“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Tuesday, 13 January 2015 00:00

A teatro per 'una pura formalità'

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Nell'atmosfera intima e ovattata de Il Pozzo e il Pendolo va in scena Una pura formalità di Pascal Quignard, un testo nato per il cinema ma strutturalmente pronto ad offrirsi al teatro con la naturalezza di un abito sartoriale. La vera natura di quest'opera risiede nell'ambiguità, che puntualmente smentisce e capovolge tutte le prime impressioni; l'apparenza è sempre inganno.

La struttura narrativa è quella di un giallo poliziesco d'altri tempi, roba da Delitto e Castigo, dove i dialoghi guidano e depistano allo stesso tempo, fino al depistaggio più clamoroso, quello del 'genere'. I personaggi riflettono l'ambiguità dell'opera calandosi in stereotipi che poi tradiscono con continui cambi di personalità, e questo viene svelato praticamente da subito, quando chi si aspetta di ottenere una sigaretta dal commissario di polizia, che per definizione è uno che in qualche modo deve aver dimestichezza col fumo – dato che non c'è film o libro in cui la sua presenza non sia accompagnata da sigaretta, sigaro o pipa – si sentirà, invece, rispondere "mai fumato in vita mia".
Violenti tuoni annunciano una tempesta in corso, poi nell'oscurità un colpo di pistola li sovrasta. Dall'esterno sopraggiungono due uomini. Il palcoscenico manifesta una freddezza burocratica sorpassata, nessuna asepsi da mobili dell'IKEA, ma sull'assito dominano due massicce scrivanie sulle quali sono alloggiati oggetti che parlano del luogo e del tempo in cui ci troviamo. Si tratta di un commissariato di polizia, e uno dei due uomini è un giovane poliziotto, il cui atteggiamento dimesso e intimidito influenza anche l'aspetto, sembra infatti minuto e impacciato. L'altro uomo ha il chiaro atteggiamento del fuggiasco braccato che ha appena commesso qualcosa di grosso. Dai suoi modi e dal suo abbigliamento ci prepariamo ad un eloquio altrettanto scabro. Non è così, l'uomo che è stato condotto in commissariato per 'una pura formalità' asserisce di essere Onoff, uno dei più grandi scrittori esistenti, ed è visibilmente contrariato per quell'arresto. L'attesa del commissario viene occupata da un crescendo di tensione che ha come epilogo una tazza di latte caldo buttata sulla faccia del gendarme e un primo cambio di personalità da parte di quest'ultimo, lo scrittore viene sbattuto a terra e immobilizzato in poche mosse non troppo timide. Dall'esterno giunge il commissario visibilmente infastidito per aver dovuto raggiungere il commissariato, abbandonando il luogo in cui si trovava, al fine di sbrigare quella 'pura formalità'. Con una certa sprezzatura cerca di appurare l'identità del fermato, ma alla dichiarazione di quest'ultimo di essere Onoff, il suo scrittore preferito, il commissario alterna il dileggio all'ira, entrambi corroborati dal fatto che il sedicente Onoff in realtà non riconosce dei brani citati da uno dei suoi libri più famosi. Finalmente lo scrittore reagisce, e con un grande sforzo di memoria sembra lentamente tornare in possesso di un'identità che aveva allontanato. Il commissario a questo punto si trasforma in un fan al cospetto del suo mito, e l'equilibrio fuggiasco/autorità sembra mutare. Ma la formalità deve andare avanti, e ben presto appare in tutta la sua inquietante realtà: un vero e proprio interrogatorio. Quella sera è stato commesso un delitto, e Onoff è il principale indiziato. Di nuovo la memoria che viene meno e che tenta di aggrapparsi ad una realtà che si è lasciata sfuggire, non riesce a ricordare, i secondi vengono scanditi dai tasti della macchina da scrivere del giovane poliziotto e i minuti diventano ore grazie all'efficace stratagemma di una luce blu che si accende e spegne, catturando così solo l'attimo di una scena di cui udiamo le prime o le ultime parole per poi passare ad un altro brandello di una scena successiva accaduta diverso tempo dopo. Lo stato di isolamento, solo in parte causato dall'interruzione delle linee telefoniche, si stringe attorno all'indiziato come un cappio dal quale cerca di liberarsi tentando una grottesca fuga verso un luogo di luce all'esterno della sala, al quale non è ancora pronto ad accedere. L'interrogatorio deve continuare affinché la memoria possa essere recuperata nella sua integrità. Una salma adagiata ai piani superiori conferma l'esistenza di un delitto, ma la vittima è senza volto e attende che gli venga dato un nome. Il piano aumenta di inclinazione, è sempre più scivoloso e instabile, e gli indizi sfuggono ad una logica prendendo le distanze dal delitto per asserragliasi intorno all'uomo costretto a ripercorrere la sua vita a ritroso fino al momento della sua nascita. I libri, le menzogne, la biografia inventata, gli amori dimenticati e gli amici perduti. Fotografie ritrovate e sparpagliate sull'assito come tessere di un enigma che la cui soluzione ha finalità che appaiono sempre più lontane dal castigo.
Il lento e doloroso cammino purificatore si chiude con un epilogo che stravolge tutti i presupposti iniziali. La formalità è finita e tutti i ruoli appaiono finalmente chiari, manca solo un nome da assegnare, e non è quello della vittima.
Accanto ai grandi meriti del testo, che si presenta come un thriller perfetto, in questa versione teatrale vanno segnalati anche quelli degli attori, che sono stati all'altezza di ciò che hanno portato in scena, dando il giusto spessore a personaggi dalla personalità complessa e ambigua, dalle cui sfumature caratteriali dipendeva la buona riuscita dello spettacolo.

 

 

 

Una pura formalità
di Pascal Quignard
regia Annamaria Russo
con Nico Ciliberti, Antimo Casertano, Marco Palumbo
aiuto regia Michela Ascione
lingua italiano
durata 1h 10'
Napoli, Il Pozzo e il Pendolo, 10 gennaio 2015
in scena dal 10 al 25 gennaio 2015

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