“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Thursday, 08 May 2014 00:00

Se questo è un brigante

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Il palco del Teatro Verdi è molto grande, occupato nella sua interezza, sullo sfondo, da sei gabbie sottili stilizzate sormontate da una piccola luce posta in alto. A sinistra vi è una grossa sedia stile impero rivestita di nero. Sulla destra vi sono tre musicisti che intrecceranno le note ai fili narrativi raccontati dagli attori che, all’apertura del sipario, sono già quasi tutti sulla scena indossando pantaloni neri e camicia bianca. Per tutto lo spettacolo, però, sarà il nero a dominare come una cappa funebre, come l’abito amplissimo indossato dall’unica silenziosa figura femminile (Mirela Karlika) che coprirà i diversi ruoli simbolici della Coscienza, della Saggezza, dell’Angelo della Morte.

Briganti è la storia corale del popolo meridionale dopo l’annessione del Regno delle Due Sicilie allo Stato sabaudo piemontese. Il filo conduttore è la voce narrante di un brigante come tanti, giovane e contadino, in prigione condannato per ribellione armata contro lo Stato costituito. Nella sua ultima confessione-monologo la sua storia si intreccia con quella di altri briganti, alcuni posti nelle gabbie, altri al di fuori di esse. Questi hanno un nome e un cognome, una vita, dei sogni, ma per il neonato Stato italiano sono malfattori della peggior specie. È la “storia di delitti di sangue, di fatti inauditi tra popoli civili” liberamente tratta dal romanzo Il custode del museo delle cere dello scrittore lucano Raffaele Nigro. Questi contadini, dopo aver servito “'o RRe Francischiello” non si arruolano nel nuovo esercito italiano, ma ritornano a spaccarsi la schiena sulla loro terra rendendola fertile per poter sopravvivere e pagare le tasse sempre più numerose ed inique dello Stato. Erano tutti in buona fede quando si sono ribellati a queste vessazioni, “ho provato a rubare un futuro ma ho trovato la prigione”.
L’intreccio narrativo a più voci si arricchisce di vari filmati proiettati su un piccolo schermo in alto a destra, volti in bianco e nero che raccontano di questi soprusi, della rassegnazione, della violenza della rappresaglia statale. Tutta materia incandescente che oggi alimenta il mito del separatismo meridionale quasi magnificando la realtà borbonica, ma fortunatamente di tutto ciò non vi è traccia in questo lavoro perché il focus registico è concentrato sulla delusione storica meridionale a cui nessuno ha posto mai rimedio. Una lotta per la libertà esistenziale prima ancora che politica.
Il Potere, la Chiesa, le Massime istituzioni si incarnano in un’altra figura silenziosa vestita di rosso, con mantello e corona sormontata da una croce. Il suo ruolo, presente eppure distaccato, è affidato allo stesso costumista, Angelo Antelmi, che si siede sulla sedia-trono e poi si muove sulla scena lentamente con grazia e leggerezza. Tutti i movimenti sulla scena sono, infatti, misurati, calibrati sulla speranza delusa di una libertà che non ci sarà, sull’amara constatazione che la Storia viene scritta dai vincitori e che ai vinti toccherà scriverla nei romanzi e nei testi teatrali. Il tono narrativo di questa storia corale sarebbe potuto facilmente scivolare nell’invettiva, ma alcuni intermezzi ironici hanno alleggerito la tensione. Il primo è la proiezione di un filmato che racconta sotto forma di fumetto come si è svolta l’annessione del 1860 e la descrizione dei vari personaggi che hanno fatto l’Italia. Lo speaker ricorda un telecronista sportivo che ironizza sui nostri cosiddetti “eroi”. Il secondo momento è ispirato a quando lo Stato italiano costruisce una campagna denigratoria contro i briganti per giustificare la ferocia della sua repressione. Come accadde per i nativi americani sterminati dagli Europei, anche i briganti sono “dipinti” (cioè vi è un pittore sulla scena che dipinge il volto di un brigante posto dietro una cornice) come criminali basandosi sulla antropologia anatomica-culturale. Lombroso docet.
Altro momento è dato dalla simulazione della danza delle spade (guidata da Davide Monaco) che vuole aggiungere un altro momento narrativo alla storia del Sud. Questa si chiude con un inno all’Amore che è la migliore delle medicine, che brucia e guarisce, purtroppo usata così poco. Tre personaggi sul finire dell’azione vestiti come burattini, con il naso lungo come Pinocchio ed i berretti bianco, rosso e verde raccontano di uno Stato bugiardo che ha manovrato il popolo in una storia più grande di lui. Mentre il coro polifonico della Basilica di Oria occupava la parte destra del palco e cantava il Lacrimosa dal Requiem di Mozart, il protagonista-voce narrante terminava la sua vita tra le braccia nere dell’angelica Morte. Poco prima sul palco era salito Fabrizio Cito recitando il monologo del discorso di Bob Kennedy del 1968 tenuto all’Università del Kansas. Il valore aggiunto a questa rappresentazione è data dagli attori e dal progetto. Infatti solo tre sono attori professionisti: Marcantonio Gallo, Mirela Karlika e Salvatore Buonomo. Tutti gli altri, a parte Antelmi, Cito e il Coro, sono ospiti della Casa Circondariale di Brindisi che da due anni seguono, con una passione che ora mostra i suoi splendidi frutti, il progetto “Dentro/Fuori” finalizzato al recupero sociale dei giovani detenuti portato avanti dal TeatroDellePietre di Marcantonio Gallo e Fabrizio Cito. Attori bravissimi, intensi, convinti di aver trovato nella storia del loro Paese, la Loro Storia.

 

 

 


Briganti
di
Marcantonio Gallo, Fabrizio Cito
liberamente ispirato ad un racconto di Raffaele Nigro
regia Marcantonio Gallo, Fabrizio Cito
con Marcantonio Gallo, Salvatore Buonomo, Stefano Lanzo, Vladimiro Spalanzano, Mirela Karlika, Aronne Renzullo, Memli Murrizi, Vitantonio Palmitessa. Ivan Pedone, Sergio Pentassuglia, Mauro Iaia, Lo Chaembacke, Francesco Barnaba, Oronzo Ciracì, Prince Ogho Go.
musiche eseguite da Giancarlo Pagliara, Luciano Gennari, Alessandro Muscillo, Coro polifonico di Oria diretto dal Maestro Mauro Mattei
costumi Angelo Antelmi
produzione TeatroDellePietre, Casa Circondariale di Brindisi
con il patrocinio di Ministero della Giustizia, Fondazione Nuovo Teatro Verdi di Brindisi, Ufficio del Garante dei detenuti in Puglia, Direzione della Casa Circondariale
lingua italiano
durata 1h 30’
Brindisi, Nuovo Teatro Verdi, 3 maggio 2014
in scena 3 maggio 2014 (data unica)

 

 

 

 

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