“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Monday, 05 May 2014 00:00

Danza alla rovescia: dramma di un corpo

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Qui suis-je, d’où je viens?
Je suis un corps.

Nella sala d’aspetto del Teatro della Contraddizione di Milano osservo l’ambiente circostante: foto, libri e manifesti. All’angolo, una macchinetta del caffè. Sorseggio la mia bevanda calda in tutta tranquillità quando dal telone che apre sul teatro entra in sala un attore vestito di bianco, che si para davanti ai presenti chiedendo loro di imitare un suo gesto; ciò compiuto, dona loro un biglietto con sopra scritta una frase. A me è capitata questa: “Basterebbe una semplice parola senza importanza per essere grande”.
Lo spettacolo si chiama Danza alla rovescia, ideato dal regista Gaddo Bagnoli e interpretato dall’attrice Claudia Franceschetti. La compagnia milanese si chiama “Scimmie nude” e si è costituita nel 2003.

Dal manifesto redatto dal regista leggiamo:
“Credo oggi più che mai la scena teatrale debba essere un luogo dove riscoprire e indagare con coraggio le radici della nostra umanità. […] Il nostro lavoro non è naturalistico, né psicologico e non progetta le intenzioni; è invece una tecnica di concentrazione del lavoro sull’interiorità dell’attore che si sviluppa ed amplifica grazie al movimento ed alla voce. L’attore deve mettere a nudo se stesso e creare una forza dalla paurosa difficoltà nella quale si trova lavorando sulla sua intimità. […] Non esiste intrattenimento e nemmeno rappresentazione in senso classico, esiste solo la necessità inevitabile di ‘dire’ e ‘fare’ ciò che il corpo, il cuore, la mente non possono più tenere nascosto, celato dalla propria coscienza superficiale: educata, sociale, perbenista, tranquillizzante”.
Le “Scimmie nude” si ispirano alle più avanzate tecniche di recitazione teatrale del ‘900: il teatro fisico di Jerzy Grotowski, la pratica d’uso dei centri ideata da Georges Ivanovič Gurdjieff, la Biomeccanica di Mejerchol’d e, infine, traggono ispirazione dall’opera scientifica del filosofo Wiliam James. Ma il principale ispiratore della poetica della compagnia è Antonin Artaud col suo “Teatro della Crudeltà”:
“[…] Crudeltà intesa in senso lato e non nell’accezione fisica e rapace che di solito le si attribuisce, ma come qualcosa di estremo, di totalizzante, nel bene e nel male. Dal punto di vista dello spirito, crudeltà significa rigore, applicazione, e decisioni implacabili, determinazione irreversibile, assoluta. Il teatro delle Scimmie Nude esige una crudezza dell’attore verso se stesso. Egli apre il suo cuore con onestà e purezza nei confronti del suo pubblico, che segue senza respiro la sua sconcertante sincerità. L’attore graffia il cuore dello spettatore attraverso la sua apertura intima teatralizzandola, diventando sulla scena il tormento di se stesso: sia comico che tragico”.
Entrata nella sala, noto che non c’è divisione tra scena e spettatori. Non c’è una platea né un palco sopraelevato. La scenografia è inconsueta: il colore dominante è il bianco avorio, vi sono un letto inizialmente posto in orizzontale, una sedia ed un secchio; dal soffitto calano degli elastici ai quali l’attrice si legherà durante alcuni momenti della messa in scena. Il décor è in realtà un non-luogo, che ricorda però la stanza di un manicomio e, idealmente, quella in cui è stato segregato Artaud.
Mi trovo a pochissimi metri dal luogo scenico e, memore del precedente incontro con l’attore, prevedo che l’interazione tra attrice e pubblico sarà forte: quest’ultimo verrà infatti interrogato, chiamato direttamente in causa, scosso nei nervi e nel cuore, come direbbe Artaud.
Il teatro delle “Scimmie Nude” – come del resto quello di Artaud – mira a colpire fortemente lo spettatore, nello spirito come nei sensi, al fine di portarlo a una lieve modificazione nella sua coscienza individuale. È un teatro che smuove, che porta ad una riflessione profonda, al di là del bene e del male.
Lo spettacolo Danza alla rovescia è ispirato al testo di Artaud ed è un monologo, fatto di voce ma soprattutto di corpo. Esso svela gli impulsi più intimi e nascosti del corpo-attrice, davanti ad un pubblico incredulo e sbalordito che segue a fiato corto il suo liberarsi dalla tirannia del razionale, del logico, da ogni condizionamento psichico e sociale. Così, l’attrice dà pienamente voce al suo corpo che si esprime senza freni in tutta la sua potenza e in tutta la sua irruenza.
Il suo è un tentativo di rinascere attraverso una ri-scoperta più diretta del corpo. La ricerca della perduta unità con il proprio intimo, l’interrogarsi sulla vera natura dell’uomo e delle cose che lo circondano sono centrali nello spettacolo.
Intervallati da momenti di libera espressione del corpo e di forte ironia – fondamentale nella poetica della compagnia – ci sono momenti di intensa riflessione. La confessione di un dramma profondo, di una disperata ricerca di sé, di un senso dell’esistenza.
Vi è anche la messa in discussione di alcuni assiomi fondamentali della vita umana: l’oggetto e il soggetto, il significato e la forma, lo spirito e il corpo e, soprattutto, il linguaggio.
Il segno, l’associazione arbitraria tra significato e significante, è sovente eliso per lasciare spazio al ritmo del corpo; ma anche al suono, che mira a far emergere i lati più inconsci dell’attrice e dello spettatore. È un linguaggio che è poesia del corpo in continuo dinamismo. La voce fa da scena al corpo che è il vero protagonista dello spettacolo. Lo spettatore vede dimenarsi sotto i suoi occhi, la phonè del corpo.
Per Artaud è infatti necessario un “linguaggio concreto, destinato ai sensi e indipendente dalla parola, che soddisfi innanzitutto i sensi, perché esiste una poesia per i sensi come esiste una poesia per il linguaggio […] tutto questo ammasso compatto di gesti, segni, comportamenti, sonorità costituiscono il linguaggio della realizzazione e della scena, questo linguaggio sviluppa tutte le possibili conseguenze fisiche e poetiche; su tutti piani della coscienza e su tutti i sensi”.
In Danza alla rovescia l’uso del linguaggio, o meglio, del non-linguaggio, è analogo: tutto è volto a suscitare forti sensazioni nello spettatore, la comunicazione è fondata su percezioni fisiche ed emotive.
E io, noi, gli spettatori, siamo trascinati nel turbine di questo uragano di suoni, rumori, movimenti.
Quasi fossimo anche noi lì legati a quegli elastici della scena, trascinati dal riso al tragico, dal silenzio al rumore, in una continua e sospesa tensione tra corpo e spirito, gesto e parola.


Abbiamo intervistato l’attrice Claudia Franceschetti.
Vorrei partire da una questione prettamente personale. Un ruolo come quello che tu hai affrontato, porta con sé, credo, un intenso sforzo attoriale. Che cosa ha significato per te questo spettacolo, quale è stato l’impatto che ha avuto su di te come persona e come attrice?
Danza alla Rovescia è sicuramente un momento importante per tutti noi della compagnia “Scimmie Nude”: innanzitutto perché è il primo monologo che abbiamo mai affrontato e in secondo luogo perché abbiamo lavorato su Artaud, da sempre il nostro maestro di carta.
Di conseguenza, ho sentito molto il peso di questa responsabilità, ma il lavoro fatto fianco a fianco con Gaddo Bagnoli, il mio regista, e il supporto avuto dai miei colleghi Andrea Magnelli e Marco Olivieri, mi ha permesso di affrontare con grande serenità e riconoscenza il percorso creativo.
Nel nostro teatro l’approccio alla scena e lo stare in scena sono sempre molto lucidi, non c’è un annegamento emotivo o un coinvolgimento psicologico; cito Gaddo Bagnoli: “Esigo dai miei attori una crudezza verso se stessi, una totale apertura del loro cuore, con onestà e purezza, una sconcertante sincerità che il pubblico possa seguire senza respiro. I miei attori diventano sulla scena il tormento di loro stessi” … ecco… questa è stata la mia sfida! Cercare di entrare in vibrazione con il mio corpo e la mia voce, con lo spazio, il silenzio, il respiro e il cuore del pubblico, ogni sera, per ogni frammento dello spettacolo.
Ora vorrei passare ad un aspetto tecnico dallo spettacolo: la scenografia. Qual è, ammesso e non concesso che ci sia, il significato degli elastici con i quali ti leghi? Di primo acchito, si potrebbe pensare che siano sinonimo di imprigionamento, in realtà, quando ti leghi ad essi, il corpo trova la massima libertà espressiva. Come mai questa scelta?
L’immagine che arriva nel momento in cui ci si pone davanti alla scena di Danza alla Rovescia è quella sicuramente di un non ben identificato luogo di restrizione o costrizione, forse una stanza di ospedale o manicomio… tutti gli elementi in scena lo fanno pensare: un letto in ferro, uno sgabellino, un secchio e otto elastici, qualcuno li ha chiamati “cinghie elastiche”… il che ancora di più richiama il costume che indosso, che ricorda una bianca divisa ospedaliera/camicia di forza.
A questi elastici mi appendo, mi attacco, mi aggrappo, mi costringo, mi tiro, mi imbriglio, mi lascio muovere facendomi marionetta di me stessa, è vero… ma poi anche con essi rimbalzo, mi sospendo, vibro, sollevo, faccio volare, lancio e con essi mi muovo con volontà precisa… Ad un certo punto il testo dice: “Vedrete il mio corpo attuale andare in frantumi e ricomporsi, un corpo nuovo”: l’ordine delle cose, degli oggetti, il loro senso, le loro funzioni possono essere sovvertiti e rovesciati.
Ho letto che uno dei principali ispiratori della vostra poetica è Antonin Artaud, in particolare il suo “Teatro della Crudeltà”; e ho visto come in Danza alla rovescia l’interazione con il pubblico sia molto forte. Come vivi questa “crudeltà” nei confronti di te stessa e degli spettatori?
È bene forse chiarire prima cosa si intende per Crudeltà e qui cito ancora Gaddo Bagnoli: “Antonin Artaud è da sempre stato il principale ispiratore per la poetica, per la tecnica e per la drammaturgia della compagnia. E in particolare il suo lavoro sulla Crudeltà. Crudeltà non intesa nell’accezione fisica e rapace che di solito le si attribuisce, ma come qualcosa di estremo, di totalizzante, nel bene e nel male. Dal punto di vista dello spirito, crudeltà significa rigore e determinazione irreversibili, assolute”. Ci vuole un grande impegno e una grande volontà per riuscire ad arrivare al pubblico come piace a noi, con una onestà e limpidezza disarmanti, assolutamente diretti, da cuore a cuore, senza interpretazioni, giustificazioni o psicologismi… e sì, questo vale sia nei confronti del pubblico che  di me stessa… riuscire a radicarsi alla propria intimità e renderne non solo testimoni, ma anche compartecipi, gli spettatori, è uno sforzo, una missione che non lascia scampo… nel bene e nel male.
C’è una scena dello spettacolo che mi ha particolarmente colpita: quella in cui giri intorno alla sedia, pronunciando parole e facendo movimenti che rimandano all’universo degli incantesimi e dei rituali magici. La mia intuizione è corretta? Credi che esista un rapporto tra magia e teatro?
Nella poetica e nella filosofia di Artaud la ritualità e la magia, come la religione, sono temi molto presenti; in Danza alla Rovescia ci siamo concentrati esclusivamente sul rapporto tra anima e corpo ma in quel momento specifico dello spettacolo la volontà era proprio quella di richiamare l’immagine del rito attraverso la frammentazione delle parole: le parole perdono di senso e diventano una giustapposizione di sillabe, accordate in una scansione ritmica precisa, diventano semplicemente parole che si fanno corpo e materia e insieme agli oggetti (come lo sgabellino appeso intorno al quale giravo) evocano altro da sé, un altrove: si passa così dal reale all’irreale.
E, a prescindere da Danza alla Rovescia, il Teatro è di per sé un rito, un luogo in cui l’invisibile prende forma… e quindi, in questo senso, è il luogo più magico che esista!
In ultima istanza, volevo interrogarti sul significato della scena finale dello spettacolo, quella nella quale ti stendi e ti addormenti, dicendo “noi non siamo ancora nati”, se la memoria non mi inganna. Se è lecito interpretare, io ho pensato che volessi significare una sorta di pacificazione finale dei sensi e dello spirito, una ritrovata unità nell’essere. Cosa ne pensi?
Tutto lo spettacolo verte sulla dualità conflittuale tra corpo e spirito, il fuori e il dentro, il reale e l’irreale, il desiderare e il volere; sullo scontro tra organi e funzioni contro la volontà; e alla fine la speranza di pacificazione sta proprio nella sola volontà del corpo, della carne, dei muscoli, una volontà di resistenza quotidiana, con “il proprio corpo, così com’è”. C’è un tempo che è stato, che sarà di nuovo o che ancora non è stato: “Ricordatevi il tempo in cui l’uomo era un albero, albero di volontà” … è una danza del corpo alla rovescia, all’indietro e allora sì, “non siamo ancora nati, non siamo ancora al mondo, non esiste ancora il mondo”.



 

 

 

 

Danza alla rovescia
uno spettacolo di
Gaddo Bagnoli
con Claudia Franceschetti
musiche originali Sebastiano Bon e Francesco Canavese
costumi Ilaria Parente
realizzazione scenografica Andrea Cavarra
foto Margherita Busacca
durata 45’
organizzazione generale Scimmie Nude
produzione Scimmie Nude 2014
Milano, Teatro della Contraddizione, 19 aprile 2014
in scena dal 9 al 24 aprile 2014

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