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Saturday, 27 September 2014 00:00

La noia esistenziale di Emma Bovary

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Il palco nero è tagliato a metà da una bassa passerella bianca che parte dal fondale per arrivare quasi al proscenio. Su di essa si trova la protagonista Emma Bovary, con una lunga gonna grigia ed un grigio lungo cappotto. Ha i capelli raccolti in una coda di cavallo, il viso tirato, le mani nervose. Emma è uno dei personaggi più famosi della letteratura europea, è la personificazione dell’insoddisfazione e della noia in cui Flaubert si riconosce fino a fondersi con lei. È anche la rappresentazione spietata di quella borghesia francese di fine Ottocento che si è involuta, che è diventata mediocre, senza luce. Emma è oggetto, parte integrante di quella borghesia che denigra, che rifiuta, diventandone la vittima.

Prima ancora che Emma compaia sulla passerella, in platea si sente forte il ronzio di una mosca fastidiosa che perdurerà per buona parte della performance. Questo rumore insistente, insinuante è il mondo esterno di Emma, è la realtà che rifiutava e che mistificava a tutti i costi. Sulla scena la protagonista è raccontata dal momento in cui quel mondo fastidioso le chiede il conto delle sue spese e delle sue cambiali fino al momento del suo avvelenamento. Su quella angusta passerella Emma è rappresentata affamata, ha tra le mani della polvere bianca che le scivola tra le dita, poi se la mangia con avidità fino a sporcarsi il viso. Quella polvere è l’arsenico, come sono polvere gli oggetti con i quali ha creduto di sfamare la sua esistenza priva di senso. Lo sguardo della donna è rivolto ad un punto posto dietro il pubblico che rappresenta il marito con il quale interloquisce per l’ultima volta. Possiamo intuire le mute domande dell’uomo che le chiede il perché dei debiti, che cerca di comprendere questa moglie così diversa dalle altre. I gesti della donna si fanno sempre più nervosi per scivolare nell’isteria quando ripercorre la sua condizione esistenziale, soprattutto quando racconta gli incontri con gli altri uomini che l’hanno portata sull’orlo del baratro invece di salvarla da quella vita noiosa che il marito le aveva offerto. Emma si abbottona e sbottona il cappotto con gesti compulsivi, ripetitivi che seguono la sua angoscia crescente. In questi momenti in cui deve fare i conti con se stessa le manca l’aria, il respiro è affannoso, le dita toccano la testa che sembra scoppiare per i troppi pensieri. Emma è una donna gelosa, invidiosa che vive di sogni per lei impossibili, ma realizzabili per altri. Crede che altri uomini possano aiutarla e lei vi si affida come nel valzer che balla con il visconte che le fa vivere l’ebbrezza di un altro mondo. Non era destinata a fare la madre e la moglie, perciò procede per tentativi ed errori. “Cambi tutto, ma tutto ti annoia”.
La figura di Emma tratteggiata dal regista Luciano Colavero è quella di una depressa senza via di fuga come quella passerella, quel molo a cui si aggrappa e percorre per non lasciarsi andare fino alla fine. Chiara Favero è intensa e appassionata, eppure, nonostante le intenzioni del regista si siano apparentemente concretizzate nella messa in scena, risulta difficile lasciarsi coinvolgere, provare empatia per un personaggio che è, in fondo, anche così moderno. La quarta parete di trasforma in un diaframma freddo fatto di aria gelatinosa per spaccarsi solo nel finale, quando Emma, svestita delle sue sovrastrutture, poggia il microfono sul suo cuore ansimante che rimbomba per tutta la platea per poi staccare improvvisamente il cavetto che lo collega alla corrente. Cuore e mosca tacciono. Silenzio. Buio in sala.

 

 

 

Stazioni d'Emergenza
Madame Bovary
scritto e diretto
da Luciano Colavero
con Chiara Favero
scene Alberto Favretto, Marcello Colavero
suono Michele Gasparini
costumi Stefania Cempini
produzione Strutture Primarie
lingua italiano
durata 1h
Napoli, Teatro Galleria Toledo, 23 settembre 2014 
in scena
23 e 24 settembre 2014

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