“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Sunday, 11 January 2015 00:00

Concerto per soli, voci cantanti e orchestra

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Doveva essere ospitata al Ridotto, ma invece vien trasferita sul più ampio palco del Mercadante, questa ballata in versi e prosa Il mio cuore è nel Sud, scritto da Giuseppe Patroni Griffi nel 1949 con musiche di Bruno Maderna, per la regia di Mariano Rigillo e la produzione del Teatro Stabile di Napoli e del Teatro San Carlo.

All'inizio sulla scena, a sipario aperto, son solo gli strumenti dell'orchestra; il primo ch'entra è Mariano Rigillo: solo, illuminato da un riflettore, recita a mo' d'Ouverture – e così ci vien riportato da una proiezione sul fondo – un significativo brano tratto da Prima del silenzio: protagonista è la parola, segno di contraddizione tra, da un lato, l'eterna creazione: di un possibile sperato o rifuggito futuro, di un vivificato e libero passato scevro dalla pesantezza della tradizione (non è forse essa, la tradizione, null'altro che il vuoto guscio d'un frutto che, allora, fu fresco e tumido e succoso ma che or più non c'è, se non nel vivo ricordo dei vivi?), di un immediato presente in cui tutto si attualizza e vive nella carne e nel sangue; dall'altro, invece, diventa, la parola, puro rivestimento della realtà, convenzione secca e sillabatico riconoscimento d'una verità che, nel momento stesso in cui si attualizza, per ciò stesso muore nell'attimo fuggente dell'agnizione. E alle sole parole, o meglio al solo suono delle parole di Patroni Griffi insieme ai prodigiosi fonemi – come non chiamarli così – della musica di Bruno Maderna, si affida Rigillo per questa rappresentazione, che saremmo tentati di chiamar sacra se non temessimo d'apparir blasfemi, d'una sacralità tutta laica che foscolianamente si nutre delle poetiche illusioni d'un amico che, per una sera, foss'anche per un momento solo, riporta in vita il poeta cui rendere omaggio per mezzo d'un quid che, per più d'un tratto, assume i connotati d'una vera e propria azione liturgica.
Dopo Rigillo entrano allora i musici dell'Orchestra del San Carlo – ch'appare presente solo in alcuni ranghi: gli ottoni, le percussioni, poco rappresentati i legni e gli archi – le due voci cantanti (Elsa Ascione e Antonella Cozzolino), che prendon posto in fondo, dietro l'orchestra, le altre quattro voci recitanti (Anna Teresa Rossini, Ruben Rigillo, Silvia Siravo, Antonio Izzo), che si accomodano sulle quattro sedie di velluto rosso lasciate per loro in prima linea; per ultimo entra il direttore d'orchestra, Maurizio Agostini. Lo spettacolo assume, perciò, apparenza e sostanza di concerto: son suoni, quelli che ascolteremo, come detto: Rigillo lascia cioè intatta la natura primigenia della pièce, che è quella del radiodramma: genere quasi obsoleto ormai, nell'era del privilegio delle sembianze e dell'occhio, ma che ha il merito d'accentuar la fantasia lasciando immaginare a noi la scena e l'azione, avendo come unico aiuto i suoni: parole e musica, appunto.
Ed ecco avanti a noi la città, l'innominata città del sud, quasi fosse maledetto anche il suo nome, città che non profuma ma odora di frittura che guasta l'aria, di rifiuti, più volte ricorrenti nel testo, ch'appestano e intorbidano ogni cosa: cumuli, altari di rifiuti, innalzati ad un nero e sconosciuto dio della carnalità e della morte, segnano i riferimenti e strutturano i nessi di vicoli stretti e bui che dall'alto scendono in basso al mare, di finestre e balconi, di voci di popolo, di ragazzini nudi e nericci. La musica di Maderna canta il mare, il sole, la notte, la gelosia, la violenza, accompagnando e sottolineando il viver degl'uomini, e di certo con l'accentuato espressionismo dell'avanguardia che fu, ma incarnato nella serena e levigata gioia e gusto d'essere e scoprirsi suono e armonia che sarà caratteristica della sua breve, successiva maturità.
La vicenda che si narra riguarda Dolores, una giovane madre che siam portati a pensar malmaritata con un netturbino, sacerdote di quel nero dio che lì si venera, dalle grandi mani ognora ammorbate dai rifiuti ch'è costretto a raccogliere per le vie dell'affocata città, mani che nessuna acqua o sapone riuscirà a lavare e pulire dal lerciume – come il sangue da quelle di Lady Macbeth – mani di cui Dolores rifiuta ormai il contatto: un richiamo ha ascoltato, Dolores, provenire notturno dalla finestra del vicino carcere, e né il ragionar della sorella Assunta, né l'amor del suo bambino riusciranno a farla desistere da questa malatia che le ammorba la mente e l'anima. Alla fine il coltello del marito, che ucciderà in parlatorio il detenuto Cinquantotto, taglierà anche il residuo cordone che la tiene ancorata alla realtà per farla definitivamente sprofondare nella follia. Sono, come si vede, personaggi che, pur partendo da un contesto e da una concezione veristica, subito ne escono per assurgere a figure mitiche, archetipi che trascendono la realtà, pur comprendendola: e se la città non ha nome è perché essa è simbolo d'un accorato eppur pauroso mediterraneo dell'anima, Dolores il dolore dell'esser donna, Assunta la sapienza e la pietà ch'avvicina a Dio, Cinquantotto è nome solo d'un numero, sconosciuto e senza volto, l'assassino netturbino non si chiama in alcun modo, perché con la città ha in comune la damnatio memoriae che impedisce alla bocca di formularne il nome: stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus.
Molti applausi convinti salutano gli interpreti di questo Concerto per soli, voci cantanti e orchestra, mentre sulla proiezione in fondo al palco si vede una foto dell'Autore: e il rivolgersi di Rigillo all'immagine dedicando l'applauso a quella memoria non fa che confermare il carattere liturgico e sacro della rappresentazione. Ma l'attore ha ancora due brani da farci ascoltare: il primo, Benares, tratto da Cammurriata. Canti di malavita è il canto d'un tossico che scambia Napoli per Benares; il secondo viene ancora tratto da Prima del silenzio: è dedicato alla memoria – ancora – di due amici di Patroni Griffi scomparsi prima di lui: Nora Ricci e Luchino Visconti; e come non ricordare che oggi, proprio oggi, è morto anche Francesco Rosi, che con Patroni Griffi fece parte del Gruppo di Chiaia? Un'altra Napoli, un altro mondo: a noi che rimane – se non la memoria che si fa pianto – non più potendo salire sulle spalle di questi giganti e di lì rivolger lo sguardo all'universo?

 

 

Storie naturali e strafottenti
Il mio cuore è nel Sud
di Giuseppe Patroni Griffi
musiche Bruno Maderna
regia Mariano Rigillo
con Mariano Rigillo, Anna Teresa Rossini, Ruben Rigillo, Silvia Siravo, Antonio Izzo
e con Orchestra del Teatro San Carlo
diretta da Maurizio Agostini
voci soliste Elsa Ascione, Antonella Cozzolino 
scene Luigi Ferrigno
costumi Zaira de Vincentiis 
disegno luci
Gigi Saccomandi
lingua italiano
durata 1h
produzione Teatro Stabile di Napoli, Teatro di San Carlo
Napoli, Teatro Mercadante, 9 gennaio 2015
in scena dal 9 all'11 gennaio 2015

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