“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Saturday, 10 May 2014 07:08

Il non-sense così pieno di senso

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Il piccolo palco dell’Arcas si presenta già parzialmente illuminato da tre fasci di luce che colpiscono un letto posto orizzontalmente al centro, verso lo sfondo, su cui spicca una coperta multicolore di quelle che le mamme di una volta facevano all’uncinetto. Il secondo fascio di luce illumina un vaso con grossi fiori su una piantana e il terzo un piccolo sgabello al limite del proscenio con una statuina della maternità ed una piccola orribile lampada a forma di uovo fosforescente che cambia colore. Un’altra piantana posta accanto al letto presenta un piccolo vaso con fiori bianchi, mentre a destra vi è solo una semplice sedia.

La curiosità che subito si accende è per quelle sagome di orme bianche poste sull’assito nero che usano i ballerini per memorizzare i passi di danza.
Entra il protagonista Graham, vestito in marrone con le bretelle, sguardo assorto, attento a schivare le sagome che seguono il percorso dalla porta sulla destra, una quinta, alla camera da letto. Fa gesti lenti, ripetuti leggendo un passo di Esaù dove si parla di un fratello peloso e di un altro glabro. La situazione narrativa, dunque, si presenta paradossale fin dall’inizio. La patatina nello zucchero è un testo di Alan Bennett, drammaturgo inglese molto rappresentato per la capacità di cogliere l’assurdo che caratterizza la vita dell’uomo, i paradossi così naturali dell’esistenza con una leggerezza ed uno humour tipicamente britannico. Stefano Jotti, con una mimica facciale eccezionale, nel suo monologo alterna il ruolo di Graham a quello della madre, del corteggiatore di lei, della figlia di lui Pamela, del medico del centro di igiene mentale e dei suoi pazienti. Graham racconta la sua quotidianità, il suo rapporto esclusivo con questa madre ”mammina” che ci immaginiamo fisicamente come la Regina madre, ossessiva e castrante, sufficientemente egoista e svagata. Un giorno i due incontrano un vecchio corteggiatore della madre, Mister Turbull, strambo ometto che con i suoi modi rozzi travolge la madre ottantacinquenne di Graham invitandola da quel momento a cene e gite fino a proporle il matrimonio. Già dal primo incontro tra i due, Graham intuisce l’assurdità di quella situazione, ma lui non dice mai niente, “non dico niente”, come ripete spesso. Mr. Turbull li porta in un locale “volgare” perché tutto è rosso, colore reputato tale da madre e figlio, dove servono cibo spazzatura. La madre sembra non dare peso a quello che sta accadendo, ma Graham sì, nota subito sul tavolo una patatina abbandonata nello zucchero. Quella sciatteria può spezzare il legame morboso che ha con la madre e respingerlo ad una triste solitudine. Le fobie di Graham si accentuano in modo direttamente proporzionale all’evolversi della storia d’amore tra la madre e l’ometto, le sue uniche evasioni saranno le riviste con uomini nudi e piccoli passi di danza su musiche latine seguendo le tracce bianche segnate sull’assito.
Graham è un grande affabulatore, riflette sulle usanze di cremare i defunti e spargerne le ceneri sui campi da golf, sui preti che non credono in Dio ed altre situazioni paradossali. Da queste affabulazioni scopriamo chi è Graham: un disadattato con problemi psichici ossessivo-compulsivi, vissuto in un centro di igiene mentale dove la madre, dopo il matrimonio, vorrebbe riportarlo. Eppure, pur con questa patologia, Graham è intuitivo, semplice, buono e modesto ed aiuterà la madre a consolarla quando la figlia di Turbull, Pamela, rivelerà che suo padre non è vedovo, ma sposato con sua madre sulla sedia a rotelle. Passata la delusione, tutto tornerà come prima, in quel microcosmo così alieno dalla “normalità” del mondo esterno, dove regnano le bugie, l’arroganza. Il mondo fatuo fatto di persone fatue.
Si sorride amaramente in questa pièce, soprattutto nel finale quando Graham paragona la vita ad una scatola di sardine senza la chiave per aprirla. Qualcuno questa chiave la possiede e la apre, ma c’è sempre in un angolo una sardina che non si stacca. Così è la vita, con un pezzo di sardina nell’angolo del cuore e quando viene voglia di dire basta, si prende il passo di Esaù e si legge del fratello peloso. Un non-sense pieno di humour, pregno di senso.

 

 

 

 

Una patatina nello zucchero  (A Chip in the Sugar)
tratto da
tre monologhi di Alan Bennett
adattamento, regia e interpretazione Stefano Jotti
aiuto regia Renato Carpentieri
produzione Imprenditori di Sogni
lingua italiano
durata 1h
Napoli, Circolo Arcas Teatro, 8 maggio 2014
in scena dall’8 all’11 maggio 2014

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