“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Tuesday, 04 November 2014 00:00

Il ritorno di Bracco

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Per ogni autore 'non-nostro-contemporaneo' è auspicabile una lettura dei testi che tenga conto del contesto storico/sociale nel quale sono stati generati, al fine di valutare le influenze che sugli stessi possano aver avuto certi valori consolidati e determinate situazioni storiche. Questo discorso vale anche per i 'grandissimi', quelli che siedono nell'Olimpo della drammaturgia, perché sebbene il valore delle loro opere sia tale da elevarsi al di sopra dei confini del tempo, assurgendo ai caratteri dell'universalità e dell'eternità, resta il fatto che esse siano comunque figlie della loro età: della quale si portano addosso i tratti genetici.

Roberto Bracco è stato un giornalista, critico, narratore, poeta e soprattutto uomo di teatro, che nei decenni tra Otto e Novecento ha raggiunto vette altissime con opere teatrali innovative che gli fecero ottenere una straordinaria fama internazionale. Si tratta di lavori che trasudano del loro tempo: hanno assorbito, elaborato e restituito con grande intelligenza e sensibilità, tutto ciò che è stato consegnato da quegli anni in cui la storia si è macchiata di nero.
L'importanza innovativa e avanguardista del suo teatro lo consegnarono presto alla fama internazionale, che certamente non avrebbe arrestato il suo cammino, se l'oscura ombra del fascismo non si fosse gettata addosso strappandogli un Nobel − reclamato da più voci − e tentando in tutti i modi di calare l'ombra dell'oblio sulle opere di questo grande autore a cui il regime arrivò ad impedire ogni contatto con il pubblico, decretando così un prematuro silenzio letterario.
Riprendere Bracco oggi vuol dire riattivare un pezzo di storia che si estende da prima del conflitto mondiale all'avvento del fascismo, recuperando la memoria di una vivacità culturale portatrice di valori universali. Il rinnovarsi di questa "memoria culturale e storica non solo di Napoli, ma dell’Italia” è, quindi, lo spirito col quale il regista Giovanni Meola ha intrapreso il ‘progetto–Bracco’, che è iniziato portando in scena, a cent'anni dalla sua prima rappresentazione, L'internazionale: una commedia agrodolce, nella quale emergono la sua provocatoria ideologia anti-interventista e la complessità di nuovi equilibri tra universo maschile e quello femminile.
Da un'oscurità non attenuata emerge una Mignon Floris austera nel suo minimalismo, veste abiti neutri dal taglio senza tempo che non suggeriscono alcuna precisa collocazione storica, ai suoi piedi nessun gingillo dal 'tacchetto dorato' ma babbucce raso terra dell'identico 'non colore' dell'abito. Sulle spalle ha adagiato quello che, a prima vista, sembra un ampio mantello ma che, le luci sulfuree di una moltitudine di flebili lampadine elettriche poste sull'assito, rivelano essere una carta geografica dalle dimensioni geologiche.
Mignon è la protagonista di questa commedia, e la scelta di Meola è di svelare da subito questa realtà rendendola dai primi istanti anche protagonista della scena con una delle sue canzonette da 'Chanteuse Internazionale'. È un inizio sorprendente ed efficace che personalizza la commedia mostrando la cantante alle prese col suo repertorio; nel testo originale, infatti, non è mai prevista una sua performance canora e le sue doti possono solo essere intuite leggendo tra le righe.
La stanza si presenta spoglia da ogni orpello superfluo, e anche in questo si nota un insistere nella scelta minimalista: Bracco aveva previsto "Un piccolo barocco salotto, con troppi mobili, i quali sono troppo piccoli. Quante sediole! Quanti sgabelli! Quante poltroncine! Quante consollette! Quante mensolette! Quanti tavolini" e poi i ninnoli che sembrano soffocare ogni spazio utile: "Si direbbe che ci sia stata una pioggia di ninnoli. Ce n'e dovunque: su quei mobili, beninteso, dove possono restare indisturbati. E sono d'ogni sorta: graziosi, squisiti, preziosi, arguti, dozzinali, grossolani, puerili, goffi, orridi". I ninnoli di Bracco aiutano a disegnare l'indole e il carattere di Mignon, che è una donna che ama il superfluo e i ricordi, non ama il rigore e il nitore dell'ordine precostituito; ce la immaginiamo leggera e fluttuante, avvolta in vistose vestaglie di seta come le dive di quei tempi. Ogni ninnolo è un capriccio, come i suoi tanti amanti dei quali conserva gelosamente fotografie e corrispondenza.
Lo spessore umano e morale della bella 'Chanteuse' pensata da Bracco cresce a poco a poco, facendosi lentamente strada tra le pieghe di un'apparenza che inganna, per raggiungere nel finale dimensioni tali da sovrastare per forza e determinazione entrambi i personaggi maschili che, al suo cospetto, rimpiccioliscono fino a svanire nel nulla. In questa rappresentazione il regista ha voluto eliminare, da subito, ogni possibilità di equivoco: Mignon è una donna di grande rigore e valore morale, più che ansiosa e spaesata per le vicende di una guerra che sta facendo a pezzi il suo mondo e i suoi affetti è determinata a capire, conoscere e comprendere; la sua è una sofferenza forte e coraggiosa e quello che vuole è che il pugnale della consapevolezza non la risparmi.
Sebbene si tratti di una scelta condivisibile, non si può tacere sul fatto che in parte vengono sacrificati gli effetti di un'accattivante comicità prevista dall'autore: i giochi di parole e le scaramucce con Renzo risultano fiaccati da tanta austerità.
La situazione, tuttavia, sembra in parte ribaltarsi nella seconda parte di quest'atto unico: l'ingresso in scena del Cavalier Aprile restituisce l'aura dileggiosa che era mancata in tutta la prima parte e, la stessa Mignon, ne viene contagiata lasciandosi finalmente andare anche ad una femminilità, fino a quel momento mortificata, da vera'Chanteuse Internazionale'. E sulla scia di questo slancio di emozioni riesce a dare al bellissimo monologo finale la giusta drammatica eccitazione: "Erano tutti giovani. Alcuni giovanissimi. Tutti così gentili! Così leali! Così allegri e tutti che parevano dovessero vivere cent'anni! Che vita, che gioia in quegli occhi e in quelle bocche! E ora penso che sono tutti  lì, a morire, a morire...".
È la fine, le lampadine sull'assito vengono spente con gesto solenne, una ad una, le lampade votive hanno mancato le loro promesse.
Riposino in pace, "Poveri ragazzi".

 

 

 

 

L’Internazionale
di Roberto Bracco
adattamento e regia Giovanni Meola
con Sara Missaglia, Luca Di Tommaso, Luigi Credendino, Simona Pipolo
scene Armando Alovisi
costumi Annalisa Ciaramella
assistente alla regia Serena Russo
fotografo di scena Alessandro Pone
progetto grafico Irene Petagna
lingua italiano
durata 1h 10'
Napoli, Galleria Toledo, 1° novembre 2014
in scena dal 29 ottobre al 2 novembre 2014

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