“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Thursday, 01 May 2014 00:00

Il tragico e il buffo

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La forma buffa dell’operetta per mettere in scena un paradosso usuale. Il paradosso usuale è quello che fornisce materia tematica: una storia di ordinaria omosessualità tarpata, in un ordinario contesto provinciale – nella fattispecie meridionale e segnatamente siculo-partenopeo – in cui è ad oggi ancora ordinario (e proprio per questo paradossale) un approccio retrivo al tema dell’omosessualità. Questo, in una sintesi estrema e non del tutto esaustiva, ciò che compone Operetta burlesca, lavoro di Emma Dante che ha debuttato chiudendo la stagione del Teatro Kismet OperA di Bari.

Disorienta il frastuono vociante del foyer che accoglie l’attesa, giacché alta si percepisce l’aspettativa che si ha verso il nuovo lavoro della Dante. Ed è aspettativa che non andrà delusa. La scelta è quella di puntare su una storia molto convenzionale, di quelle già viste, già sentite, già raccontate una miriade di volte: Pietro, figlio di siciliani trasferitisi alle pendici del Vesuvio, dove il padre dovrà gestire una pompa di benzina ereditata da un parente e nella quale lo stesso Pietro, suo malgrado, è destinato a lavorare, vive in realtà il disagio di un’omosessualità malaccetta ai suoi, con tutti i crismi del dramma familiare a tema.
E fin qui, nulla di nuovo sotto il sole e nemmeno sotto il Vesuvio; ma è in questo che risiede il vero spessore di questa Operetta burlesca: fare di una storia semplice, ordinaria, per certi versi addirittura banale, un lavoro teatrale complesso e articolato, che si regala alla scena parlando il linguaggio della scena, declinandone in maniera composita e creativa le possibilità espressive.
Come già con Le sorelle Macaluso, Emma Dante mostra l’inclinazione a giocare con il chiaro e lo scuro, col pieno e col vuoto, un gioco d’alternanza che in questa sua Operetta burlesca si trasferisce pure nei ruoli, nei personaggi e nel loro agire precisamente sincronico e precisamente alternato sulla scena; una scena sul cui fondo campeggiano quattro manichini penzolanti, che son bambole gonfiabili, ciascuna abbigliata con appariscenti fogge femminili; due sedie e nulla più in mezzo ai manichini stessi ed una fila di scarpe da donna al limitare del palco.
Quattro figure abitano la scena e sono alternanza di personaggi ed essenze: Pietro è il protagonista della vicenda, quarantenne intrappolato in un corpo d’uomo ed in un contesto familiare e sociale asfittico e restrittivo, dal quale riesce ad evadere solo con la fantasia e con la Circumvesuviana; con la prima viaggia indossando vestiti da donna nel chiuso della propria stanza, con la seconda raggiunge Napoli, il capoluogo in cui sia pur momentaneamente si può spogliare della cappa di pregiudizi e convenzioni e far shopping degli abiti e degli accessori che più gli aggradano. Accanto a lui, in smoking, c’è una figura ancipite: è un uomo che brandisce un ventaglio azzurro e che è sulla scena ad un tempo padre e madre di Pietro; madre comprensiva ma non troppo che ne deride la mancanza di femminilità, in quello che ai suoi occhi appare poco più che un gioco en travesti, e padre, siciliano espiantato dalla propria terra, protervo e vessatorio, che manifesta il suo ingresso in ruolo aprendosi rabbiosamente lo sparato della camicia. E ci sono poi due figure – un uomo e una donna – che evoluiscono sulla scena danzando, ostentando femminilità l’una, voluttà e lascivo movimento pelvico l’altro. Essi sono i due corpi attraverso i quali avverrà l’espressione dell’essenza di Pietro; la donna rappresenta il suo corrispettivo femminile, il suo animo negato, la sua essenza castrata e sulla scena ad ogni atto di vestizione dell’uno, con lustrini, paillettes, boa di struzzo e scarpe di vernice rossa col tacco, corrisponde la svestizione dell’altra (e viceversa), ad ogni atto dell'uno ne corrisponde uno speculare dell'altra (e viceversa); l’uomo, invece, al termine della sua danza in incognito (un cappello scuro calcato sulla testa ne nasconde il volto per tutta la prima parte), incarnerà l’amore bramato e l’illusione raggiunta, l'uomo conosciuto in uno dei tanti viaggi a Napoli in Circumvesuviana, un venditore di scarpe sedotto fra tacchi a spillo e ammiccanti spruzzi di deodorante per ambiente, il partner con cui vivere appieno, nel contesto cittadino, la propria ‘femminilità’ negata nel ristretto ambito domestico e paesano.
Le due essenze, l’uomo e la donna, sembrano dar corpo all’antinomia sogno/realtà, al brusco contrasto fra ciò che si vagheggia e ciò che in effetti è, con la donna, muta presenza scenica – fino al profferir dell’ultima battuta – a fungere da incarnazione dei sogni, dimensione onirica di un desiderio; desiderio che troverà realizzazione, parziale e comunque deludente, nell’altra figura, quella maschile che evolve in scena e nella quale Pietro s’illuderà di aver trovato l’amore e la via di fuga.
Tutta l’azione si svolge secondo gli stilemi tipici del burlesque, con balletti, pantomime, travestimenti, e sul filo di un’ironia che è affidata prevalentemente, se non del tutto, al personaggio di Pietro (un ancora una volta eccellente Carmine Maringola), affidando ai quadri che si susseguono la fluidità narrativa della drammaturgia; drammaturgia che si avvale di una compagine attoriale che svolge ottimamente il suo compito (Viola Carinci, Roberto Galbo, Francesco Guida, oltre al già citato Carmine Maringola), che si muove sulla scena con un sincronismo perfetto.
La struttura drammaturgica appare così un raffinato congegno, capace di incantare per le scelte visive e di compendiare con equilibrata mistura il tragico e il buffo; unico eccesso, a parer nostro, l’ostentazione gratuita e forzata delle pudenda del protagonista in un momento di confessione rabbiosa della propria non mascolinità, mentre poetica e funzionale appare la nudità degli altri due corpi che si avvinghiano e, alla fine – ed è probabilmente il momento chiave di tutta la pièce – il passaggio in cui Pietro ed il suo alter ego femminile realizzano la transizione da un’essenza all’altra, spogliandosi lui della propria virilità, che gli scompare fra le gambe tenute strette, e realizzando lei il suo animo femminile che finalmente si concretizza, prende la parola e si dichiara riprendendo le stesse parole con cui Pietro si era presentato sulla scena.
Il tono da filastrocca della voce di Tosca, la canzone Il terzo fuochista, con la sua atmosfera da festa di paese evocatrice di balocchi, zucchero filato e palloncini che aveva risuonato all’inizio, torna alla fine a portarsi via, in una pioggia di palline colorate, i sogni infranti ed i colori sgargianti di un ragazzo fattosi donna.

 

 

 

Operetta burlesca
drammaturgia, regia, scene e costumi Emma Dante
con Viola Carinci, Roberto Galbo, Francesco Guida, Carmine Maringola
coreografie Davide Celona
luci Cristian Zucaro
produzione Sud Costa Occidentale
distribuzione Amuni/Fanny Bouquere – Alessandra Simeoni
lingua napoletano e siciliano
durata 55’
Bari, Teatro Kismet OperA, 27 aprile 2014
in scena 26 e 27 aprile 2014

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