“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Friday, 01 February 2013 08:18

Arrivederci (o addio?) capitalismo! L'arte di José María Cano

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Perché nasconderlo? Siamo andati a vedere la mostra di José María Cano soprattutto per un motivo e questo motivo (perché nasconderlo pur nella sua banalità?) è tutto intero contenuto nel titolo dell’esposizione: Arrivederci capitalismo!. Siamo andati a vedere una mostra prevalentemente a causa del suo titolo. Non di certo un buon modo di presentarsi da parte di un giornalista che si vorrebbe serio. Ma torniamo al titolo, a questo Arrivederci capitalismo! Non che il recensore o giornalista o scribacchino che sta scrivendo questo pezzo ritenga veramente che sia così semplice o così immediato associare un saluto alla parola “capitalismo”, in poche parole che sussistano le condizioni sociali ed economiche affinché questo saluto possa sostanziarsi attraverso (quella cosa che un tempo non procurava vergogna e accuse di infantilismo a chi la pensava, e cioè) la rivoluzione, no! non lo ritiene così semplice o così immediato, ma la curiosità per quel titolo diveniva sempre più acuta perché, lapsus o volontà conscia – lo lasciamo decidere allo spettatore e/o lettore, la mostra ha nel suo titolo la parola arrivederci che, come tutte le persone che conoscono le buone maniere ben sanno, indica la possibilità di un nuovo incontro, magari sottintendendo anche la volontà che ciò avvenga, e non (magari) la parola addio che, come le persone che conoscono le buone maniere ben sanno (soprattutto quando non sono credenti), significa grossomodo “a mai più rivederci”, sottintendo magari anche la volontà che quella persona o cosa non si presenti mai più al nostro cospetto.

Insomma ci siamo recati a vedere questa mostra che si intitola Arrivederci capitalismo!

José María Cano è musicista e pittore e in questa esposizione presenta una serie di opere che hanno per tema una sorta di rappresentazione iconografica (se non addirittura feticistica) del peggio del capitalismo economico e finanziario che il nostro millennio appena iniziato (e se il buon giorno si vede dal mattino…) ha saputo produrre. Ci sono proprio tutti i protagonisti, tra cui possiamo vantarci di avere due italiani, ma non li sveliamo ancora. Chiariamoci: il capitalismo è una “formazione storica” e i suoi agenti sono semplici funzioni (in poche parole non conta tanto la persona in sé, ma la funzione che ricopre), nonostante ciò è sempre lecito provare un po’ di disprezzo non soltanto per le funzioni, ma anche per le persone. Siamo pur sempre umani, ed è pur sempre umano (troppo umano) anche lo scribacchino di questo pezzo. Dunque senza abbandonarci troppo alla calda piacevolezza del disprezzo, sentimento giustificabile ma inattivo, procediamo nel nostro discorso.

José María Cano utilizza una tecnica pittorica molto antica per raccontare il peggio del contemporaneo, si tratta della tecnica dell’encausto, i pigmenti vengono mescolati con cera, la quale ha la funzione di legante, e mantenuti caldi all’interno di bracieri, poi stesi con spatole o pennelli sulle superfici, infine fissati a caldo con particolari arnesi in ferro. Nella serie The Chapel of Capitalism José María Cano, in questo erede della più allegra e intelligente tradizione spagnola di feroce anticlericalismo, immagina e suggerisce che le figure che fra poco elencheremo siano paragonabili a quelle degli Apostoli e di Gesù Cristo. Quest’ultimo sarebbe per il creativo spagnolo Rupert Murdoch (noi, forse, avremmo scelto qualcun altro) mentre gli Apostoli sarebbero (li elenchiamo tutti per suscitare interesse e curiosità per tali personaggi – il lettore che non se la sente può saltare a piè pari e dirigersi direttamente al prossimo periodo): François Pinault, Warren Buffett, Bernard Madoff, Jean-Claude Trichet, Ben Bernanke, Christer Gardell, Marco Tronchetti Provera, Sergio Marchionne, Li Ka-shing, Lakshmi Mittal, L. Dennis Kozlowski, Milton Friedman. Questi personaggi, questi novelli Apostoli del Dio/Capitale – e bisogna dire che sono appena appena i più conosciuti ed evidenti, ma il capitalismo ha ben più Apostoli che non il cristianesimo delle origini – sono rappresentati in formati giganteschi, per cui quando si entra nella sala si possono osservare tutte le facce sorridenti di questi personaggi e osservarle per bene e a fondo, forse sperando che lo spettatore possa acquisirne coscienza. Ma si sa non siamo in tempi di coscienza né tantomeno di coscienza di classe (che noiose parole e concetti arcaici!), per cui il tutto scivola via non tanto per noi che intanto guardiamo in cagnesco soprattutto Marchionne ma per gli sporadici spettatori che gironzolano per le sale.

Queste grandi rappresentazioni iconografiche si presentano come giganteschi ritagli di giornale, fette della nostra informazione quotidiana, e così oltre agli Apostoli si impongono a noi anche altri “ritagli” (appartenenti alla serie Invesco perpetual) che raccontano di eurozone crisis, oppure di heart attacks markets, o ancora grafici di indici di borsa della GM, Wal-Mart, Apple, etc.

Ce ne andiamo poco dopo, ripensando ancora a quell’arrivederci (ma almeno in una mostra, almeno in una finzione, non si poteva dire addio?), ma sorridendo, non tanto perché ci sia qualcosa da ridere nella situazione materiale che stiamo vivendo e che si chiama oramai da più di due secoli “capitalismo”, ma perché pensiamo e ci auguriamo che il capitalismo non abbia lo stesso successo del cristianesimo perché, se per caso così fosse, amici miei siamo soltanto all’inizio, sono passati appena due secoli e mezzo da quando si è presentato in forma compiuta in Inghilterra, e da lì ha cominciato a fare proseliti in giro per il mondo.

 

Arrivederci capitalismo!

di José María Cano

PAN – Palazzo delle Arti di Napoli

Napoli, dal 25 gennaio al 23 febbraio

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