“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Wednesday, 09 July 2014 00:00

Cronaca di un parricidio

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Per presentarvi il libro che questa recensione tenterà di mettere a fuoco, potrei limitarmi ad illustrarvi le qualità che lo rendono di per sé ampiamente degno della vostra attenzione e, possibilmente, lettura. Oppure, potrei partire da molto più lontano, e raccontarvi una storia che ve lo farà guardare con occhi completamente diversi. Perché, potenziali lettori, dietro questo apparentemente innocuo oggetto cartaceo dalla forma comune e rassicurante, “un manufatto, un oggetto, una pura e semplice cosa di questo mondo, composta di polpa di legno emulsionata e file parallele orizzontali di inchiostro”, dovete sapere che c’è la macchia di un crimine, uno dei più efferati: il parricidio.

Delle due possibilità opto per la seconda, per due motivi:
− il primo di natura economico/emotiva: voi non avete idea di quanto mi sia costata in termini terra-terra-monetari questa storia, e in qualche modo mi debbo sfogare;
− il secondo è per un pettegolezzo metanarrativo, e ogni storia che viene condita con questo saporito ingrediente diventa assai più gustosa.
Dunque, ecco i fatti.
Abbiamo un padre, uno di quei padri geniali e generosamente prolifici. Lui scrive, ma essendo un genio, lo fa in modo NON convenzionale. Continua ad inventare e sperimentare nuove tecniche, roba da “Guarda, mamma, senza mani!”. Poi abbiamo un figlio, intelligentissimo e molto dotato. Quel tipo di figlio che un padre del genere sogna e teme allo stesso tempo. Uno di quelli che apprende in silenzio e poi va dal padre e gli fa “Guarda, pa’, forse ho capito, non solo senza mani ma anche in piedi sul sellino e con una gamba legata dietro la schiena, mentre salto la corda, ti piace!?”. Ed è pressappoco così che è andata.
Il primo si chiama John Barth ed è uno dei ‘padri’ del postmodernismo; tra le sue opere più celebri e innovative c’è La Casa dell’allegria, opera talmudica della letteratura postmoderna: si tratta di una raccolta di racconti tra i quali quello che più ci interessa è Perso nella casa stregata.
Il secondo, il ‘figlio’, è David Foster Wallace: ‘la mente migliore della sua generazione’, che decide di prendere proprio il racconto Perso nella casa stregata, che nel frattempo è diventato un feticcio per i cultori del genere, e di farci una bella parodia, dico bella non solo nel senso di sonora, dissacrante e parricida, ma nel senso che questa parodia è riuscita talmente bene da gettare un’ombra sinistra sul feticcio. L’arma utilizzata ha un titolo in odore di profezia: Verso Occidente l’Impero dirige il suo corso (V.O.I.D.S.C).
Quando acquistai V.O.I.D.S.C, non sapevo ancora nulla di tutta questa storia. La appresi grazie all’introduzione di Martina Testa che ‘sconsigliava’ (non che lo facesse così alla luce del sole, lo faceva più in modo postmoderno e contorto del tipo: ‘sì, puoi leggere questo libro senza aver letto il racconto, però sappi che ti perderai qualcosa di molto bello. Come andare ad una festa dove non conosci nessuno e tutti fanno battute e si danno di gomito per cose che naturalmente non capisci perché non hai seguito i miei consigli’), la lettura del libro senza prima aver letto il racconto ‘feticcio’ di Barth. Dato che La casa dell’allegria non è più in commercio da anni, Martina segnalava che il racconto in questione lo si poteva trovare nella raccolta, edita da Minimum Fax, La Vita è un’altra storia. Il problema è che da fonti autorevoli (era lo stesso Barth ad affermarlo) ho appreso che quel racconto non poteva assolutamente essere estrapolato dal suo contesto, perché La Casa dell’allegria è la tana dalla quale Perso nella casa stregata non può essere strappato senza perdere i suoi fluidi magici. Quindi? Che fare? L’unica soluzione era quella di cercare questa benedetta Casa in ogni dove e a qualsiasi costo e condizione. Da qui le mie esigenze di sfogo: ora ho una Casa di seconda mano che non è abitabile e nemmeno locabile, e c’è poco da stare allegri visti i valori di mercato ai quali ho dovuto sottomettermi. Da questa lettura/controllo incrociato che, devo dare ragione a Martina, ha aumentato di gran lunga la libidine nell’approccio ad entrambi, emergono continui riferimenti più o meno espliciti e più o meno crudeli di V.O.I.D.S.C.  al racconto di Barth; in entrambe le opere i protagonisti arrancano per raggiungere una meta che potrebbe non raggiungersi mai, l’obiettivo si allontana in continuazione e finisce che ci si perde. Tutti quanti si perdono: protagonisti, lettori, autori, tutti ad annaspare nella stessa pozza d’acqua che, dal suo interno, sembra un mare.
In Perso nella casa stregata il protagonista, un ragazzino di nome Ambrose con un intelletto di parecchi passi avanti rispetto al suo corpo acerbo che si sta appena affacciando “in quell'età delicata”, durante un viaggio in auto verso un parco dei divertimenti si perde nell’analisi degli scombussoli ormonali/emotivi scatenati dagli involontari sfregamenti tessili con la  sua avvenente vicina di posto, Magda. Il suo smarrimento si protrae anche all’interno della casa stregata. All’autore, peraltro, ‘sembra’ che capiti lo stesso con il racconto che ‘sembra’ aver preso una direzione che non porterà da nessuna parte. Con artifici metaletterari interviene, si smaschera, confessa, ci mette a parte della sua ansiogena analisi sul racconto stesso allontanandosi/ci da ogni possibilità di epilogo. In realtà Barth non si perde affatto ma finge solo di farlo, ed è questa la colpa che gli verrà imputata.
In V.O.I.D.S.C. ritroviamo il ragazzino che era stato protagonista del racconto barthiano: questi nel frattempo è cresciuto ed è diventato professore di scrittura creativa, si chiama sempre Ambrose ma sappiamo benissimo che in realtà il suo vero nome è Barth, John Barth. C’è anche Magda, che è diventata adulta ma ha conservato la capacità di suscitare emozioni e desideri nei suoi compagni di viaggio, effetti anche in questo caso inevitabilmente amplificati dai medesimi sfregamenti tessili che hanno luogo sul sedile posteriore di una macchina diretta verso una Casa Stregata.
La Casa Stregata presente in entrambe le opere mentre nel racconto è un gioco di un parco dei divertimenti, in V.O.I.D.S.C. è il nome di una catena di discoteche creata dal Professor Ambrose per fini oscuri che hanno a che vedere con il desiderio e le proprie paure più profonde.
Ma per chi è divertente la Casa Stregata? Questa è la domanda loop che Barth continua a porsi. “Per chi è una Casa stregata?”, replica Wallace come un eco ossessivo e amplificato che addirittura diventa un tic demenziale del conducente vestito da clown; in effetti quello che il clown continua a ripetere è “Vruuum!”, ma viene percepito da chi gli siede accanto col finestrino abbassato come un autistico “For whom” (per chi?) “For whom? Che intendi? Continui a dirlo a ripeterlo. Da due giorni interi. Mi entra nella testa. Mi fa star male. Piantala”. Ma il ragazzo sta dicendo “vruum” e non “For whom”, che poi “sono le prime due parole del più bel racconto del Professor Ambrose”, “È l’inizio del suo racconto sulla Casa Stregata” spiegherà uno degli occupanti dell’auto. “Per chi?”; Wallace azzarda una risposta: “Forse per i bugiardi, i tipi creativi, i promotori di campagne pubblicitarie, i potatori alle prese con il grande albero della lingua anglosassone”.
Se non è un parricidio questo, ditemi voi quale altro nome dargli.
Carlotta Susca, nel saggio David Foster Wallace nella casa stregata, rileva una profonda differenza tra Barth e Wallace: “Il primo sembra non perdersi mai davvero nella materia scrittoria [...] mentre Wallace prende la questione molto sul personale. Barth è ancora vivo. Ha sempre avuto ben chiara, evidentemente, la differenza tra la vita e il racconto”. Wallace, invece, si smarrisce per davvero nella Casa, anche quando sembra emulare i giochetti “Guarda, mamma, senza mani!” non si limita mai a questo, li utilizza come una maschera rassicurante, ma l’obiettivo è andare oltre, e ci riesce, dato che ottiene quello che il protagonista del libro (non a caso un arciere/scrittore) sogna un giorno di ottenere: “Mark Nectar desidera, un giorno lontano, dopo esserselo duramente guadagnato, scrivere qualcosa che vi dia una fitta al petto. Che vi trafigga, che vi faccia credere che state per morire. Può darsi che si chiami meta-vita. O metafiction. O realismo. O gfhrytytu. Non lo sa. Si chiede chi cazzo se ne frega, in fondo. Può darsi che non abbia neanche un nome”.
È di questo che Wallace incolpa Barth, del fatto che lui, Barth, finge di perdersi insieme al lettore, ma in realtà, appena entrati nella casa, lui se la squaglia e chiude la porta alle sue spalle lasciando che il lettore se la veda da solo. Ed è per punire questa colpa che ha commesso il fattaccio in questione. Un giudice adesso dovrebbe passare all’esame dell’elemento psicologico che potrebbe fungere da attenuante o da aggravante, a seconda dei casi. Quale era il grado di consapevolezza del nostro autore/imputato? C’è da dire che in un’intervista rilasciata a David Lipsky, l’imputato ha tentato in qualche modo di insabbiare gli indizi e di ristrutturare il tutto, ma la sindrome di autodenuncia da ‘Delitto e Castigo’ sbuca da tutte le parti, e sullo specchio appannato del bagno l’assassino ha lasciato scritto il suo nome: “Ovvero, ci sono certe cose che, a prescindere da tutto, quelle cose non si fanno. Non si uccide il proprio padre [...]. Se non quando è assolutamente necessario. Non si introduce nel proprio corpo a mo’ di carburante una cosa bella, quando l’unico motivo per cui è bella è che sta lì fuori, all’esterno. A quanto pare certe cose stanno nel mondo. Per essere guardate. Non masticate, ingoiate ed espulse”.
È tutto. Mi sembra di avervi fornito elementi che possono tornarvi utili quando farete la vostra scelta. Ora spetta a Voi decidere: entrerete per perdervi o resterete sulla soglia?


 

 

 

David Foster Wallace
Verso Occidente l'Impero dirige il suo corso
traduzione di Martina Testa
Roma, Minimum Fax, 2012
pp. 234

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