“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Wednesday, 14 May 2014 00:00

Fratelli in Italia

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“La legge 91 del 1992 indica il principio dello ius sanguinis come unico mezzo di acquisto della cittadinanza a seguito della nascita, mentre l'acquisto automatico della cittadinanza iure soli continua a rimanere limitato ai figli di ignoti, di apolidi, o ai figli che non seguono la cittadinanza dei genitori. […].  La 'naturalizzazione' […] comporta non una concessione automatica del nuovo status ma una valutazione discrezionale da parte degli organi e degli uffici statali competenti”.

 

C’è bisogno di soffermarsi sullo stato attuale delle cose per fare il punto della situazione di una questione che sta assumendo in questi anni consistenza sempre maggiore: la mancata applicazione della cittadinanza italiana ai figli degli stranieri residenti in Italia, ragazzi che frequentano le scuole italiane, che parlano italiano (e anche i dialetti), che sono a tutti gli effetti simili ai loro coetanei nati da genitori italiani. Sono ragazzi che potranno ottenere la cittadinanza del nostro Paese solo dopo averla richiesta esplicitamente una volta divenuti maggiorenni, e in tempi mai immediati. Un serio problema per chi ambisce a ricoprire ruoli o mansioni destinate a chi è già italiano d.o.c., per chi si vede discriminato in base a una legge nata e mantenuta sul timore di dover condividere i privilegi e le tutele della cittadinanza con masse di “invasori” intenti a colonizzarci.
Argomento che non poteva passare inosservato alle istanze testimoniali del documentarismo nostrano, attento – e presente come non mai in questi ultimi anni – nel denunciare piccole e grandi disfunzioni, drammi privati sempre legati ad un contesto pubblico. Quale miglior metodo per illustrare tale arbitraria ingiustizia se non quello di seguire le storie di immigrati della generazione 2.0 perfettamente integrati nella realtà sociale italiana? Non tutte le differenze culturali (almeno delle famiglie di origine) devono servire da pretesto per problematizzare e drammatizzare le vite di questi ragazzi quando vengono narrate al cinema (ad esempio come in Alì ha gli occhi azzurri di Claudio Giovannesi). La realtà è quella di migliaia e migliaia di giovani, studenti e non, privati del riconoscimento di una parte fondamentale della loro identità, quella pubblica.
Il futuro è troppo grande sceglie la strada di seguire due giovanissimi romani dalle origini asiatiche: Re Salvador e Zhanxing Xu. Il primo è nato in Italia da genitori filippini, si è diplomato e sogna di fare l’attore. Nel frattempo pratica l’hip-hop, insegna danza ed aiuta i genitori in un’attività di import-export. Il padre è anche responsabile di un ufficio del comune capitolino per la mediazione culturale. La seconda è nata in Cina ed è giunta in Italia dopo alcuni anni. Vive con genitori e nonni materni, si è laureata e vuole perfezionarsi nella lingua dei suoi. La famiglia di Re si è fatta filmare senza problemi, i genitori di Zhanxing non hanno mai concesso di venire ripresi. Questo per dire che la denuncia non esaurisce l’istanza narrativa del documentario ma ne costituisce solo lo spunto. I due ragazzi sono seguiti nella loro quotidianità, in famiglia, tra gli amici, adottando un’ottica che poco concede alle pretese arty di alcuni doc italiani.
Le storie si intervallano con alternata regolarità. L’obiettivo degli autori lascia anche spazio alle riprese che i due giovani realizzano con videocamere leggere loro affidate: la produzione non poteva permettersi di seguire Zhanxing in Cina (dove rimarrà per sei mesi per perfezionarsi nella lingua madre di cui ha trascurato la grammatica) e così ha fatto di necessità virtù, lasciando che gli osservati divenissero a loro volta osservatori. Le differenze caratteriali si riflettono in quelle di ripresa: più consapevole delle proprie capacità istrioniche Re, che spesso parla in macchina o riprende la sua fidanzata italiana; più composto lo sguardo di Zhanxing sugli ambienti della città di origine, nel documentare i luoghi della sua infanzia che ormai rivive mediati dallo strumento e che irrimediabilmente sente come non più suoi. Una mediazione che nasce dal suo sentirsi in fondo come italiana: e per le autorità non è abbastanza cinese da godere di agevolazioni all’università. Re canta anche due pezzi suoi che contribuiscono ad una colonna sonora non solo hip-hop, ma immersa in tenui e frizzanti melodie indie-folk (tre brani appartengono al duo di Minneapolis Bella Ruse), tra ballad elettriche su guizzanti basi ambient (come nel brano a firma del francese Benoît Guchet sotto il moniker di Fairy Tales In Yoghourt) ed emuli del Neil Young più indolente (Cellar Boy del rocker cinese conosciuto come Lonely Planet Boy 1969).
I registi scompigliano la linearità degli eventi (il montaggio è il risultato di riprese che coprono un periodo di due anni) per informare al minimo la materia ottenuta dall’incastro di riprese professionali ed amatoriali. Interessante esperimento di autenticazione dello sguardo questo di rendere i protagonisti costruttori di una presa di coscienza circa l’essere dei connettori culturali (loro malgrado), nella ricerca di una identità personale prima che sociale (ed etnica). Peccato che le inevitabili differenze tra le auto-testimonianze trovino una coesione in una “cornice” eccessivamente discreta, timorosa di sottolineare situazioni emotivamente forti.
Notevole intento quello di fuggire le tentazioni melodrammatiche, ma la messa in scena rischia così probabili difficoltà di attenzione. Ma almeno un altro merito va ascritto a Giusy Buccheri e Michele Citoni: quello di aver realizzato un valido esempio di crowdfunding con il coinvolgimento di ben 254 appassionati finanziatori (oltre ai “produttori dal basso” il tutto è stato realizzato da Griò Sinergie Culturali, dai due registi e dal Centro Produzione Audiovisivi dell’Università Roma Tre).

 

 

 

 

 

 

 

 

Il futuro è troppo grande
regia
Giusy Buccheri, Michele Citoni
con Re Salvador, Zhanxing Xu
immagini e suono Giusy Buccheri, Michele Citoni, Marco Leopardi
montaggio Andrea Ciacci
sound design Gianluca Stazi
musiche brani di repertorio
produzione Grió Sinergie Culturali, Giusy Buccheri e Michele Citoni, Centro Produzione Audiovisivi Università Roma Tre, 254 “produttori dal basso”
paese Italia
lingua originale italiano
colore a colori
anno 2014
durata 79 min.
Mercogliano (AV), Teatro 99 Posti, 4 maggio 2014

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