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Friday, 14 November 2014 00:00

Una storia sbagliata, un’occasione sciupata

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Una storia sbagliata era il brano che Fabrizio De André compose e cantò in memoria di Pier Paolo Pasolini, ripercorrendo il destino ridicolo di una vicenda tragica che finiva nel tritacarne dello scandalismo da rotocalco: “Cominciò con la luna sul posto / e finì con un fiume d'inchiostro / è una storia un poco scontata / è una storia sbagliata”. Di quella notte, di quella vicenda tuttora oscura, di quella "storia sbagliata" si inteatra visione postuma; di Pasolini le parole, o almeno gran parte di esse, di Roberto Herlitzka la voce, cui s’affida il farsi teatro di quella storia sbagliata, squarcio nero nella caligine italiota del secolo scorso, quello breve, quello appena trascorso, quello che nell’occhio di un poeta aveva trovato uno dei più lucidi analisti, e che quell’occhio – di quel poeta – ha visto chiudere violentemente sulla spiaggia di Ostia una notte d’inizio novembre.

Ed è appunto la spiaggia di Ostia, che nella trasfigurazione teatrale s’imbianca ghiaiosa, lo scenario su cui Roberto Herlitzka si muove come un Pasolini postumo alla propria morte e profetico di gran parte di ciò che le sarebbe seguito; nel centro di scena, semisommerso dalla finta rena, pallida come illuminata da lunare chiarore, il simulacro di un corpo che come morto giace, coperto di sangue, una scarpa sì e l’altra scappata via dal piede. Intorno a questo corpo, cadavere straziato del poeta, cadavere nel quale muore la cattiva coscienza di un Paese, l’attore è un Pasolini redivivo, che danza un girotondo fatto di parole, che ricordano la ricerca dell’autenticità, l’attenzione al mondo dei marginali, aspetti peculiari della poetica pasoliniana, mentre sullo sfondo passano proiettate le immagini di Ostia com’è oggi, del Quarticciolo com’era ieri, e mentre ancora risuonano, come profezia avverata, parole che sanciscono il passaggio del proletariato borgataro ad una indistinta omologazione piccolo borghese.
Roberto Herlitzka, che veste gli stessi abiti che abbigliano il cadavere ai suoi piedi, si aggira per la scena come un lemure, spettro vivente di quel corpo devastato; la sua voce possiede il magnetismo dell’affabulazione, proprio di chi il mestiere dell’attore non solo lo conosce, ma lo esercita come una natura non seconda. Eppure, proprio per questo, poco si comprende perché, quando da una voce registrata si ascoltano le poesie di Pasolini in friulano, Herlitzka debba muovere le labbra in una sorta di playback, così come poco si comprende perché egli alterni la recitazione alla lettura di stralci scritti, che parlano di Enrico Mattei, di Piazza Fontana, dello stragismo di stato.
Ma c’è ancora dell’altro che ci fa vivere questa “storia sbagliata” come un’occasione sciupata ed è l’operazione drammaturgica nel suo complesso, che accompagna alla voce narrante di Herlitzka le proiezioni sul fondale, con cui ad esempio si fa elegia dei morti di Piazza Fontana, raccontandone le vite ed illustrandone i volti, e che diventa volano per avvolgere il nastro della nostra storia punteggiata di stragi, di collusioni fra potere ed antipotere, di omissis, il tutto funzionale a creare, come fosse sintetizzato in laboratorio, quello che non un profeta, ma un poeta ha saputo preconizzare come un “fascismo senza ideologia”, tenuto in vita ad arte dal potere e che ha prodotto una società nevrotica e dispersa, spaventata dalle stragi di sangue, ma ancor più annichilita dalle stragi culturali.
C’è tutto questo nel monologo che Herlitzka conduce, c’è tutto questo in un testo che racconta la vita e la morte di un intellettuale, e attraverso quella vita – e quella morte – offre una visione postuma di quello che è stato e di quello che sarebbe diventata l’Italia; c’è un cadavere sulla scena, ma ce n’è uno più grande che non si vede, perché ha i contorni di una nazione, della sua cattiva coscienza; il monologo, la sua scrittura, i suoi riferimenti al Pasolini uomo, alla sua vicenda di vita, sono occasione per allargare lo spettro ad un intero Paese, passando dal particolare all’universale, dalla storia alla Storia.
Ci troviamo però dinanzi ad un’operazione che dal punto di vista strettamente teatrale denunzia proprio un limite strutturale, muovendosi, senza scegliere, lungo una linea di demarcazione che ballonzola al confine tra il teatro, l’orazione civile, l'inchiesta e la lettura drammatizzata.
Funziona perché regge su un testo che ha la felice intuizione di compendiare i due piani del passato e del presente cucendoli in bilanciato equilibrio; funziona perché la presenza scenica e vocale di Herlitzka vivifica le parole (lette o recitate che siano, e peccato per quelle solo mimate a fior di labbra); funziona, ma non riesce appieno, perché poco scommette sulla natura teatrale della messinscena, limitandola alla rielaborazione lunare di una location (l’Idroscalo di Ostia), cui null’altra invenzione teatrale s’aggiunge, lasciando Roberto Herlitzka vagare per la scena, come se, oltre alla vana ricerca di una verità credibile sulla morte di Pasolini, compisse i suoi giri all’altrettanto vana ricerca di un intervento registico significativo.
È per questa ragione che il racconto di “una storia sbagliata”, nel suo tradursi in teatro, ci appare un’occasione sciupata.

 

 

 

Una giovinezza enormemente giovane
di Gianni Borgna
ispirato ai testi di Pier Paolo Pasolini
regia Antonio Calenda
con Roberto Herlitzka
scena Paolo Giovanazzi
luci Nino Napoletano
produzione Il Rossetti – Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia
in collaborazione con Mittelfest 2013
e con il sostegno di Fondazione CRTrieste
lingua italiano (con poesie in dialetto friulano)
durata 50’
Napoli, Teatro Piccolo Bellini, 11 novembre 2014
in scena dall’11 al 16 novembre 2014

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