talento che poco compare nei cartelloni dei teatri italiani, eppure, non sono impegnati in tournée dalle cento tappe in giro per l'Italia e non ne comprendiamo affatto la ragione. Alla fine dello pièce andiamo anche da loro, si ritraggono come chi vive l'arte come esigenza e non crede, quindi, di dover dare conto della propria natura, e noi invece ne vogliamo, la otteniamo. Chiediamo innanzitutto come è avvenuto l'incontro con l'autore e la decisione di farne uno spettacolo, ci raccontano di un'amicizia di vecchia data e di una volontà condivisa. Chiediamo della collaborazione con la Comunità Progetto Sud diretta da don Giacomo Panizza, e Grugher ci spiega che lo spettacolo aveva senso solo se realizzato in Calabria, ci racconta di questo viaggio pieno di entusiasmo, ci dice di un incontro paradossale dove loro, da una parte, fremevano all'idea di mettersi al lavoro proprio lì, e gli altri, dall'altra, provavano a dissuaderli: la prima dello spettacolo s'è tenuta nello spazio di Pensieri & Parole, struttura confiscata alla 'ndrangheta e presa in gestione dalla Comunità; una prima blindata, preceduta e seguita da episodi di forte intimidazione ai loro danni. Chiediamo a Bellani, è lui il drammaturgo, se in quest'opera la 'ndrangheta abbia sostituito quello che lo spettacolo rappresentava nelle loro opere precedenti, ci indica come le mafie si servano della spettacolarizzazione per farsi riconoscere, come inscenino il loro potere, come ne abbiano bisogno per identificare la loro presenza.
Ci viene in mente come la politica teatrale italiana, di taluni teatri, sia molto simile a quella della mafia e della massoneria; come si continui a favorire se stessi, i propri amici e parenti a discapito dell'Arte; come non si conceda spazio al merito, al professionismo e al talento per paura che possa comportare una limitazione della propria attività, consapevoli della pochezza che ci si ostina a portare in scena, a favore di un obnubilamento delle coscienze. Tutto ciò ci disgusta e ci fa rabbia; e se il compito di chi scrive di teatro è esprimere un giudizio su ciò a cui s'è assistito una sera e a cui, s'è continuamente cotretti ad assistere, quello nostro qui, vuole denuncire l'assenza di spazio in cui, riteniamo, sia costretta La società dello spettacolo, questi ragazzi firmano un capolavoro dopo un altro e ancora nessuno se n'è accorto, sarà l'ora di anteporre il pubblico interesse al proprio piccolo ed infimo interesse privato? Perché privare un sempre più numeroso pubblico del piacere che deriva dall'assistere alle loro messinscena? Perché scegliere di limitare la riflessione stimolata dalle loro opere? Forse perché questi ragazzi vanno denunciando l'omicidio del giudizio, perpetrato, tra le altre, dall'uso improprio che dell'immagine si fa? Perché danno, a chiunque assiste, la possibilità di comprendere l'analisi di una società che ha smesso di essere tale, vinta dalla potenza dello spettacolo? Perché hanno fatto voto di coerenza e di lealtà verso il proprio principio morale? Ed infatti, da loro, una prova di umiltà dopo l'altra, perché quando gli chiediamo se ritengono di occupare il giusto spazio sulla scena teatrale italiana, ci rispondono con serenità: "È lo spazio che ci siamo creati!". Come se non fosse sufficiente l'Arte a determinare l'arte...
A loro confessiamo l'entusiasmo che deriva, ogni volta, dalla fruizione delle loro opere, ci promettono un nuovo lavoro “anche meglio”, restiamo in trepidante attesa; li salutiamo con nella testa un pezzo dei C.S.I., proprio come fanno loro quando congedano il pubblico, noi scegliamo A tratti: "Un battito di ciglia sonnolente racchiude un'esistenza. Spazio determinato, costretto dilatabile, spazio determinato, costretto dilatabile... ricordando che tutto va, ma non va".

 

 

 

Infami
da Infami – 20 storie di ordinaria antimafia
di Alfonso Russi
adattamento drammaturgico Michelangelo Bellani
regia c.l. Grugher
con c.l. Grugher, Michelangelo Bellani, Ettore
supervisione tecnica Marco Rufinelli
organizzazione Mariella Nanni, Emma Leone
produzione La società dello spettacolo
in collaborazione con R-evolution Legalità, Comunità Progetto Sud, Scenari Visibili
lingua
italiano, dialetto calabrese
durata 1h
Gubbio (PG), Teatro Romano, 22 gennaio 2015
in scena 22 gennaio 2015 (data unica)

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