“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Saturday, 26 April 2014 00:00

Sogni Carte Numeri

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San Giorgio a Cremano (NA). Villa Bruno. Fonderia Righetti. Uno spazio austero in blocchetti di tufo. La copertura è sostenuta da archi e putrelle d’acciaio. Stratificazioni di senso in uno spazio antico. Luce calda, che si sposa bene col giallo del tufo. Antico e moderno dialogano e convivono. La pesantezza della muratura e la leggerezza dell’acciaio. La leggerezza della vita in villa nel ‘700 e il calore greve della fonderia del secolo successivo. Una statua di Massimo Troisi, nei panni del Postino, con l’immancabile bicicletta, decora il fondo della sala, con lo stile greve di tanta produzione bronzistica contemporanea.

Sul fondale nero è appeso un drappo bianco, solcato da profonde pieghe. Tela su cui si dipaneranno le graziose danze dello spettacolo che verrà. Un velo bianco, semitrasparente, capiremo solo dopo che si tratta di cellophane, copre un gruppo di sedie dall’aria antica, disposte in cerchio, schiena contro schiena, al centro della scena. Sulla sinistra si vede un pilastrino con una cassetta delle offerte e un’immaginetta di San Gennaro. Una fila di lumini rossi, di quelli che si usano al cimitero, borda il proscenio.
Una figura femminile ammantata, dall’aria e dalla risata diabolica, chioccia, inquietante, quasi da Munaciello, avanza tra il pubblico tenendo in mano un lumino acceso. Lentamente sale sul palco, mentre la sua risata continua a divertire e al tempo stesso mettere a disagio il pubblico, toglie dalle sedie il cellophane. Sulla scena compaiono cinque figure, abbigliate in costumi settecenteschi. Parrucche incipriate, volti eburnei di cerone, nei, fazzoletti svolazzanti, merletti, scarpe con la fibbia, corpetti, mutande lunghe a palloncino, crinoline che suggeriscono l’abito ampio, che non c’è, ma si immagina. Prendono posto sulle sedie e sbadigliano. “Ma che or’ song’?”. Cercano di svegliarsi. Sembrano svegliarsi dal sonno dei secoli, o magari dal sortilegio della Bella Addormentata.
Sognano, hanno sognato, raccontano. Ma siamo a Napoli e ogni sogno è numero e ogni numero è una carta.
Via Medina, la chiesa dell’Incoronata, Marechiaro, il Palazzo degli spiriti, piazza Mercato, piazza dei Martiri. Luoghi e fatti storici evocati attraverso i numeri, le date, ma anche i numeri del lotto e le carte napoletane. Personaggi emblematici della storia e della tradizione napoletana emergono dalle brume del sogno. La regina Giovanna e Virgilio mago, Masaniello ed Eleonora Pimentel de Fonseca, l’eruzione del 1767 e le Quattro giornate di Napoli. Profumo di incenso. I prodigi di Virgilio, come il pesciolino disegnato sulla pietra che garantì abbondanza di pescato ai pescatori di Marechiaro, o la mosca gigantesca tutta d’oro dinanzi alla quale le mosche vere, fastidiose, cadevano stecchite “come pere fracite”. La decapitazione di Corradino di Svevia a piazza Mercato ordinata da Carlo d’Angiò. La storia di Catarinella e dell’orco Miezoculillo; la statua di San Gennaro portata in processione sul Ponte della Maddalena per fermare l’eruzione del Vesuvio; la morte di Eleonora, incorniciata in una struttura che sembra il teatro delle guarrattele con una corona di lucine colorate, il Principe di Sansevero. Piazza dei Martiri e i quattro leoni simbolo delle rivoluzioni napoletane: 1799 il leone morente, 1820 il leone trafitto, 1848 il leone non domo, 1860 il leone minaccioso.
Ogni episodio è un brandello di sogno e viene narrato con la stessa struttura sfilacciata del sogno raccontato a colazione al mattino. Tutto sembra chiaro, nella testa appena si aprono gli occhi, o meglio in quell’istante in cui si è già svegli, ma gli occhi sono ancora chiusi. Poi si aprono gli occhi e la bocca e si comincia a raccontare. E ciò che sembrava chiaro e definito sfugge da tutti i lati. Quella storia popolata di personaggi, che sembrava pronta lì, come una sceneggiatura, comincia a sfumare, a trasformarsi in una labile suggestione, affascinante ma evanescente. Evanescente come il ‘700.
I cinque personaggi, ciascuno con la propria espressione, le proprie movenze, la propria voce, sembrano danzare le storie che raccontano, come un minuetto, come un rondò. Storie, favole, leggende, fatti. Tutto si trasfigura, tutto saltella sulle aeree note da scherzo di conte, da teatrino di marionette, e marionette sembrano a tratti gli attori stessi, con le loro risate sincrone, ritmiche, i movimenti uguali e ritmati, a scatti. O forse piuttosto pastori di porcellana Capodimonte, nelle loro pose volutamente stucchevoli e leziose. Resta la grazia, il gusto leggero del divertissement, forse si sarebbe potuto lavorare di più sulla storia vera e propria, evocare i personaggi, farli uscire dal fondale ritagliato, far prendere loro vita. Ma forse non sarebbe stato più un sogno, uno scherzo, un balletto.

 

 

 

 

 

Viv le ruà
drammaturgia
Ciro Pellegrino, Elena Pellecchia
immagini, allestimento, regia Ciro Pellegrino
con Ciro Pellegrino, Paola Maddalena, Ciro Scherma, Sara Saccone, Chiara Vitiello, Olimpia Panariello
luci Riccardo Mattei
produzione Kaotikalkimia
foto Raffaele Esposito
lingua napoletano
durata 1h 10'
San Giorgio a Cremano, Villa Bruno – Fonderia Righetti, 23 aprile 2014
in scena 23 aprile 2014 (data unica)

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