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Sunday, 06 July 2014 00:00

“Principessa” di Calligarich ovvero della seduzione

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“Conta soltanto ed esclusivamente lo stile”.
Lo dice Gianfranco Calligarich, al Flep! (Festival delle Letterature Popolari) 2013 (https://www.youtube.com/watch?v=njM6a97_XwI), parlando di Chandler, Sergio Leone e Fellini.
Per lui innanzitutto la parola, la voce che racconta.
“No Cristo voltati e guarda giù. Nessuna responsabilità per come sarebbero andate le cose in quelle tre settimane di nebbia milanese. Solo delle circostanze. Prima regola adeguarsi alle circostanze. Sempre. Per cui inutile andare per il sottile quando le circostanze ti mettono alle corde. Far di necessità virtù. E cercare di uscirne. Qualsiasi il prezzo. Niente altro. E quanto a quelle in questione e da qualunque parte la si guardi, la faccenda, corde, nebbia, un malloppo e il vecchio Comandante Segreto, le circostanze. Con relativo adeguamento. A far di necessità virtù. E fine del discorso”.

Questa è la voce narrante in Principessa (Bompiani, 2013), il suo ultimo romanzo, terzo in un percorso letterario iniziato oltre quarant’anni fa con queste parole: “Del resto è sempre così. Uno fa di tutto per starsene in disparte e poi un bel giorno, senza sapere come, si trova dentro una storia che lo porta dritto alla fine”.
L’ultima estate in città, uscito nel remoto 1973, fu felicemente accolto da Natalia Ginzburg (“la qualità del romanzo è nell’avere illuminato con disperata chiarezza il rapporto fra un uomo e una città, cioè tra la folla e la solitudine”) e da Cesare Garboli. È un romanzo felliniano, dal tono amaro, cupo, su un trentenne solo che cerca di perdersi a Roma (“la città era così vuota che si sentivano i palazzi invecchiare”, p. 62).
Il protagonista di Principessa, invece, è un uomo solo che ‘deve’ perdersi a Milano, per necessità. È un corriere della droga proveniente da Dortmund che, giunto a destinazione, non trova “il Ricevitore”. La città vive una situazione criminale particolare a causa dei russi, lui ha anche un debito con dei biscazzieri. Struttura da noir, tra criminalità, fughe ed altro, ma poi c’è qualcosa che fa implodere il genere.
Si rifugia in una casa, “il nido”, il cui padrone è un uomo che di giorno svolge un lavoro da tecnico, e di notte indossa abiti femminili e se ne va per le strade di Milano. Un travestito di poche parole e con una passione per i film in bianco e nero, Via col vento su tutti. Principessa, così lo chiamano, ha una stanza che tiene sempre chiusa dove c’è un malloppo. Per arrivarci c’è un solo modo: sedurre Principessa, conquistare così la sua fiducia e, al momento opportuno, fare il gran colpo che risolve tutti i problemi.
A questo punto il noir parrebbe diventare “una storia d’amore ai tempi della droga”, come molti hanno detto e scritto. E invece no, l’amore è altro. Questa è la storia di una seduzione, e la seduzione, etimologicamente, è l’atto di “circuire”, “attrarre”, “avvincere”, dal latino sedūcere (“sviare”). Scrive Jean Baudrillard: “Ciò che voglio non è amarti, accarezzarti e neppure piacerti: è sedurti – e non voglio che tu mi ami o mi piaccia: voglio che tu sia sedotto. C’è una sorta di crudeltà mentale nel gioco della seduttrice […]. Tutta la seduzione consiste nel lasciar credere all’altro che è e resta il soggetto del desiderio, senza cadere a sua volta in questa trappola”.
[Della seduzione (1979), trad. it. di Pina Lalli, SE, 1997, p. 91]
Il romanzo, contestualizzato in una Milano nebbiosa, minacciata dai russi e involgarita dal processo di meticciato con i cinesi (“ma come si sa nessuno può essere più entusiasta di essere nato a Milano di un cinese”, p. 17), è incentrato su un gioco crudele e necessario, la seduzione, da cui dipende la vita di chi seduce più della vita di chi è sedotto. Chi seduce è il protagonista, colui che parla.
Ma è proprio nell’egemonia di questa voce che l’opera pare rivelare la sua fragilità: torniamo al discorso posto in principio, e sovviene il dubbio di trovarsi al cospetto di un puro, magistrale esercizio di stile. Una voce ‘straniera’, quasi ‘robotica’, si esprime attraverso una sintassi spezzata, in cui verbi, articoli, pronomi e altre parti del discorso talvolta crepano; non ci resta che la lingua di un uomo gelido, col quale è impossibile qualsiasi forma di empatia, che monopolizza tutto: eventi e personaggi (Principessa su tutti) patiscono il dominio del linguaggio, il lettore percepisce un inesplicabile senso di insoddisfazione. Ma poi, riflettendoci bene, giunge il sospetto che il colpo di coda di Calligarich sia proprio in questo: sedurre il lettore, giocare con lui, per poi abbandonarlo alla crudele raggelante inanità del gioco fine a se stesso.
Principessa è un libro che seduce, e che non si ama.


Gianfranco Calligarich
Principessa
Bompiani, Milano, 2013
pp. 171

Gianfranco Calligarich
L’ultima estate in città
(1973)
Nino Aragno Editore, Torino, 2010
pp. 181

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