Sceglie un altro percorso, in compagnia di “pochi viandanti in salita come te”. In questo cammino (verrebbe da dire in direzione ostinata e contraria), lo sguardo si apre sulla realtà-società, nelle sue ampie sfaccettature. Nessuna risposta preconfezionata, ma piuttosto la realtà in uno specchio rovesciato, in cui sono messi a nudo i vuoti rituali della mondanità, la superficialità di esistenze frenetiche, vite che “sono nel mezzo, dove le vere vite devono stare”; vite fatte di routine automatica e sindrome del possesso, famelico, divorante, desolante e in fin dei conti deprimente e alienante. Vite sempre uguali, a posto, finché il cortocircuito dell’esistere non inneschi terribili, angosciose domande: “Quale strada ho seguito?”, “Dove ho sbagliato?”. Basta un attimo per perdersi, al di là del facile romanticismo dell’on the road, semplicemente un giorno ci si può trovare in mezzo alla strada. A cinquant’anni, con i propri vestiti buoni, la cravatta, un residuo senso di dignità, fino a quando si perdono i punti di riferimento, si finisce anche per dimenticare ciò che si ha di più sacro al mondo. A questo punto l’individuo cessa di essere persona, “Sei un dramma esistenziale ambulante”.
“Loro sono a posto, ma a te sembrano arresi”. “Mi sono seduto dalla parte del torto perché ogni altro posto era occupato”. Dalla parte del torto, dalla parte sbagliata, i luoghi e le forme dell’emarginazione, gli altri, i diversi, i pazzi, gli immigrati, i rifiuti della società o semplicemente coloro che sono ai margini, non sono incasellati. Nello specchio rovesciato tutto ciò non si trasforma in un giudizio di valore, sugli uni o sugli altri. Riflessioni a margine sul margine. Nello specchio rovesciato nuove prospettive si rivelano, angoli visuali inediti o insperati, oltre il buonismo, la retorica dei buoni sentimenti, i pasti caldi e le colazioni, la volontà di incasellare l’altro nella categoria, tutto sommato rassicurante, dell’emarginato, del disadattato sociale, in cerca di reinserimento nella società. Non più soggetti sociologici, ma soggetti, individui, padroni dell’altra metà dello specchio, quella metà che scolora e regredisce all’alba, quando la città si sveglia, si popola degli abitanti del giorno, della settimana lavorativa. Loro spariscono, diventano/si rendono invisibili quando noi ci svegliamo e percorriamo la geografia routinaria delle nostre città; si rendono visibili solo se e quando vogliono. “Chi è più vivo?” si domanda Giulio Casale. Noi o loro? Dov’è la normalità? Dov’è il confine?
Fin qui le parole, il gesto, le voci. Ma La febbre non è solo parole, gesti, voci prima e accanto e intorno irrompe il tessuto sonoro dello spettacolo. Prosa cantata in cui parola e suono sono l’una il complemento dell’altra, in un’alternanza quasi paritaria in cui il suono scivola un po’ in secondo piano, per carenza di acustica della sala o forse per l’inevitabile resa in minore della musica non eseguita ma trasmessa. Sicuramente migliore la resa dell’album, Dalla parte del torto, che si può acquistare al botteghino. Suoni incalzanti e distorti, ritmi serrati, parola graffiante e lucidamente trascinante. In calce al CD Giulio Casale scrive “Mi pare che siamo rimasti in pochissimi a credere nella canzone. L’album è dedicato a quei pochi. Dalla parte sbagliata”... ecco, questo provoca un certo disagio, un prurito in mezzo alle scapole, il desiderio di sgusciare dall’incasellamento manicheo in cui ci sono una parte giusta e una sbagliata, ora non importa sapere da quale lato dello specchio si sta guardando. I pochi spettatori (in una città spesso ingenerosa, o forse semplicemente distratta) diventano uno scelto pubblico, raffinata èlite di buoni, di consapevole minoranza che sta dalla parte del giusto (quasi da spot elettorale...), e allora davvero dalla parte del torto è un luogo come un altro, perché ogni altro posto era occupato?
La febbre
di e con Giulio Casale
regia e collaborazione drammaturgica Francesca Bartellini
luci e allestimento scenico Lucio Diana
direzione musicale Giovanni Ferrario
fonica Marco Tagliola, Marco Posacco
lingua Italiano
durata 1h 15’
Napoli, Teatro Galleria Toledo, 25 gennaio 2013
in scena dal 25 al 27 gennaio 2013