Print this page
Thursday, 30 October 2014 00:00

Quella corsa contro il tempo

Written by 

Dal 14 al 26 ottobre si è svolta a Napoli, presso la Sala Assoli la rassegna teatrale A(s)soli Giovani, evento creato dai giovani e rivolto ad un pubblico under35. Promossa dall'Assessorato ai Giovani e Politiche giovanili, Creatività e Innovazione del Comune di Napoli, con la partecipazione dell'Associazione Assoli, la rassegna ha visto impegnate quattro compagnie emergenti con altrettanti spettacoli − rappresentano il teatro futuro (ma anche presente) sul territorio campano − che si sono confrontate sul palco favorendo un momento di crescita artistica e di dibattito culturale. Le diverse serate hanno infatti lasciato spazio a momenti di approfondimento in cui sono intervenuti ospiti quali Giuseppe Ferraro − Docente di Filosofia Morale alla Federico II − lo scrittore Pino Imperatore ed Antonella Bozzaotra, Presidente dell'Ordine degli Psicologi della Campania, ed Amnesty International.

A(s)soli Giovani si è conclusa con la messa in scena di Quell'ultima corsa, per la regia di Marco Serra, spettacolo inedito della compagnia Naviganti InVersi e tratto dal testo Sunset Limited dell'autore americano Cormac McCarthy.
È una pièce teatrale di profondo stampo filosofico che, come spiega lo stesso Serra, non pretende di fornire risposte, bensì porre interrogativi, spingere lo spettatore alla riflessione sulla dicotomia vita/morte e sulla raison d'être della fede religiosa.
Lo spettacolo ha inizio col fischio di un treno in corsa, mentre una figura avvolta nell'ombra − è il suo vuoto interiore − viene illuminata ad intermittenza dalla luce dei fari, come se si trovasse al centro dei binari, con lo sguardo perso, in fredda attesa. Un fischio che un attimo dopo è segnale di uno scontro verbale che si accende tra due personaggi contrastanti. In Quell'ultima corsa il palcoscenico diventa un ring abbandonato, caotico e sporco, sito ai limiti dell'esistenza, un luogo di transizione tra continuità e fine in cui il tempo è indefinito, si manifesta solo grazie allo scorrere enigmatico di una clessidra. Tutti gli oggetti e gli elementi scenici sono essenziali, trasformano lo spazio perforomativo in un angolo di periferia metropolitana: appare come il rifugio desolato di un senzatetto, uno dei due protagonisti, interpretato  dall'attore Francesco Saverio Esposito.
Lo stato trasandato, l'andamento zoppicante segno di salute precaria, la condizione emarginata, trapelano costantemente dal linguaggio gestuale scelto, nonostante l'esuberanza ironica del barbone. Costui vanta un carattere vispo, determinato, cocciuto nel voler intrattenere un dialogo razionale con il suo interlocutore, anch'egli altrettanto testardo, provando a trasmettergli in modo quasi “dottrinale” la propria fede in Dio; è appunto un uomo appena sottratto da una morte certa sotto un treno che viaggiava ad alta velocità.
L'aspirante suicida è Maurizio D. Capuano, che veste i panni di un professore nichilista ed ateo, una persona rispettabile e distinta che ha abbracciato la cultura come sua unica fede e che adesso medita la fine rassegnato e disilluso difronte al triste vissuto che si porta dentro.
Come due pedine opposte, i due uomini si scrutano, si incontrano e si sfidano sulla scacchiera del destino, forse per caso o per bizzarro volere divino. Sembrano essere due facce di una stessa medaglia, accomunate da condizioni di vita estreme: l'una di tipo sociale, l'altra di tipo esistenziale.
I sentimenti di speranza e l'entusiasmo contagioso del barbone sono insufficienti e vano è il tentativo di infrangere il radicato cinismo e pessimismo del professore, il quale ha smesso di avere fiducia anche nei suoi tanto amati libri, tradito da una società che ormai denigra e schiaccia ogni forma d'arte e di sapere.
Fra di loro si avvertono tensioni e diffidenze, non si escludono i prevedibili tabù, soprattutto quando il mendicante cerca un contatto fisico con l'insegnante, anche un solo tocco di mano che potrebbe forse riportare alla luce la voglia di vivere del co-protagonista. Al tempo stesso però si legge una sorta di magnetismo che li attrae e li lega, una curiosità scrupolosa e psicoanalitica nel volersi addentrare a vicenda all'interno di tortuosi percorsi mentali, accrescendo sempre più dialoghi di tipo confidenziale.
Il registro attoriale è antitetico e le semplici luci adottate ben delineano i campi d'azione dei due interpreti, in particolar modo quando il processo dialettico arriva al culmine delle rispettive argomentazioni senza trovare però alcuna soluzione all'indagine sulle “verità” affrontate, senza dare ragione a nussuna delle due parti, senza trovare alcun accordo con il pubblico che osserva.
Nessun vinto, nessun vincitore quindi. Il testo proposto da Serra, non semplice e recitato ad hoc, si sviluppa e rimane bloccato su quel lurido ring, sospeso nell'indeterminatezza, e non dà la possibilità di comprendere se ci si avvicina ad una fine − il professore si mostra insofferente al suo amico sconosciuto e spesso prova ad andare via da quel posto − oppure se si rimane intrappolati in un circolo vizioso di botta e risposta, in un incessante racconto, continuo, sempre uguale nei contenuti ma fatto di tante sfumature diverse.
Ed ecco che non si riconoscono più contorni, lo spazio scenico appare come un ring aperto, le frasi dette dall'uno diventano i pensieri scritti dell'altro, l'attenzione si sposta sulla similarità tra i due personaggi chiedendoci chi tra i due sia più miserabile dell'altro, se il barbone con i suoi stracci o il professore che nonostante il suo status appare più invecchiato di quanto forse realmente sia col suo umile maglione intriso di grigiore.
Tra cartoni, tavolini rotti, sedie sgangherate, all'insegna di uno scenario desolato immutabile e monotono, la compagnia Navigati InVersi riesce nell'intento di mantenere sveglia l'attenzione e la partecipazione per la forte carica drammaturgica che lo spettacolo possiede. Il coinvolgimento degli attori è tale da trasmettere l'angoscia e la suspense di tutta la vicenda che ha ipoteticamente due sole conclusioni possibili ma entrambe insoddisfacenti: la promessa di una vita eterna e gratificante dopo la morte o la fine di tutto, il nulla assoluto, il buio totale liberatore dagli affanni e dalle delusioni terrene.
La salvezza è possibile solo leggendo e seguendo l'unico libro in grado di consolare l'animo, la Bibbia, onnipresente sul tavolo del barbone; il vuoto sarebbe facilmente raggiungibile con “quell'ultima corsa”, quel salto metaforico sui binari di un treno che porrebbe fine ad un'esistenza effimera.
Nonostante il vagabondo si sforzi nella sua opera di convincimento, il personaggio di Capuano non si lascia scalfire e riesce finalmente ad uscire di scena sul finire della performance, decostruendo ogni certezza del compagno.
Il treno ritorna a fischiare e la clessidra riparte col suo conto alla rovescia. Non sapremo mai se il professore si sia lasciato andare ad un destino infausto o meno, ma l'incognita è sinonimo stesso dell'imprevedibilità della vita e della sua ciclicità che, seppur regolata, è affidata al caso. Forse per qualcuno, da qualche parte, ci sarà salvezza e riscatto, per altri il tempo si concluderà; forse da qualche parte un treno passerà al momento sbagliato e nessuno, o nessun credo, per quanto forte possa essere, potrà arrestare il corso inevitbile degli eventi.

 

 

 

A(s)soli Giovani
Quell'ultima corsa
tratto da Sunset Limited
di Cormac McCarthy
riadattamento e regia Marco Serra
con Maurizio D. Capuano, Francesco Saverio Esposito
scenografie e costumi Federica Del Gaudio
produzione Naviganti InVersi
lingua italiano
durata 1h 10'
Napoli, Sala Assoli, 26 ottobre 2014
in scena dal 24 al 26 ottobre 2014

Latest from Andrea Arionte

Related items