“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Friday, 21 November 2014 00:00

Verso la scena il teatro indirizza il suo Wallace

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Verso Occidente l’Impero dirige il suo corso è un titolo importante e pregno di significati premonitori, e predispone alcuni spettatori a titaniche attese che hanno qualcosa a che fare col ricevere una certa wallaciana 'fitta al petto'. Trattatasi, infatti, del medesimo titolo di uno dei libri più cult di una generazione scritto da David Foster Wallace. In quel piccolo capolavoro l'autore compie un audace esperimento e allo stesso tempo un parricidio, in pratica riprende uno dei più celebri racconti metafiction del suo 'maestro' John Barth, Perso nella casa stregata (racconto definito dallo stesso Wallace come la chiamata alle armi della metafiction postmoderna), per farne una sottile parodia non priva di omaggi rivolti al maestro.

Pertanto, questo spettacolo si presta ad una duplice visione. Quella 'filologica' a cui accederà quella minoranza di spettatori che non ha saltato alcun passaggio di questo percorso e partendo dalla “casa stregata” di Barth, ha fatto rotta “Verso Occidente” per poi finire in platea con la voracità di un predatore a digiuno da qualche settimana; e quella dall'andatura sciolta di chi è all'oscuro degli antecedenti ma che, comunque, si dirige “Verso Occidente” e potrebbe, a spettacolo terminato, intraprendere il percorso inverso: dopo la visione si può recuperare il libro e magari anche l'antecedente.
I protagonisti di questa storia sono sei strani personaggi che si ritrovano a condividere un viaggio verso un luogo nel quale potrebbero non arrivare mai. In programma c'è la grande 'Riunione di tutti coloro che siano mai comparsi in uno spot di McDonald' che si terrà “Verso Occidente”, nella cittadina di Collision, in Illinois.
J.D. Steelritter, la mente più creativa della storia dell'industria pubblicitaria americana, è un uomo che vive nel profondo di J.D. “officiando matrimoni fra immagini e jingle e usa quella spada che si ritrova come naso per annusare gli Alisei del Commercio”.
DeHaven, abbigliato come il pagliaccio Ronald McDonald, e clownesco figlio di J.D., dalle ambizioni atonali, assembla auto teppisteggianti che guida con un polso piegato a uncino sopra il volante e ha sempre l'aria da 'guarda quanto poco me ne frega'.
Mark Nechtr, arciere, poco prolifico aspirante scrittore, allievo del professor Ambrose, persona radicalmente semplice e coniuge della meno semplice scrittrice postmoderna, antiminimalista,  D.L. Eberhardt.
Tom Sternberg, aspirante attore multi-fobico e con qualche difetto fisico.
Magda Ambrose-Gatz, un'avvenente hostess il cui nome ed altri piccoli dettagli l'avvicinano pericolosamente alla figura del solo evocato professor Ambrose, lasciando intuire che lei, in realtà, non è quello che sembra.
La complessità del testo che è allo stesso tempo narrazione, chirurgica analisi della società contemporanea e ricerca di nuove frontiere dove spingere la metafiction postmoderna, avrebbe assolto in partenza alcune scelte selettive necessarie ad una trasposizione teatrale dello stesso. Insomma, se lo spettacolo si fosse limitato a concentrarsi sulla narrazione principale dando volto e parola ai complessi personaggi del testo, per chi scrive sarebbe stato già un gran risultato. La possibilità di preservarne tutti gli aspetti era un qualcosa in cui ragionevolmente non ci si sarebbe sognati di sperare. Luca Bargagna ha quindi compiuto un ottimo lavoro, adottando soluzioni registiche funzionali non solo ad un'approfondita comprensione del testo, ma anche a lasciar intuire ciò che, per necessità, non poteva essere detto. Ai personaggi viene dato il compito sia di portare avanti la storia, fin dove essa stessa si lascia portare, sia quello di farsi narratori di sé stessi. In terza persona introducono, presentano e anticipano il loro stesso personaggio riproducendo i medesimi trucchi 'postmoderni' che nel testo servono per stringere legami 'confidenziali' con il lettore. È così che, per esempio, Tom Sternberg introduce Tom Sternberg, e – caspita! – diventa proprio Tom Sternberg, ricoprendosi di sudore untuoso e lasciandosi andare a dinamiche di natura organica sulle quali, per quanto si sforzi, dimostra di non avere il totale controllo; e D.L. avvisa prima di assumere una delle sue adorabili pose da 'suora cattiva'.
La linea guida registica è quindi quella della fedeltà testuale, che traduce il linguaggio wallaciano in azione scenica, mutuandone in rispettosa filiazione la ritmica testuale, e traducendola sulla scena in quel flusso narrativo continuo, tipico della prosa di Wallace, fatto di linguaggio galoppante, in cui le interpunzioni sono scavalcate e spazzate via dal caracollare di una verbalità incalzante, di una verbalità a cui s’accompagna quella gestualità tipica della concitazione espressiva americana.
Ma Wallace è uno scrittore complesso e anche dietro un familiare suono infantile – il 'Vruuum Vruuum' emesso di continuo da un annoiato DeHaven alla guida del suo bolide piratesco fatto in casa – annida farragini verbali e doppi sensi che inducono all'equivoco. Come accade a J.D., che ossessionato da quel loop sbotta, mal capendo: "For whom? Che intendi? Continui a dirlo. A ripeterlo. Da due giorni interi. Avanti e indietro. For whom. Mi entra in testa. Mi fa star male. Piantala". For whom, 'per chi', dice Mark Nechtr, sono le prime due parole del più bel racconto del professor Ambrose. È l'inizio del suo racconto sulla Casa Stregata. 'Per chi'. E 'Per chi', è realmente l'incipit del racconto di Bath Perso nella casa stregata: "Per chi è divertente la casa stregata del luna park?". Il ragazzo stava solo dicendo 'Vruuum Vruuum’, ma Wallace, in effetti, dice altro e si rivolge a chi ha i codici per decifrarlo. Così come delle rose, in un libro di Wallace, non sono mai delle semplici rose, possono essere l'antipasto di un pranzo “che è meglio non immaginare”, “sono oscene”, “fanno avverare i desideri”, oppure “fanno i desideri”, “prendono la cosa di cui hai più paura e la trasformano in un desiderio”, “sono sbagliate”, sono fatte per essere guardate, “non masticate, ingoiate ed espulse” e forse sono anche dei racconti, dei racconti sbagliati. Metafora di un consumismo – braccio armato della propaganda politica – che tutto fagocita, mastica e sputa, le rose che ricorrono in scena solo evocate in un involto, sono il simbolo di una delicatezza calpestata, violentata, fritta e mangiata.
Nel traslare dalla pagina alla scena, l’elaborazione di BluTeatro non ha bisogno di suppellettili in affastello, potendo permettersi di lasciare al testo la libertà di farsi teatro col suo linguaggio, messo in corpo a personaggi che traducono in ribalta la complessa e stratificata antropologia con cui Wallace li tornisce.
Il vantaggio del teatro rispetto alla pagina scritta sta nell’uso possibile delle immagini, siano esse prodotte dal corpo o dalla parola stessa e, nel caso di questa messinscena, sono intuizioni felici, oltre alla tipizzazione dei personaggi (l’hostess dell’AVIS dalla grottesca chioma ‘a incudine’ che schiocca le labbra ciancicando golosamente una ciambella, le pose sghimbesce di D.L., la quale conserva il proprio depliant in mezzo alle due metà di un panino vuoto, di quelli adoperati da McDonald), l’idea di concepire il dipanarsi della vicenda, nel viaggio in auto condiviso, come uno spazio dilatato: il palco diventa così una sorta di abitacolo moltiplicato, all’interno del quale ci si alza, ci si muove, si gestisce, ribalta teatrale su cui vanno in scena le essenze incarnate dai personaggi, il loro teatro del mondo (americano, del Midwest), degenerato e postmoderno; uno spazio che non comprime, ma dilata le possibilità di movimento (e di parola, perché non è possibile comprimere il flusso wallaciano nell’angustia di un abitacolo) dei personaggi, il cui viaggio, simbolicamente problematico per ciascuno di loro, procede in direzione simbolicamente contraria a quella dalla quale provengono – basti pensare all’aeroporto in cui pascolano dopo aver perso il volo, la cui unica vetrata dirige lo sguardo verso Oriente, in direzione opposta alla meta del loro raduno – divenendo così occasione per vedere le proprie vite indirizzate inconsapevolmente dalle dinamiche consumistiche.
Seguendo una strada non segnalata e mai percorsa prima, Luca Bargagna –  in una mano un testo con una cocca di cedro su cui c'è scritto “Dexter Aluminium, la BMW delle frecce da bersaglio” e nell'altra una mira da arciere – da un'angolatura storta tutta sua colpisce il bersaglio al cuore provocandogli un'inaspettata, ma sotto sotto sperata, wallaciana fitta al petto.

 

 

 

 

Verso Occidente l'Impero dirige il suo corso
di David Foster Wallace
regia Luca Bargagna
con Valeria Almerighi, Viviana Altieri, Luca Bargagna, Vincenzo D'Amato, Luca Mascolo, Massimo Odierna, Sara Putignano
elementi di scena Edoardo Aruta
foto e video Daniele Alef Grillo
progetto grafico e web Francesco Morgante
organizzazione BluTeatro Maria Piccolo
produzione BluTeatro / Teatro dell’Orologio
lingua italiano
durata 1h 55’
Napoli, Teatro Piccolo Bellini, 18 novembre 2014
in scena dal 18 al 23 novembre 2014

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