“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Tuesday, 08 April 2014 00:00

Sotto la meravigliosa buccia dell'arancia

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Alex, il protagonista di Arancia meccanica, non è soltanto il protagonista di un romanzo diventato film e opera teatrale messa in scena al Teatro Bellini. Alex è un’icona, è il simbolo di una gioventù ribelle che vuole rompere gli schemi con la violenza e si ritrova intrappolato in un sistema più violento che opera la sua vendetta, tuttavia senza riuscire ad abbatterlo. La sua faccia, che è poi la faccia di Malcolm McDowell, l’attore che l’ha interpretato nel film diretto da Kubrick, è nei disegni per strada, sulle magliette, sui ciondoli da tenere al collo. Addirittura un marchio di abbigliamento maschile ha tratto il suo nome dal romanzo e ha sull’etichetta la faccia di Alex.

La divisa bianca, con sospensorio, bombetta e ciglia finte, che Alex e i drughi indossano nelle loro serate di ultraviolenza nelle scene del film è riproposta da anni nelle feste in maschera ed eventi in costume. Mettere in scena Arancia meccanica, perciò, non è soltanto confrontarsi con una versione cinematografica del romanzo, ma confrontarsi con tutto quello che il film ha lasciato nella nostra cultura e nel nostro immaginario. Se non tutti, almeno una buona parte dei presenti in sala devono avere di Alex l’immagine che Kubrick gli ha dato. L’atto coraggioso del regista Gabriele Russo è sfidare questa impalcatura costruita da un altro creando qualcosa di diverso senza evitare degli omaggi.
A guidare lo spettacolo è la musica. La messa in scena ne è quasi dominata, tanto che in alcuni momenti sembra di assistere ad una sorta di videoclip dal vivo. Le immagini sono particolarmente accattivanti, merito sia del lavoro dello scenografo che del corpo degli attori. Spesso, allora, non c’è bisogno delle parole. Il racconto è in immagini e musica. Il momento più caratteristico è la visita a sorpresa nella casa dello scrittore Alexander. La casa è una scatola con una parete di vetro. È una casa-astronave in cui il letto è sul soffitto e la poltrona dello scrittore ha lo schienale sul pavimento, così che ci sembra di guardare dall’alto l’uomo seduto. Tutto è bianco. Sembra l’astronave di 2001 odissea nello spazio. La scena della violenza contro lo scrittore e sua moglie è agita al rallentatore. Così com’è, chiusa nella scatola che piano si avvicina e poi si riallontana dalla platea, sembra uno spettacolo a sé stante. Questo perché Arancia meccanica è costruito a quadri, come fosse un sogno e come in un sogno o in vecchi ricordi che ritornano alla mente, i luoghi mutano d’un tratto e le persone cambiano. Esse sono grottesche, sembrano caricature di persone. Forse è qui l’inghippo.
All’aprirsi del sipario e per i primi minuti, il volume della musica è così alto che fatichiamo a comprendere le parole pronunciate dagli attori. A complicare il tutto, il buon lavoro fatto con lo slang parlato dai drughi. Afferriamo un termine qua e là mentre la musica, come una sirena spiegata, riempie tutto il teatro. I drughi sono soltanto in tre e non indossano la famosa tuta del film. Come lo slang che adoperano, che in originale mischierebbe l’inglese col russo, hanno dei completi stile british con un gilet di pelliccia che rimanda all’idea della Russia e del colbacco. Una bella mise che lascia contenti gli occhi come ogni elemento della scenografia: le grosse gocce di latte che scendono dall’alto e che i drughi bevono da un tubicino scorciandosi una manica come se stessero per infilarlo in vena; il macchinario del programma Ludovico che registra le reazioni di Alex alle scene di violenza con i suoi cavi multicolore; il busto di Beethoven che uccide la vecchia signora come una ghigliottina; la casa di Alex dalla prospettiva accentuata e i mobili volanti. È una mostra d’arte agita ed in movimento.
Lasciamo il teatro con gli occhi pieni di immagini e il motivetto di Morgan nella testa: “che succederà? che succederà?”. Cosa è successo in realtà? Per quanto non riesca a smettere di dire quanto tutto fosse bello, dalle scene ai costumi, dalla musica ai gesti degli attori e al loro modo di parlare, non ho mai compreso veramente Alex. Noi spettatori restiamo fuori da tutto, guardiamo, ascoltiamo e basta come se si trattasse delle pubblicità in tv. Le scene violente sono talmente belle che non ci spaventano né scandalizzano. In un lavoro corale dove persino la casa sembra un personaggio, fatichiamo a riconoscere in Alex il protagonista e perde la sua forza iconica. Non sentiamo la sua rabbia né tantomeno il suo dolore nello scoprire che gli provoca malessere fisico la musica dell’amato Ludovico Van. La stessa scelta di partecipare al programma Ludovico è risolta in poche battute. La critica alla società e al potere politico è appena accennato da quei personaggi, che troppo grotteschi e ridicoli a malapena sembrano reali. Tutto resta in superficie. Capita così, che nella scena emozionante in cui Alex ritorna a casa dopo il carcere e scopre che i suoi genitori hanno affittato la sua stanza ad un ragazzo modello, il figlio che avrebbero voluto avere, al posto del ragazzo, in scena ci sia una ragazza o meglio la caricatura di una ragazza. La casa bellissima dai mobili volanti rimane, allora, vuota di significato e di vita vera così come tutto il meraviglioso apparato di questo spettacolo. Sotto la bella e luminosa buccia dell’arancia c’è qualche ingranaggio che non va.

 

 

 

Arancia meccanica
di Anthony Burgess
regia Gabriele Russo
con Alfredo Angelici, Marco Mario de Notaris, Martina Galletta, Sebastiano Gavasso, Alessio Piazza, Daniele Russo, Paola Sambo
musiche Morgan
scene Roberto Crea
costumi Chiara Aversano
foto di scena Francesco Squeglia
durata 1h 30’
Napoli, Teatro Bellini, 5 aprile 2014
in scena dal 1° al 15 aprile 2014

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