“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Sunday, 20 January 2013 09:46

Da dove veniamo, chi siamo, dove andiamo?

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L’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione (ICCD) ha ospitato il 16 e 17 gennaio un convegno dedicato al catalogo nazionale dei Beni Culturali attraverso la implementazione e messa a regime del SIGECweb, acronimo che sta per Sistema Informativo GEnerale del Catalogo generato e fruito su piattaforma web. A vario livello dirigenti e funzionari del Ministero per i Beni e le Attività Culturali hanno ripercorso la storia del catalogo nazionale, le forme che la catalogazione ha assunto, le specificità e criticità del nuovo strumento messo a punto.

Ci si potrebbe chiedere cosa ci fa, in un giornale dedicato a cultura critica e narrazioni, l’eco di due dense giornate che hanno avuto come soggetto non le opere, i monumenti, gli oggetti di antichità e d’arte e nemmeno i beni immateriali, ma piuttosto le forme della loro catalogazione, la loro classificazione all’interno di schemi, la strutturazione delle informazioni relative ad ogni singolo Bene e la definizione del sistema di relazioni tra i Beni. Eppure c’entra. La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura (art. 9 Costituzione), il che significa che è lo Stato nel suo complesso, a tutti i livelli, che deve impegnarsi nella promozione di ciò che non è, non può essere orpello, ma elemento sostanziale dell’identità della nazione. Nazione. Popolo. Sono termini che, ripuliti da ogni connotazione retorica patriottarda, andrebbero indagati e rispolverati, perché essere un popolo, una nazione, è una ricchezza, è l’identità di ciascuno di noi, nella specifica diversità di ciascuno, ma nel quadro di coordinate che potremmo definire di geografia dello spirito.
Il direttore dell’ICCD, Laura Moro, ha sottolineato in apertura che l’informatica può essere un gorgo: ci si addentra in dettagli sempre più tecnici e specifici e talvolta si perdono di vista le premesse. Donde la necessità di alzare lo sguardo e chiedersi se siano ancora valide le premesse che hanno guidato l’azione svolta. È necessario il catalogo del Patrimonio Culturale?
Primo compito dello Stato, per garantire lo sviluppo della cultura, è la tutela delle sue componenti, materiali e immateriali, che costituiscono i Beni Culturali ed il paesaggio. Si difende ciò che si conosce, si perde ciò che si ignora o si trascura perché non se ne conosce l’importanza. Donde il catalogo, la necessità di un Catalogo nazionale del patrimonio culturale. Temi lontani dalla cronaca giornalistica, anche da quella che meritoriamente si incarica di denunciare scempi e abusi del Bel Paese (fin quando riusciremo ad essere tale...). Eppure in questo semplice atto, in queste procedure scientifiche e burocratiche di conoscenza e inventariazione, si gioca la pratica quotidiana della tutela, l’azione di programmazione territoriale, la valorizzazione (anche economica) dei siti. Donde la necessità di interrogarsi sulle modalità della catalogazione, l’approfondimento necessario o la speditività, la necessità della definizione e soprattutto adozione di standard condivisi e questo non per bizantinismo, per discettare di lana caprina (sebbene talvolta ciascuno possa indulgere a specialismi non sempre produttivi), ma perché le scelte di programmazione in questo campo (che si traducono, si badi bene, anche in scelte economiche) determinano e condizionano le forme e i modi di tutela e valorizzazione, nel quotidiano, così come (viepiù) nell’emergenza di calamità naturali (da ultimo il terremoto in Emilia).
Fin qui ciò che già si sapeva. L’aspetto forse più rilevante (al di fuori della cerchia di specialisti che garantiscono con il loro quotidiano lavoro la conoscenza e tutela del Patrimonio Culturale) che è emerso dalla presentazione del SIGECweb è individuato proprio dalla diffusione in rete del catalogo, una volta implementato e messo a regime. Ciò significa che la conoscenza del Patrimonio uscirà dai “sacri recinti dell’arte”, dai particolarismi, ma dovrebbe diventare patrimonio condiviso, nell’ottica open data (dati aperti, dunque pubblici e fruibili), che costituiscono uno dei pilastri dell’agenda digitale europea, sebbene assenti dall’agenda digitale italiana... Accountability, necessità di rendere conto, perché il potere di operare del Ministero (in questo caso il MiBAC), come ha ricordato in apertura il segretario generale, Antonia Pasqua Recchia, risiede nella legge, ma anche nel riconoscimento da parte di tutti che passa anche attraverso l’informazione, la rendicontazione pubblica agli utenti finali del prodotto (in questo caso il catalogo), i cittadini.
Spesso il mondo della cultura pecca di autoreferenzialità, genera fastidio o, nei casi migliori, indifferenza, come se arte, letteratura, storia, fossero elementi inutili, accessori, orpelli appunto, da aggiungere, se del caso, dopo che siano state soddisfatte le altre necessità. Ma se così fosse noi esseri umani saremmo solo un coacervo di cellule che funzionano in maniera complessa, automi funzionali, ma siamo altro, siamo qualcosa di più. Ciascuno di noi, come singolo e in quanto parte di una collettività, è il portato di una storia. Solo la conoscenza delle premesse ci dice davvero da dove veniamo, chi siamo oggi e (forse) in che direzione stiamo andando e se quella direzione non è quella che desideriamo, come singoli o collettività, è possibile tracciare nuovi percorsi, nuove strade perché la storia, se vogliamo, non si ripete.

 

 

Il catalogo nazionale dei Beni Culturali
Roma, Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione – Sala dello Stenditoio
16-17 gennaio 2013

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