“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Friday, 23 May 2014 00:00

Napoli, Fisciano: ore 18.00

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“Se si usa la vita che continua, la tradizione, nel modo
giusto, essa ci può dare le ali. Certo, se ci si ferma al
passato diventa un fatto negativo, ma se ce ne serviamo
come di un trampolino, salteremo molto più in alto che
se partissimo da terra".
                                                (Eduardo De Filippo)


Non deve essere un caso se alla stessa ora dello stesso giorno – giovedì 15 aprile – due diverse maniere di rendere omaggio a Eduardo hanno preso forma, hanno assunto concretezza. Lo spazio laterale di una chiesa e il retro di un teatro d’ateneo; il centro storico di Napoli e l’Università di Fisciano; la ricostruzione arredata del camerino di Eduardo e la distruzione scenica di un interno teatrale e testuale eduardiano.


Napoli, ore 18.00, la mostra. Eduardo: luoghi, vita, opere.
Alla Chiesa di San Giovanni Maggiore c’è il ricordo inteso come sottolineatura materiale di una presenza fisica, storicizzata, concreta, che qui diventa quasi tattile nella possibilità di osservare com’era lo stanzino del Teatro San Ferdinando nel quale Eduardo era solito trattenersi prima e dopo ogni recita, prima e dopo essersi offerto allo sguardo del pubblico, al giudizio della critica, al contatto con la città. Ecco, dunque, quel camerino – “luogo della preparazione e della meditazione, dell’invenzione e della trasformazione” (Giulio Baffi, Sik-Sik l’artefice magico; Guida, 2013) – preceduto da un disimpegno e arredato da qualche gruccia su cui sono appesi gli abiti previsti dall’opera, dalla “piccola toletta” verde acqua con “tre cassetti per lato ed uno più grande” nel centro, da “un grande specchio con le lampade tutt’intorno”, dal “piano coperto con una tovaglietta candida bordata di merletto”. E − ancora − arredata dal piccolo baule bordeaux, dalla cassettiera-valigia con decorazioni a fiori e coi pomelli in ottone, dalla porta di legno scuro sulla sinistra. E, sul ripiano posto davanti alla sedia imbottita: la scatola di fazzolettini, “un paio di forbici per tenere in ordine i baffi, un pettine, un paio di pennellini, i vecchi occhialini con la montatura in metallo” ed un vassoio di porcellana, con dentro le matite necessarie a ingrandire le sopracciglia, a marcare le rughe, ad arrossare il contorno degli occhi, a rendere più vive le labbra. “A sinistra gli stick del fondotinta, la cipria, il borotalco per asciugare il sudore”. Più dietro, le boccette con i medicinali.
Accade così che quel luogo che appartenne a quel tempo ridiventa luogo perché appartenga a questo tempo, rendendo la distanza cronologica una riapparizione possibile, facendo del passato presente, dell’allora un adesso, del già stato un di nuovo.
Riallestendo pareti come fossero quinte, riposizionandovi i mobili e ponendo al centro dello spazio una sedia vuota si compie dunque una scelta solo apparentemente museale nel suo senso più fermo, più immobile e presepiale, mentre invece la ridefinizione dell’ambiente secondo criteri di esatta corrispondenza col reale diventa la premessa di un rito (l’evocazione dell’assente, per il quale si imbastisce il contesto come si deve perché colui che manca torni a rivivere) che ha molto a che fare proprio con la ritualità profano-magico e pseudo-illusiva del teatro eduardiano.
In tal senso vale la pena ricordare Franco Carmelo Greco quando − in Eduardo 2000 − scrive che “la scena di Eduardo non è mai una scena realistica e basta” mentre è, invece, “una scena realisticamente teatrale” nel suo essere falsa ma in apparenza verosimile e verosimile ma senza mai sembrare vera fino in fondo; in cui il trionfo di mobilia, suppellettili, quadri, bicchieri, specchi, vasi ed occhiali dà spessore ad una rappresentazione dell’onirico, in cui il materico serve all’immateriale, in cui ciò che si vede produce visione ulteriore, in cui ciò che si tocca permette di sfiorare con gli occhi l’intoccabile. Ed allora ci piace pensare che il camerino voluto alla Chiesa di San Giovanni Maggiore è una meticolosa scenografia di dettagli, buona a far apparire a chi lo visita lo spettro, il fantasma, l’ombra pallida e chiara, emaciata e sottile dell’Eduardo che fu, perché Eduardo sia in grado d’essere qui, d’esserci ancora.


Fisciano, ore 18.00, il convegno. Eduardo con gli attori: forme della messinscena.
Nel retro del teatro dell’ateneo, con il sipario scuro a fare da appoggio alle schiene degli spettatori, si osserva Fausto Russo Alesi che si muove su due tavole di legno nudo, larghe poco più di due ante d’armadio, tra i pochi oggetti (una tazzina di caffè, un barattolo di colla senza colla, un pennello, uno sgabello, un paio di scarpe da donna) che fanno da scena dissestata, per una suite che è allusione o rimanenza di quel cantiere eduardiano in cui – Alesi – ha dato vita al suo Natale in casa Cupiello al Teatro Nuovo di Napoli, nello scorso mese di ottobre.
“Eccomi a voi. Udrete voci, udrete suoni, udrete canti, udrete spari, fuochi d’artificio che accompagnano il rito natalizio”. Poi: “Atto primo, su il sipario” dice, facendo risuonare la propria voce in questo spazio teatrale che vive oltre lo spazio teatrale: in cui non si fa spettacolo ma rimando allo spettacolo; in cui non si cercano applausi ma si invoca comprensione; in cui si recita non soltanto per recitare ma per condividere le ragioni di una scelta, il coraggio di un’idea, la realizzazione di un azzardo: rendere Natale in casa Cupiello un monologo, ambientato in un interno sventrato, disfatto, distrutto, nel quale rimangono – dell'ideale palco d’origine su cui si muoveva Eduardo – soltanto macerie, scampoli di ciò che è stato abbattuto, qualche raro oggetto impolverato.
Scrivemmo allora ciò che pensiamo ancora dello spettacolo, per cui non occorre ripetersi se non per annessione testuale (http://www.ilpickwick.it/index.php/teatro/item/787-un-altro-eduardo-finalmente).
Ciò che occorre invece sottolineare è l’importanza della scelta operata dagli organizzatori dell’incontro accademico che, evidentemente, premiano la capacità di Alesi nell’aver osato, difacendo il già fatto perché sia possibile rifare davvero.
Perché si comprenda la portata dell'evento e del tema si tenga presente ciò che scrive − in La resistenza a Napoli. Il teatro di ricerca a Napoli dalle origini al terremoto (Bulzoni, 2011) − Marta Porzio: "È Eduardo il rivale numero uno, e non solo per la sua presenza forte dentro e fuori la scena, ma perché non è paragonabile ad altri maestri europei più o meno suoi contemporanei: Stanislavskij, Craig, Mejerchol'd, Brecht, Artaud, Genet, per citare solo alcuni dei padri riconosciuti. Eduardo è reazionario, rispetto alle grandi rivoluzioni teatrali del Novecento il suo teatro è il prodotto dell'arretratezza del teatro italiano ed è, soprattutto, l'espressione più alta del provincialismo napoletano. Perciò i giovani gruppi non lo considerano proprio e se ne vanno decisamente per altre strade".
Dopo la negazione di Eduardo da parte della ricerca teatrale partenopea degli anni Sessanta e Settanta; dopo il superamento che, chi gli è succeduto, ha tentato attraverso il silenzio, la negazione, la rispettosa presa di distanza; dopo aver scelto – a Napoli – di ignorare il maestro cercando così di sopravvivere a lato, altrove, fuori dall’ombra del maestro medesimo e dopo aver, in questo modo, anche contribuito (volontariamente o meno) alla musealizzazione della sua opera – non senza la complicità saltuaria degli eredi – relegando e costringendo il corpus di Eduardo a ripresentazioni tardo-veriste o semplicemente commerciali, tra scimmiottature gestuali e tentativi di rassomiglianza fisico-vocale, ecco che un giovane attore siciliano, partendo da un palco milanese, giunge in città offrendo il proprio tentativo: con tutto il rischio, con tutto il merito.
Giunge dopo il fiorentino Carlo Cecchi, che ha "eduardalizzato" spesso le proprie interpretazioni ed il proprio teatro, avendo dato pari importanza all’incontro con Eduardo e a quello con il Living per la propria formazione attoriale.
Giunge dopo Leo de Berardinis, nativo di Gioi, che con Ha da passà ‘a nuttata ha posto in relazione Eduardo con Beckett ed entrambi con la beat generation, il jazz, la pop art, l’arte tonale e cromatica.
Giunge dopo Cecchi e de Berardinis, Fausto Russo Alesi, e – pur non avendo ancora maturato la stessa profondità di relazione, forse – giunge a rivendicare una libertà di cui da tempo si sentiva l’esigenza: provare a recitare (to play) Eduardo attraverso l’atto di giocare (to play) con Eduardo; provare a rapportarsi a Eduardo come ci si rapporta agli altri grandi autori che hanno preceduto Eduardo; provare a pensare a un Eduardo dopo Eduardo, a un Eduardo oltre Eduardo, a un Eduardo senza Eduardo.
Ed è probabilmente per dare forza e sostegno, conforto ed incitamento, a questa necessaria innovazione della tradizione che – chi ha voluto discutere delle forme assunte dalle messinscene eduardiane – ha pensato di offrire a studenti e osservatori, a studiosi e critici, proprio il lavoro di Alesi, in cui rispetto della norma diventa violazione della norma; principio che permette l’uso di reperti scenici all’interno di un ambiente dissolto; che permette l’evocazione memoriale plurima per mezzo dell'assolo attoriale; che permette una polifonia caratterizzata, ma mai travestita, attraverso l'ostentazione scenica di un corpo in solitudine, perché sia più forte la resa di quella comune solitudine di cui sono ammalati tutti i personaggi che abitano la casa di Luca Cupiello.

Nello spazio laterale di una chiesa e nel retro di un teatro d’ateneo, dunque. Alla stessa ora dello stesso giorno, in due luoghi diversi, in due maniere differenti.
Così è tornato Eduardo.

 

 

 

 

NB. Le immagini della mostra Eduardo: luoghi, vita, opere, poste a corredo dell'articolo, sono di Paolo De Luca
(fonte: http://napoli.repubblica.it/cronaca/2014/05/16/foto/eduardo_ecco_il_suo_camerino_come_era_al_teatro_san_ferdinando-86334206/1).
Le immagini relative a Natale in casa Cupiello di Fausto Russo Alesi fanno riferimento alla messinscena e sono ad opera di MasiarPasquali.

 

 

 

Eduardo: luoghi, vita, opere
a cura della Fondazione Ordine Ingegneri di Napoli
con la collaborazione della Fondazione Eduardo De Filippo
ricostruzione del camerino ad opera di Bruno Garofalo
Napoli, Chiesa di San Giovanni Maggiore, 15 aprile-29 giugno 2014


I giorni e le Notti: l'Arte di Eduardo
a cura di Roberto De Gaetano e Bruno Roberti
Eduardo con gli attori: forme della messinscena
moderazione a cura di Stefano De Matteis
interventi di Anna Barsotti (Le voci di dentro: Eduardo e dopo); Dario Tommasello (Eduardo e Ruccello); Maria Procino (Eduardo... e gli archivi raccontano)
e a seguire Suite per Eduardo. Rileggere Natale in casa Cupiello
di e con Fausto Russo Alesi
introduzione a cura di Antonia Lezza
Fisciano (Salerno), Aula Imbucci e Teatro d'Ateneo/Università degli Studi di Salerno, 15 aprile 2014

 

 

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