“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Monday, 14 April 2014 07:11

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La piccola sala del Circolo Teatro Arcas accoglie il pubblico col consueto calore, quel senso di domestico e rassicurante, senza boria intellettuale o pretesa di fare altro che sano teatro. Una citazione di Pablo Picasso campeggia su una delle pareti, “L’arte è fatta di menzogne che dicono la verità”, scopriremo poi che la frase sta lì, decorativa, ma non ha rapporto con ciò che si vede sulla scena.

I tre innamorati del titolo sono Felice Sciosciammocca (Marcello Raimondi), poeta analfabeta e povero in canna, don Alonzo (Riccardo Citro), ricco, pingue e spagnolo, e Pancrazio (Aurelio De Matteis), sfortunato attore shakespeariano accompagnato da un immancabile teschio. Tre macchiette buffamente abbigliate, con i volti esaltati dal cerone, i costumi caricati, le movenze ridicole. Dall’altro lato la bella Marcellina (Federica Totaro), che fa girar la testa a tutti, dall’abbigliamento e dal trucco dark declinati in salsa napoletana, a tratti neomelodica. E poi la madre di Marcellina, donna Peppa (Maria Rosaria De Liquori), la taverniera, dall’abbigliamento, acconciatura e trucco giapponesi, ma giocati in salsa rigorosamente partenopea. Infine Diesco (Peppe Carosella), lo sguattero della taverna, sordo ma scaltro, irascibile e al tempo stesso di buon cuore, un pezzo d’uomo che appare ancora più massiccio grazie all’uso di alte zeppe dal sapore molto punk.
Descrivere le battute, gli equivoci, i frizzi e i lazzi equivarrebbe a spogliare lo spettacolo della sua essenza, la ragione del theàomai il vedere che è alla base del teatro. Il gruppo diretto da Tonino Taiuti è affiatato, i tempi comici perfetti, lo spettacolo una macchina da guerra che fa ridere dall’inizio alla fine, di gusto, anche quando le battute sono prevedibili. Anche lo spettatore distratto, quello che tende ad assentarsi, a vagabondare con la mente in altri territori, viene richiamato facilmente all’attenzione, ed è quanto dire. La gente ride, sonoramente, come un pubblico di altri tempi, dell’epoca del varietà.
Il testo usa come canovaccio un testo di Antonio Petito, Tre surici dint’a nu mastrillo, ma lo reinventa, lo contamina, lo attualizza e lo strania al tempo stesso, facendo convivere cilindri e anfibi, bombette e borchie, scarpe di suola e catene. Il testo è una traccia, una base, uno spunto, un pretesto, su cui si innestano altri testi, come la celebre lettera d’amore di Karl Valentin, questa volta dedicata dalla bella Marcellina al suo caro Eugenio, che non vedremo mai sulla scena, o la celeberrima lettera di Totò e Peppino.
Si torna a casa allegri, col cuore leggero, disposti ad affrontare la vita con un sorriso. A volte è anche necessaria un po’ di sana leggerezza.

 

 

‘Na lettera pe’ tre ‘nnammurati
da Tre surice dint’a nu mastrillo
di Antonio Petito
regia Tonino Taiuti
con Marcello Raimondi, Riccardo Citro, Aurelio De Matteis, Maria Rosaria De Liquori, Federica Totaro, Peppe Carosella
scene e costumi Clelio Affinito
tecnico luci Enrico Scudiero
fonico Franco Di Carluccio
lingua napoletano
durata 1h
Napoli, Circolo Teatro Arcas, 12 aprile 2014
in scena dal 4 al 6 aprile, dall'11 al 13 aprile e dal 17 al 19 aprile 2014

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