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Monday, 05 May 2014 00:00

Biografia di un amore infinito

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Con il teatro, il movimento si sveste dei suoi connotati puramente fisici e meccanici. Diventa linguaggio, si carica di elementi che reinventano, rielaborano i consueti codici interpretativi. Sulla scena, ogni gesto eseguito va oltre l'immediatezza della parola, la quale si esaurisce quasi del tutto nel momento in cui essa viene pronunciata. La danza ha infatti una carica di trasmissione che prolunga o interrompe l'attimo performativo, raggiunge e permea la memoria sfruttando la totale comunicabilità dei sensi umani.

Tutto questo accade se si assiste a quelle rappresentazioni di teatro e danza che puntano sull'accessibilità, o meglio sulla capacità di rendersi facilmente leggibile. Non si parla di distinzione tra danza narrativa, astratta, concettuale o psicologica che sia, ma bensì di scelte propriamente coreografiche, il più delle volte estremamente semplici e per questo spesso ritenute impensabili o prevedibili, quando in realtà drammaturgicamente sono le più adatte, poiché le più dirette, ed il pubblico non può che apprezzarle. Essenzialità e semplicità che si trasformano facilmente in profonda complessità se costiituiscono le basi intuitive per raggiungere risultati già eccellenti e non scontati come quelli ottenuti da Palco 11Zero8, piccola e giovanissima realtà artistica attiva da poco più di un anno sul territorio campano.
Dal 1° al 4 maggio 2014 la compagnia diretta dall'attore Roberto Matteo Giordano è in scena al Teatro Elicantropo di Napoli con il suo ultimo lavoro Noi saremo. Presentato dall'associazione Körper, lo spettacolo prende radici da una precedente produzione, Amor Q, e narra del tormentato amore tra Paul Verlaine ed il diciassettenne Arthur Rimbaud, i due poètes maudits precursori del decadentismo letterario francese.
Ad interpretare la biografia sentimentale dei due amanti lo stesso Giordano ─ nelle vesti di un Verlaine cupo, solitario e dannato ─ ed il talentuoso danzatore napoletano Gennaro Maione il quale danza la parte dello spregiudicato, ribelle e seducente Rimbaud.
I due attori sono già sul palco, immobili all'interno della scura cornice dell'Elicantropo, confinati ad angoli diametralmente opposti della scena quando Verlaine inizia a versare lentamente dell'acqua in un tipico lavabo in stile '800 e si accinge a lavarsi il viso, osservandosi in uno specchio che in realtà non è presente. Un'azione apparentemente quotidiana, ma che riflette esclusivamente lo stato d'animo del protagonista, quel senso di inesistenza, di perdita di se stesso e di totale confusione che vi è fra una vita sregolata all'insegna dell'alcol ed il vivere da borghese “rispettabile” a fianco della moglie Mathilde. Intanto il Rimbaud danzatore è in viaggio per raggiungere l'affermato poeta nella Parigi romantica e mosso dall'entusiasmo e dalle aspettative, volteggia e scivola al pavimento con in mano una valigia di pelle.
Dopo una serie di movimenti eseguiti a specchio ─ come se l'uno fosse l'ombra dell'altro in una sorta di danza preveggente ─ l'incontro fra i due avviene al centro del palco, si condensa in una stasi magnetica, un lungo  ed intenso scambio di sguardi che raggela l'attimo della stretta di mano.
Da questo momento ogni atto coreografico diventa puro, chiarissimo, leggibile, in grado di comunicare, con assoluta spontaneità e sincerità interpretativa, le tempestose dinamiche relazionali che si alternano fra i due personaggi: litigi, riappacificazioni, tenerezze, momenti di spensieratezza creativa e di serenità apparente, tutti sotto effetto dello stupore alcolico che costantemente manovra il rapporto fra i due. I passagi emozionali sono vissuti con una precisa punteggiatura gestuale, in armonico accordo con le musiche scelte per le differenti scene, tutte appartenenti al repertorio classico e contemporaneo.
Tra i brani più belli e significativi della pièce vi è il momento  in cui i due poeti si abbandonano ad una  passionalità devastante, irruenta e dolce allo stesso momento, sulle note di Violin Concerto di Philip Glass, in cui oltre ad un bacio rubato, ad intrecci di dita, di mani, di braccia e di gambe, si ripete un gesto presente innumerevoli volte all'interno di tutta la performance, quello di accarezzarsi il viso a vicenda, verificando la conformazione dei rispettivi lineamenti, come a scoprirsi, a ri-specchiarsi... Rimbaud è proprio quel riflesso mancante che altro non è che l'insieme dei desideri e delle aspirazioni più intime di Verlaine.
In effetti durante l'intera durata dello spettacolo non ritroviamo mai veri e propri soli. Entrambi sono sempre in simbiosi ed in connessione fra loro, ora con lo sguardo, ora portando il tempo di una danza con il battito di mani. Le soluzioni di partnering invece consistono di vere sensazioni univoche, sembrano nascere da un'unica mente, un unico flusso che si sdoppia in due corpi, non si risolvono in sequenze fatte di stimoli e risposte contrarie,  è tutto sempre ricercato e pensato.
In alcune interruzioni, a concedere delle pause di respiro ai due performer, una voce femminile fuori campo, quella di Mathilde, figura onnipresente, evidente senso di colpa ossessivo di Paul, parte della sua coscienza, causa delle frequenti fughe e delle amarezze del giovane Rimbaud.
Sul finire dello spettacolo i due interpreti della compagnia si lasciano rallegrare e coinvolgere da un gioco di allestimento che è il fulcro di tutta la personale ed originale interpretazione biografica di questa struggente storia d'amore: Verlaine inizia a tracciare, a disegnare una linea curva con un tappeto di nostalgiche feuilles mortes, un percorso che lo spensierato e solare Rimboud calpesta morbidamente a piedi nudi, preso nel volto da una gioia infantile e goduriosa , cose se fosse baciato dalla luce del Sole. Questo percorso è ciclico,  raffigura un simbolo, quello universale dell'Infinito.
L'immagine  in questione sembra quasi ispirata ai noti versi di Sensation:

 

Nelle sere blu d'estate andrò per i sentieri,
punto dal grano, calpesterò l'erba sottile:
ne sentirò, sognante, il fresco sotto i piedi.
E lascerò che il vento mi bagni il capo nudo.


Non dirò una parola, non penserò a niente:
ma l'amore infinito mi invaderà l'anima
ed io, come uno zingaro, me ne andrò via, lontano
nella Natura, lieto come con una donna.

 

Non si tratta di un Infinito spaziale, forse nemmeno temporale, bensì di un infinito interiore, una dimensione sterminata, quella inesauribile dell'animo umano, della creatività e dell'immaginazione ribelle. Un infinito tangibile, tattile, che trova soluzione e completezza nell'amore morboso, nella passione carnale continua e inarrestabile. Un eternità fisica.
“... Quegli amanti che noi mai, mai saremo” pronunciano in ultimo le parole rassegnate di Mathilde; lei una sposa “troppo poco desiderata per essere amata” realizza l'irraggiungibilità di un amore che invece appartiene pienamente ai due poeti, ed in questo essi si riconoscono e si rivedono, un sentimento che lega i loro destini oltre la rottura ed il distacco creandone un mito immortale.
Il simbolo infinito, che altro non è che un intreccio di una stessa linea, è un legame fra due parti di un unico insieme che si annoda nell'Io poetico e si esterna in intrecci di dita, di mani, di braccia e di gambe.
La performance termina dal punto di vista narrativo, tragicamente così come la storia vuole, con quel colpo di pistola che ferì Rimbaud al polso sinistro e costò il carcere a Verlaine, ma sorprende la scelta dei due interpreti di chiudere il pezzo denudandosi, in senso letterario e figurativo. Abbandonati gli abiti di scena i due artisti partenopei indossano felpe e jeans divertendosi a ricorprire il ruolo di nuovi protagonisti di Noi  saremo, quasi a voler urlare invece  “Noi siamo”.

 

 

 

 

Noi saremo
drammaturgia e regia
Roberto Matteo Giordano
coreografia e interpreti
Roberto Matteo Giordano, Gennaro Maione
voce Francesca Annunziata
produzione Palco 11zero8
Napoli, Teatro Elicantropo, 1° maggio 2014
in scena dal 1° al 4 maggio 2014

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