“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Tuesday, 22 January 2013 01:00

Go-dot. Oggi, no. Domani, chissà

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Go-dot. Oggi, no. Domani, chissà Foto a cura di Vincenzo Broccoli

 

Chiara e leggera è la luce del giorno, in fondo la notte è ancora lontana. Il pubblico attende, così come Vladimiro ed Estragone: in un velo sottile, il filtro dell’eterna incomunicabilità tra finzione e realtà. Mondi che si sfiorano, l’uno con l’illusione di inglobare l’altro. Illusione non metafisica ma tutta, dolorosamente, umana.

Campeggia, nella sua mastodontica solitudine, un salice: spoglio in un tempo di vita, un po’ rinverdito in un altro; il tempo, in fondo, si muove ma chi vive rifiuta di averne percezione. Pur nell’attesa. È quanto accade ai giovani protagonisti, due miseri vagabondi alle prese con la fatica di sopravvivere quando l’unica ricchezza di cui provano a sentirsi forti è la speranza. La speranza dell’attesa perché, se non oggi, domani la salvezza arriverà. Certo, arriverà Godot.
Provano a sentirsi forti nella sofferenza fisica, nella povertà, nella fame, nel disperato rifugio in un improbabile suicidio (complice il salice, ma non una corda volutamente troppo corta). Provano, per assurdo ma del tutto umanamente (così come ci insegna Mr. Beckett), perché vivono. E allora attendono. Chi? Cosa? Forse un uomo che ha promesso loro di arrivare e di portarli via con sé. Forse di rialzarsi dal torpore della miseria, dell’ignoto, dell’impossibilità, della ricerca di un senso che, al pari della felicità, è ontologicamente lontano dalla materia e vicino solo al desiderio delle fragili creature umane. Forse Godot.
Tutto inizia, in scena, nel silenzio di ogni parola, con i ritmi e le attese di certe note pellicole del cinema d’esordio, muto. Se la parola tace, le immagini (in azione) parlano con tale efficacia che i sottotitoli che le intervallano non riescono a distogliere lo sguardo di chi osserva i volti e le espressioni fortemente ben resi dai lodevoli interpreti della pièce.
Silenzio della parola. Cine-teatro muto. D’improvviso, il nastro si riavvolge e tutto ricomincia: a suon di voce.
I due vagabondi ricominciano a lamentarsi, a convincersi di poter fuggire, magari facendola finita, a rallentare il percorso imbattendosi nelle distrazioni e nelle sopraffazioni del superbo Pozzo, a desiderare di perdersi l’uno lontano dall’altro per poi ritrovarsi nella tenerezza di un abbraccio, come per dire ‘no’ alla Noia ed alla Paura, perché di vita ce n’è ancora.
"Il giorno dura un istante e poi è subito notte". Una luce fuori campo si palesa agli occhi curiosi dei due come per ricordare che Godot arriverà domani. Una luce (che sia Dio forse Mr. Beckett lo sa, senza svelarlo) sulle tenebre.
Oggi, no. Domani, chissà.
"Che ora è?". È sera e, in fondo, si sogna di essere felici. Nel sogno dei due vagabondi che cedono alle lusinghe dell’attesa, il paradigma di un’umanità intera alle prese con il ‘mestiere di vivere’.
Andando. Fermandosi. Go-dot.
Aspettando che qualcosa accada.    

 

        

Aspettando Godot

di Samuel Beckett

adattamento e regia Fabio Cocifoglia

assistente alla regia Francesca Borriero

con Massimiliano Foà, Luca Iervolino, Rosario Sparno

scene Roberto Di Bello

costumi Alessandra Gaudioso

luci Gaetano di Maso

fotografia Vincenzo Broccoli

Caserta, Teatro Civico 14, 20 gennaio 2013

in scena il 19 ed il 20 gennaio 2013

                                                                                                                                                                                                                                    

 

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