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Saturday, 17 January 2015 00:00

Cri, Pe e il teatro della delicatezza

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Vita che è sostanza di vita senza averne la forma; vita liofilizzata in uno spazio compresso e ristretto, come fosse sottovuoto, da maneggiare con cura e da sorbire a intervalli regolari; vita in pillole, necessarie per vivere una vita sublimata a due passi dalla vita. Due passi: quelli che separano lo spazio chiuso e liofilizzato delle vite di Pe e Cri dallo spazio aperto al respiro del mondo esterno, che è vita altra, che è vita piena.

Sulla scena, che è un tappeto quadrettato, con due sedie, una lampada bassa ed un fiore finto in un angolo, Pe e Cri – l’allocuzione tronca, propria di chi è in confidenza, è il segnale dichiarato di un’intimità – consumano un non-sense quotidiano, fatto di piccole cose, di piccoli rimbrotti, di piccoli paradossi, come guardare occhiali che son fatti per guardare. Dialogare serrato, gesti all’unisono, Pe e Cri sembrano due marionette dell’assurdo. Sembrano. Perché in realtà, con la delicatezza che è tipica della poesia che allude ed evoca e non sviscera e spiega, saranno essi stessi ad impadronirsi dei fili che gestiscono le sorti del loro destino; marionette nelle proprie mani, saranno essi stessi a determinare l’evoluire delle proprie vite, legate a filo doppio l’una all’altra ed il cui senso sta nel compiere e colmare una distanza, quella tra vita sublimata e vita vissuta, tra desiderio sperato e sogno realizzato, tra l’abbraccio mancato del presente ed il sempre dell’amore, che è eterno perché travalica la morte, perché lascia dietro di sé traccia viva.
Scena consapevole di sé, che ammicca più volte alla teatralità della propria rappresentazione – rivolgendosi al pubblico, rimarcando che “c’è un sacco di gente” – Due passi sono si incanala lungo la scia novecentesca del teatro dell’assurdo – beckettiano in particolare per rimandi e citazioni evidenti – per darne declinazione personale, intrisa di ironia e delicatezza. Ed è una storia tenera, che trasmette l’istinto di prender per mano i due protagonisti per aiutarli a varcare la soglia della scena, per fargli compiere quei due passi necessari e che necessariamente compiranno da soli, trasformando la quiescente e pigra stanzialità di un cuscino confinato all’interno dello spazio angusto del “potrei” nel velo da sposa che dal cuscino stesso sortisce nel “voglio”, che nel vapore di una nube di talco concreta l’autodeterminazione.
In tralice s’intravede un desiderio di felicità capace di farsi concreto, quasi da non crederci (“Oggi sono così piena di vita che me la toglierei”), eppure tangibile, palpabile, possibile, una felicità intravista, statica come il mare da lontano; già, “lontano”, distante uno spazio che può apparire incommensurabile, ma che riempito di un amore particolare, si copre facilmente, in due passi.
Due passi che, delicatamente, il teatro muove incontro alla vita.

 

 

 

 

 

 

 

Due passi sono
regia, testi e interpretazione Giuseppe Carullo, Cristiana Minasi
scene e costumi Cinzia Muscolino
disegno luci Roberto Bonaventura
aiuto regia Roberto Bitto
produzione Carullo-Minasi e Il Castello di Sancio Panza
lingua italiano
durata 50’
Salerno, Teatro Antonio Ghirelli, 15 gennaio 2015
in scena dal 15 al 18 gennaio 2015

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